L'angoscia è ciò che non mente: il trauma dell'abuso sessuale (part.2)

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Teresa Colaiacovo - L'angoscia è ciò che non mente: il trauma dell'abuso sessuale (part.2)

“Se gettiamo per terra un cristallo, questo si frantuma, ma non in modo arbitrario; si spacca secondo le sue linee di sfaldatura in pezzi i cui contorni, benché invisibili, erano tuttavia determinati in precedenza dalla struttura del cristallo. Strutture simili, piene di strappi e fenditure, sono anche i malati di mente” Sigmund Freud.

Flavia (nome di fantasia) nei successivi colloqui arriva con un abbigliamento più curato e noto i capelli raccolti che mostrano il suo viso.

Le faccio scegliere il colore dello smalto e mi dice: oggi viola, un po’ come il mio stato d’animo.

Le chiedo cosa sente e mi dice: “mi sento sempre un po’ tutta rotta, anche quando sono serena.

Le chiedo cosa intende per tutta rotta e mi dice: “ spezzata, un po’ come un burattino…”

Mentre mi mette lo smalto mi racconta di questo lupo, mi parla di un amico di famiglia che all’epoca dei fatti aveva 57 anni.

mi dice: “posso parlargliene o le fa schifo?”

le chiedo: “perché dovrebbe secondo lei farmi schifo?”

mi dice che questa roba fa schifo a tutti.

A seconda del rapporto esistente tra il bambino e l’abusante, l’abuso può suddividersi in:

  • Intrafamiliare, quando attuato dai membri della famiglia nucleare o allargata;
  • Parafamiliare, quando attuato da persone conosciute dal minore, comprese quelle a cui affidato per ragioni di cura o educazione;
  • Extrafamiliare, se l’abusante è una figura estranea alla famiglia ed al minore.

Dalle stime ufficiali si evince che sono pochissimi i bambini abusati da sconosciuti: circa 1 su 50.

La maggior parte degli autori sono persone conosciute dalla vittima come parenti, amici di famiglia, conoscenti, insegnanti.[1]

Dall’analisi della letteratura si evince come il reato di violenza sessuale sia commesso prevalentemente all’interno della famiglia (39,7%) soprattutto tra genitore e figlio (30,9%).

Terragni descrive questo tipo di fenomeno come una violenza ripetuta a lungo nel tempo, che non necessita di mezzi di costrizione per realizzarsi: i rapporti di potere e di dipendenza che caratterizzano le relazioni familiari fanno si che non sia necessario l’uso della forza fisica.

La violenza perpetrata è grave, tanto più se si pensa che le vittime di questa violenza sono bambine o adolescenti.

La sua incidenza è mediamente pari al 20%.[2]

L’approccio di matrice sistemico relazionale cerca di cogliere ed utilizzare il piano della complessità del problema, attraverso il rifiuto di un’ottica criminalizzante e parziale.

Secondo questo approccio affrontare il problema degli abusi intrafamiliari comporta necessariamente analizzare i piani collusivi che coinvolgono l’intero sistema e fare attenzione alle dinamiche, in termini di “moduli familiari disfunzionali”, ai livelli di significato impliciti ed espliciti che l’abuso assume a livello relazionale, ai “bisogni” ed ai “vissuti” che coinvolgono anche gli autori, oltre che le vittime, ferma restando la responsabilità giuridica e sociale dell’autore del reato.[3]

Dèttore e Fuligni individuano due tipi di famiglie che utilizzano l’abuso con finalità diverse:

  • Famiglie in cui l’abuso è funzionale ad evitare situazioni conflittuali tra i genitori, ed in cui la madre stabilisce le norme delle relazioni affettive ed il linguaggio da utilizzare in merito a questioni psicologiche e sessuali. In questi contesti la madre è emotivamente distante dai figli e la rivelazione dell’abuso di solito cade nel vuoto.
  • Famiglie in cui l’abuso è funzionale a tenere sotto controllo il conflitto, ed in cui la madre è carente per ciò che concerne il sostegno affettivo e concreto, diviene “pari” dei figli e può succedere che un figlio prenda il suo ruolo. In seguito ad un conflitto il figlio viene “sacrificato” per evitare la disgregazione del nucleo familiare. Le madri sono rigide e distanti ed hanno un rapporto ostile e competitivo von le figlie.[4]

Interessante, a tal proposito, è la teoria di matrice sistemico-familiare secondo cui la violenza intrafamiliare può essere intesa come una difettosa ed improduttiva modalità di comunicazione stabilita all’interno di un sistema in cui ciascun membro si trova ad assumere un ruolo attivo che contribuisce all’instaurarsi ed al cristallizzarsi di una modalità relazionale che privilegia comportamenti aggressivi.[5]

Una caratteristica, sottolineata in precedenza, è quella che l’abuso intrafamiliare si sviluppa in un arco di tempo dilatato, attraverso varie fasi, prima di arrivare all’abuso sessuale vero e proprio.

