Si può davvero perdere la propria madre? i modelli relazionali come lascito del rapporto duale madre-figlio (fine)

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Teresa Colaiacovo - Si può davvero perdere la propria madre? i modelli relazionali come lascito del rapporto duale madre-figlio (fine)

“…Anche se particolarmente evidente nella prima infanzia, il comportamento di attaccamento caratterizza l’essere umano dalla culla alla tomba….”(John Bowlby)

Marco (nome di fantasia) continua i suoi colloqui ed ogni volta inizia con il leggermi una lettera che ha scritto per la mamma, le lettere ripercorrono il loro vissuto, intinse di ricordi.

Legge e si commuove, in alcuni momenti si arrabbia.

Riporto un estratto della sua lettera: “…quella sera al mare, quando ero con i miei amici, avrei avuto bisogno di te… ti ho chiamato e tu mi hai detto: sbrigatela da solo, fammi vedere che per una volta vali…. “

Lui si ferma, mi guarda e mi chiede: “Dottoressa credo che mia mamma non abbia saputo comprendere i miei bisogni ed io mi sono preso la rivincita, quando lei non stava granchè bene, di non esserci per lei..”

Gli chiedo quali fossero i suoi bisogni che la madre non ha capito, mi dice: “avevo bisogno di essere capito, protetto, accudito…” si commuove e continua: “Lei lavorava e si aspettava da me il massimo, a scuola, con gli amici e pure con le fidanzate…”

Irrompo e per la prima volta gli chiedo di suo padre, Marco mi dice: “un brav’uomo, ma faceva ciò che mia mamma chiedeva…tutti abbiamo fatto come lei chiedeva e forse anche il lasciarla sola era una sua richiesta..”

Gli chiedo delle donne che ha frequentato e mi dice: “loro erano diverse da mamma, si facevano usare e soddisfacevano ogni mio bisogno..”

Durante queste sedute Marco inizia ad accettare la perdita della mamma, inizia ad accettare la realtà e mi dice “ alla fine mi sento meno in colpa, perché io non c’ero cosi come lei non c’è mai stata..”

Penso all’attaccamento con il caregivers di riferimento e come questa relazione possa poi influire sui modelli operativi interni[1] (schemi di comportamento nelle relazioni future).

Proprio queste considerazioni hanno fatto si che si ritenesse  l’attaccamento adulto

potesse essere definito in termini analoghi a quello infantile  e sono stati individuati alcuni indicatori responsabili della regolazione del sistema d’attaccamento nell’individuo: il primo concerne la percezione di situazioni di minaccia che fa sì che si attivi il sistema comportamentale dell’attaccamento; il secondo fa riferimento alla percezione della disponibilità e responsività della figura d’attaccamento. [2]

Quest’ultima si articolerebbe in maniera diversa a seconda dei casi e determinerebbe la sicurezza o insicurezza del soggetto: nel primo caso, la persona «sicura» percependo la disponibilità dell’altro, si può sentire libera di impegnarsi in altre attività che la possono riguardare; nel secondo caso, il

partner viene percepito come insensibile ed il senso di «insicurezza» può esitare in due

tipi di situazioni – un’iperattivazione o una disattivazione delle strategie di regolazione

affettiva – a seconda di quanto sia gradita/ricercata la vicinanza dell’altro.[3]

Numerose ricerche hanno mostrato diverse tipologie di attaccamento nelle coppie che, come dicevamo, rispecchiano la dinamica relazionale e duale: legame madre-figlio/a.

1) attaccamento di coppia sicuro: in cui entrambi i partner si spostano liberamente

da una posizione dipendente a quella di essere oggetto di dipendenza dell’altro, esprimendo apertamente il bisogno di conforto e contatto, come pure quello di accoglienza accoglienza del contatto, segnalando un equilibrio dei due aspetti nell’individuo e nel sistema.

