Un padre e l'autismo del figlio: l'urlo non raccolto

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Teresa Colaiacovo - Un padre e l'autismo del figlio: l'urlo non raccolto

**“…Ciò che non può danzare sul bordo delle labbra – va a urlare in fondo all’anima…”C.BOBIN **

Fabrizio (nome di fantasia)  dopo una chiamata breve e coincisa in cui mi ha detto che necessitava di un supporto psicologico perché non riusciva a dormire bene, è arrivato da me trafelato, con un’aria stanca e prima ancora di dirmi buongiorno mi ha detto: “Dottoressa… ho lavorato tanto in questi giorni, non so nemmeno quante ore ed ho dormito pochissimo…”

Dopo un’anamnesi generale scopro che Fabrizio dorme 4 h per notte, nonostante vada a letto prestissimo… mi dice: “mi giro e mi rigiro e mi chiedo perché mio figlio è nato con un autismo grave e perché mia moglie ha preferito allontanarsi da noi..”

Dice queste parole così come lo sto scrivendo io in questo momento: secche, asciutte e rassegnate.

Gli domando del figlio e mi dice: “Albi (nome di fantasia) sembra capirmi, ci sono momenti in cui mi guarda ed ha gli occhi lucidi, anche lui è triste per me ed io lo sono per lui..anche lei mi sta guardando come se avesse pietà, ma tutti mi guardano cosi, dalla cassiera al titolare dell’azienda per cui lavoro”

Gli chiedo di mimarmi lo sguardo che vede negli altri e mi dice: “non lo so fare, ovvio, perché io non sono triste, alla fine sono consapevole che mia moglie è una poco di buono e mio figlio, se gli lascio dei soldi, avrà chi si prenderà cura di lui. Io voglio solo dormire…”

Mentre mi dice queste parole penso al meccanismo di difesa della proiezione, secondo il quale un soggetto attribuisce ad altri sentimenti, desideri che sono propri, ma che rifiuta di riconoscere in sé stesso. [1]

Interessante è guardare al valore che ha la funzione della proiezione nel neonato e fare un distinguo tra proiezione normale e proiezione patologica.

Con Bion, l’identificazione proiettiva “normale” diventa un’importante modalità di comunicazione non verbale, attraverso la quale l’organismo immaturo riesce a trasmettere sentimenti ed emozioni non ancora nominabili ad un oggetto recettivo. L’effetto che essa produce sull’oggetto che riceve la proiezione, ed il ruolo che esso ha nell’accoglierla e nel modificarla diventano parte fondamentale del fenomeno descritto, ponendo le basi della sua teoria del pensiero.[2]

L’Identificazione Proiettiva “patologica”, osservata da Bion attraverso le caratteristiche del transfer di pazienti schizofrenici, si distingue invece per la sua qualità onnipotente ed il grado di violenza con cui la proiezione viene messa in atto. Nonostante egli attribuisca in molti casi, alla particolare intensità dell’invidia del neonato, o ad una sua innata intolleranza alla frustrazione, la violenza di tale proiezione, essa viene per lo più ricondotta alla qualità della risposta dell’oggetto. Pazienti che – a livello di relazione primaria – hanno avuto l’esperienza di un oggetto chiuso alla comprensione e non recettivo rispetto alle proiezioni della propria sofferenza, ricorrono all’uso ipertrofico dell’identificazione proiettiva, per negare la realtà e l’angoscia.[3]

Questi pensieri mi aiutano a rendermi conto della sofferenza che Fabrizio prova, del bisogno che ha di vedere negli altri ciò che non vuole ammettere di sentire in sé stesso.

Ad un certo punto, gli chiedo se è andato da uno psichiatra per via dell’insonnia.

Mi dice di si, ma che lui ha bisogno di parlare e lo psichiatra fa ricette.

Sorrido, ma Fabrizio rimane teso.

Gli chiedo di descrivermi suo figlio, mi dice: “Albi è biondo, alto, bellissimo, solo che si isola, non capisce molto e non riesce ad essere normale.. a volte penso che diventerà bellissimo, ma che non avrà mai una donna..”

Gli chiedo: “ cosa pensa quando non dorme?”

Mi risponde: “ al lavoro, a mio figlio che non capisce e che non avrà mai una donna e a quanto sia stata perfida mia moglie ad andarsene… mi guardi dottoressa, io sono un bellissimo uomo, mia moglie non era granchè e nonostante tutto, ci ha lasciati..”

Gli domando se lui ha provato a capire suo figlio e lui mi dice: “ non c’è molto da capire, è malato…”

Gli racconto dell’autismo rifacendomi alle parole del Prof. Recalcati e gli dico che il bambino con un autismo è come un grido non raccolto da nessuno.  https://youtu.be/jF5UCYaZ8t0.

Fabrizio mi chiede: “come faccio a raccogliere il grido di mio figlio, se oggi vorrei poter silenziare ogni suo rumore?”

Le parole di Fabrizio ri-suonano dure, ma prima che io inizi a parlare, lui mi dice: “ mi sento così in colpa per questi pensieri, io amo Albi, ma oggi non sopporto più me stesso e forse è davvero questo il momento del mio fallimento..”

Gli dico che esiste il fallimento solo se trattiamo la nostra vita come una performance; mi guarda e vedo i suoi occhi lucidi.

Dico a Fabrizio che spesso la comunicazione della diagnosi di Disturbo Dello Spettro Autistico genera nei genitori sentimenti di dolore e frustrazione, uniti alla preoccupazione di non riuscire a gestire una situazione così carica di responsabilità .[4]

Lui, quindi, non è l’unico genitore ad avvertire un forte senso di impotenza che può unirsi ad un più forte senso di colpa nei confronti di questo grido non raccolto da nessuno.

Gli chiedo di cosa sente realmente bisogno in questo momento della sua vita e lui mi dice: “piangere.. ho solo bisogno di piangere..”

Inizia cosi a piangere ed io in quel momento mi sento inerme, sopraffatta da molteplici emozioni che non riesco a definire.. so che in quel momento Fabrizio ha bisogno delle sue lacrime e di me che sia lì ad accoglierle in silenzio.

Scrivo su un foglio una frase di Franco Arminio che mi emoziona:

*“Sacro non è raccontare *

ciò che sai

ma quello che ti commuove

e non sai perché”

Quando Fabrizio finisce di piangere, mi ringrazia ed io ringrazio lui e gli do il bigliettino… lo legge, mi guarda e mi dice: “se le mie lacrime sono state sacre, la sua presenza lo è stata di più. A venerdì.


[1] FREUD S. (1937). “Analisi terminabile e interminabile”, in OSF, vol. 11, Boringhieri, 1979

 

[2] BION W.R. (1962). “Learning from experience”. Heinemann. (Trad. it Apprendere dall’esperienza, Armando 1962 )

 

[3] BION, W. R. (1959). “ Attacks on linking” International Journal of Psychoanalysis, 40. (Trad. it. in Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, cit.)

 

[4] SIEGELl (2004) Autismo e bisogni educativi speciali. Approcci proattivi basati sull’evidenza per un’inclusione efficace. A cura di M. Pontis. Milano, Franco Angeli.

 

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