Un modello di comprensione delle dinamiche che conducono all’abuso è lo schema di Sgroi, Blink e Porter, secondo il quale possono essere sintetizzate le fasi tipiche riscontrabili in tutti i casi di abuso intrafamiliare:

  1. Fase dell’adescamento: l’autore cerca un rapporto privilegiato con la vittima;
  2. Fase dell’interazione sessuale: escalation del comportamento sessuale;
  3. Fase del segreto: l’autore impone l’omertà sulla vittima attraverso forme di violenza psicologica, connessa alla presenza di vantaggi secondari:
  4. Fase di svelamemto: può avvenire in modo accidentale o per rivelazione della vittima. Mentre l’autore del reato nega le reazioni degli altri familiari possono essere le più disparate;
  5. Fase della soppressione: ci può essere un tentativo da parte di tutti o di alcuni membri della famiglia di “cancellare” la verità per tornare allo stato precedente di equilibrio familiare.

Per affrontare la  complessità del tema dell’abuso sia intra familiare che extra familiare non basta “ semplicemente giustapporre frammenti di saperi diversi, occorre trovare il modo per farli interagire all’interno di una nuova prospettiva; la realta dell’individuo è complessa e piena di contraddizioni che sono una vera sfida alla conoscenza.”[6]

Flavia dopo tanti anni cerca di svelare attraverso di me, ciò che oggi la fa sentire “tutta rotta..”; per tanti anni il suo dolore è stato muto.

Le chiedo: “ oggi come ti piacerebbe sentirti?”

Lei mi dice: “ normale, senza pensieri.. vorrei poter raccontare ai miei genitori che il loro caro amico mi ha fatto quelle schifezze.. forse, così, loro la smetterebbero di considerarmi strana…”

Le chiedo cosa le dicono i genitori e lei mi dice: “pensano che io sia sbagliata perché non ho un fidanzato normale, perché odio pensare al futuro e non né amici né sogni…”

Mi fa riflettere la velocità con cui mi abbia detto …né amici, né sogni, lo ha detto come se le due parole fossero collegate, come se una fosse il prolungamento dell’altra.

Le chiedo se le piacerebbe avere amici e sogni e lei mi dice: “si, ovvio..ma non riesco..perchè poi gli amici mi potrebbero abbandonare appena capiscono quanto sono strana..”

Le dico che da vicino nessuno è normale, Flavia sorride e mi chiede: “ io vorrei parlarne con i miei genitori, vorrei che loro sapessero, ma mi vergogno, lei che ne pensa?”

Dopo averle chiesto del perché di questo desiderio, le chiedo come la farebbe sentire parlarne e lei mi dice: “libera… un po’ come mi sento con lei…”

Le dico che se parlarne la fa stare male può iniziare a scriver loro una lettera in modo che sarà lei a gestire i suoi tempi e a dosare le parole e poi le chiedo di scrivere una lettera anche a sé stessa e lei mi dice: “ e cosa scrivo?”, le rispondo che può scrivere tutto quello che vorrebbe dirsi e che non riesce a dirsi, magari anche i sogni.

Lei mi dice: “ va bene dottoressa, ma lei pensa davvero che io abbia dei sogni?”

Le dico che lei ha dei sogni, ma ha solo paura di dirlo perché teme che a dirle le cose belle non si avverano.

Ci guardiamo ed entrambe abbiamo gli occhi lucidi, le do come sempre un bigliettino con su scritto: “il desiderio è rivoluzionario perché cerca quello che non si vede… P.S. Flavia che ne dice di iniziare a desiderare senza aver paura?”

Prima di uscire, legge il bigliettino e poi mi dice: “io desidero, ma lei mi aiuti a non aver paura..”


[1] Terragni L. (1997), Su un corpo di donna. Una ricerca sulla violenza sessuale in Italia, Milano, Giuffrè

[2] Terragni L. (1997), Su un corpo di donna. Una ricerca sulla violenza sessuale in Italia, Milano, Franco Angeli.

[3] Dettore D.- Fuligni C. (1990). L’abuso sessuale sui minori, McGraw-Hill. Milano:

[4] Dettore D.- Fuligni C. (1990). L’abuso sessuale sui minori, McGraw-Hill. Milano:

 

[5] Cirillo S. (1986), “ Dietro un bambino maltrattato c’è una famiglia in crisi” in Attraverso lo specchio. Rivista di psicoterapia relazionale, n.14, pp. 18-22;

[6] GAMBARO F., MORIN e la sfida della complessità, intervista su La REPUBBLICA 25 Aprile 2008.

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