Questo matching sarebbe quello idealmente ottimale nel senso che può corrispondere a quello che si può chiamare un modello di equilibrio intermedio[4] che può essere interpretato come l’individuazione di una vicinanza psichica che non sia troppo lontana, come nella strategia distanziante che determina inibizione o ritiro, né troppo intrusiva ed involving, come nella strategia preoccupata che implica una forma di ipervigilanza, ma che invece possa esprimersi in una sensibilità moderata in cui livelli intermedi di coordinazione sono predittivi di un attaccamento Sicuro, ossia di un’intersoggettività ottimale.[5]

Questo aspetto dovrebbe manifestarsi secondo quella che potremmo chiamare una

reciprocità flessibile[6] , che indica la possibilità di uno scambio

complementare delle funzioni di protezione e sostegno emotivo, aspetto che costituisce

l’elemento più caratteristico dell’attaccamento in età adulta differenziandolo dal legame

di tipo asimmetrico tra bambino e caregiver nell’infanzia

2) attaccamento di coppia insicuro, che può essere: attaccamento di coppia

distanziante/distanziante: in cui entrambi i partner negano i sentimenti di dipendenza e

vulnerabilità; attaccamento di coppia preoccupato/preoccupato: in cui i partner

esprimono sentimenti costanti di deprivazione ed una convinzione reciproca che l’altro

non potrà mai soddisfare il bisogno di conforto; attaccamento di coppia

distanziante/preoccupato: in cui il partner preoccupato si sente cronicamente deprivato

ed abbandonato, mentre il partner distanziante appare infastidito dai bisogni di

dipendenza dell’altro, conducendoli ad una dinamica del tipo inseguitore-distanziatore

spesso foriera di relazioni di tipo altamente conflittuale.

Quest’ultimo matching, nell’esperienza dei due autori presso la Tavistock Clinic

di Londra, viene considerato il più frequente nelle psicoterapie di coppia quello, cioè, in

cui un partner ha un modello d’attaccamento Distanziante-svalutante e l’altro un

modello d’attaccamento Preoccupato, per cui il partner distanziante evita di essere

dipendente e minimizza l’importanza del legame e il partner preoccupato sentendosi

cronicamente deprivato ed emotivamente abbandonato esaspera l’importanza della

prossimità psichica e la richiesta di rassicurazione sul piano degli affetti.

3) attaccamento di coppia sicuro/insicuro: la presenza di un partner sicuro, grazie

alla capacità di assumere sia le posizioni di dipendenza, sia di essere l’oggetto di

dipendenza da parte dell’altro, potrebbe offrire un’esperienza emozionalmente

correttiva al partner insicuro che, in questo modo, potrebbe riuscire a comportarsi in

modo più flessibile e bilanciato. Ad esempio, potrebbe sfidare la tendenza

dell’individuo preoccupato a porsi nella posizione dipendente e quella del distanziante a

non assumere nessuna posizione. D’altra parte, in determinate circostanze, il soggetto

sicuro potrebbe, invece, diventare più rigido ed inflessibile nel soddisfare le tendenze

del partner insicuro.

Su queste premesse possiamo pensare che il presente sia influenzato dall’incontro

delle strategie di regolazione delle emozioni desunte dalla storia personale dei due

partner e che particolare importanza debba essere data al modo in cui i modelli

rappresentazionali dei partner <<si incastrano>> tra loro.[7]

La madre di Marco non è riuscita a sintonizzarsi con i bisogni del figlio, a decodificarli e a restuirli “digeriti”, questo  fallimento del processo di sintonizzazione affettiva

e della funzione di riconoscimento e rispecchiamento,  fa si che la struttura del Sé si formi

attorno ad un’immagine frammentata e incoerente [8] che fa della relazione

di coppia «il luogo» in cui possono prender corpo le disconnessioni di ciascun partner.[9]

Ciò è alla base di una capacità empatica impoverita e del pensare distorto che

porta a quello che Pasco Fearon chiama il ciclo delle interazioni non mentalizzate che

nelle situazioni relazionali di coppia o familiari hanno la caratteristica di essere

«inefficaci» e inutili al fine di fornire aiuto agli altri.[10]

Chiedo a Marco cosa sia per lui il perdono, Marco mi dice: “ se io avessi perdonato mia madre non l’avrei abbandonata…lei Dottoressa che pensa?”

Gli rispondo che forse il vero perdono consiste nel liberare sé stesso dagli schemi del passato, lui mi guarda scettico e mi dice: “ in che senso?”

Gli rispondo: “forse anziché trovare donne da usare e che rispondano ai suoi bisogni in maniera incondizionata, non come ha fatto sua mamma, potrebbe provare lei ad ascoltare i bisogni altrui e a cercare di sintonizzarsi con l’altra persona, senza farle pagare il prezzo delle sue insicurezze e dei suoi bisogni passati caduti nel vuoto…”

Mi dice: “ e come faccio?”

Gli rispondo che già ha fatto un primo passo, quello di provare a conoscersi, per poi riuscire a conoscere l’altro.

Mi dice: “ in realtà io vengo da lei per parlare di mia mamma e per perdonarmi, non crede?”

Gli dico: “Marco, io credo che lei venga da me per conoscere i suoi tanti perché, per perdonare le sue incongruenze e capirne l’origine…ed inoltre penso che questo sia una sorta di lascito di sua mamma…”

Mi dice: “ in che senso?”

Gli rispondo: “ sua mamma non sarà stata sintonizzata con i suoi bisogni, sarà anche stata poco accudente e lei gliel’ha fatta pagare dedicandosi solo a sé stesso, utilizzando le donne come strumento, ma se oggi è qui è perché forse vuole capire come rompere questo schema e vivere libero… la veda come un regalo di sua mamma..”

Marco mi guarda compiaciuto e mi dice: “ forse magari incontrerò persino una donna da non usare se realmente capisco che non voglio solo punire mia mamma…”

Sorrido e gli do un bigliettino sul quale ho scritto: “non siamo vittime della nostra autobiografia..”

Mi dice: “ alla prossima, ho ancora altre due lettere e poi voglio raccontarle di una mia collega che forse potrebbe piacermi, ma l’ho scartata perché non avrei potuto usarla..”


[1] Modelli Operativi Interni (MOI) come: «… l’insieme di norme consce e/o inconsce che

consentono di organizzare le informazioni riguardanti l’attaccamento e di permetterne

o limitarne l’accesso in rapporto a esperienze, sentimenti e idee concernenti

l’attaccamento stesso». Tale definizione sottolinea che gli aspetti organizzazionali e

procedurali delle rappresentazioni sono spesso più rilevanti del contenuto delle

rappresentazioni medesime nel senso che i MOI guidano sentimenti e comportamento,

ma anche attenzione, memoria e attività cognitiva nella misura in cui sono legati

all’attaccamento.

[2] SIMPSON J.A. e RHOLES W.S. (1998). Attachment theory and close relationships. New York, The Guilford Press.

 

[3] MIKULINCER, M., SHAVER, P.R. (2003). The attachment behavioural system in adulthood: Activation,

psychodynamics, and interpersonal processes. In Zanna M.P. (a cura di), Advances in experimental

social psychology. New York, Academic Press.

[4] CLULOW C. (2009). Rispecchiamento e incontro delle menti nella psicoterapia di coppia. In Carli L.,

Cavanna D., Zavattini G.C., Psicologia delle relazioni di coppia. Modelli teorici e intervento

clinico, Bologna, Il Mulino.

[5] SANTONA A., ZAVATTINI G.C. (2009). Intimità, vicinanza e disregolazione. In Carli L., Cavanna, D.,

Zavattini, G.C., Psicologia delle relazioni di coppia. Modelli teorici ed intervento clinico,

Bologna, Il Mulino.

[6] CROWELL J.A., WATERS E. (2005) Attachment Representations, Secure-Base Behaviour, and the Evolution

of Adult relationship. The Stony Brook Adult Relationship Project. In Grossmann K.E.,

Grossmann K., Waters E. (a cura di), Attachment from infancy to adulthood. The Major

Longitudinal Studies, New York, The Guilford Press.

[7] VELOTTI P., ZAVATTINI G.C. (2011). Intersoggettività e reciprocità nella relazione di coppia: la prospettiva

psicoanalitica. Ricerca psicoanalitica. Rivista della relazione in psicoanalisi, 2, 35-56.

[8] ALBASI C. (2006). Attaccamenti traumatici. I Modelli Operativi Interni Dissociati. Torino, Utet.

[9] SANTONA A., ZAVATTINI G.C. (2009). Intimità, vicinanza e disregolazione. In Carli L., Cavanna, D.,

Zavattini, G.C., Psicologia delle relazioni di coppia. Modelli teorici ed intervento clinico,

Bologna, Il Mulino.

[10] FEARON, R.M.P., TARGET, M., SERGEANT, J., WILLIAMS, L., BLEIBERG, E., FONAGY, P. (2006). SMART. Una terapia familiare integrativa per bambini e adolescenti. In Allen J.G., Fonagy P. (a cura di), La

mentalizzazione. Psicopatologia e trattamento. Bologna, Il Mulino.

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