Come nascono i rapporti sentimentali?

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Teresa Colaiacovo - Come nascono i rapporti sentimentali?

Dalle relazioni del bambino/a che eravamo alle relazioni dell’adulto/a che siamo. E la dipendenza affettiva?

“…Sarebbe bello parlare con i bambini che eravamo e chieder loro cosa ne pensano degli adulti che siamo diventati…”(Juan Felipe Gabanhia)

C’è un posto anche per l’assenza.

Questo articolo nasce dalle numerose richieste di persone (uomini e donne- giovani e adulti) che mi chiedono il perchè le loro relazioni seguono determinati copioni (pattern di comportamento) oppure come nasce la dipendenza affettiva a livello relazionale.

Lungi dall’essere stata esaustiva, propongo quelli che vengono definiti stili di attaccamento sperimentati durante l’infanzia e che tendono poi ad essere riproposti durante l’età adulta nelle relazioni sentimentali.

Se è vero che non siamo responsabili dei condizionamenti del passato è vero anche che siamo responsabili di ciò che facciamo da adulti con noi stessi e di noi stessi.

Le percezioni dell’infanzia influenzano il vissuto emotivo dell’adulto. Essere da soli o sentirsi soli?

Le accezioni che sottendono al concetto di solitudine sono legate ad immagini quali il vuoto ed il nulla; potremmo dire che per certi aspetti si sente solo chi ha perso la fiducia nella socialità e per altri chi non riesce a creare un insieme di relazioni nelle quali la condivisione con l’altro incontra il bisogno di definire il proprio io: personalità, esperienze e desideri.

Il disegno è uno dei primi linguaggi che l’uomo utilizza solo dopo i movimenti del corpo e l’emissione dei suoni; il bambino nel disegnare spesso rappresenta e circoscrive le proprie emozioni.

Come il bambino esprime un senso di solitudine nel disegno?

Si ritiene che nel disegno infantile spesso vengano utilizzati gli animali per compensare un sentimento di solitudine, inoltre quando il bambino nel disegnare la famiglia inserisce altri personaggi sembra palesare un vuoto all’interno della stessa; la tendenza ad usare solo un’area ristretta del foglio sembra sintomatica di una mancanza di sicurezza, altrettanto interessante è l’uso dei colori, oltre che del tratto stesso con cui si disegna, nella fattispecie il colore violetto viene usato per esprimere un sentimento di tristezza.

Il bambino associa la paura del buio o dei mostri ad uno stato di solitudine, la paura che senza la disponibilità del caregiver non riuscirebbe a prendersi cura di se stesso; Il senso dell’abbandono sperimentato durante l’infanzia spesso può ripercuotersi nella vita adulta.

La sensazione di essere da solo è rintracciabile anche nell’archetipo dell’inconscio collettivo: i nostri lontani predecessori allorché non erano in compagnia della tribù di appartenenza da cui dipendevano, il legame appartenente a quella che Durkheim chiama “Solidarietà meccanica”, non potevano sentirsi protetti in vista di un’ipotetica aggressione nemica o di una bestia, sperimentando il senso di nullità del singolo nei confronti del mondo.

Oggi che tipo di solitudine sperimenta l’adulto?

Oggi l’adulto è connesso e reperibile 24h su 24 e spesso non sentire lo squillo del telefono, non vedere la luce che compare sullo schermo che indica una notifica può portare quest’ultimo a sentirsi “isolato” e “tagliato fuori” dalla società.

La solitudine fisica può lasciare il posto ad una solitudine virtuale che spesso nasconde la più grande paura di entrare in contatto con se stessi, quindi, non la paura dell’aggressione del nemico, ma la paura di affrontare il proprio io.

C’è una storia cinese che vede protagonista un imperatore che, durante un viaggio per il Paese, perde la sua meravigliosa perla; è disperato e per cercarla chiede dapprima aiuto alla Ragione, che non riesce a trovarla; poi chiede aiuto alla Potenza Suprema, ma niente di fatto ed in ultimo chiede aiuto al Nulla; il Nulla la trova. La perla, in questo racconto, è metafora dell’anima ed essa può essere trovata attraverso e con l’aiuto del Nulla, metafora della solitudine, che non è “torpore o passività”, ma coraggio di riappropriarsi della propria individualità per ri-conoscersi e ri-trovarsi. Zigmunt Bauman diceva: “Quando si evita a ogni costo di ritrovarsi soli, si rinuncia all’opportunità di provare la solitudine: quel sublime stato in cui è possibile raccogliere le proprie idee, meditare, riflettere, creare e, in ultima analisi, dare senso e sostanza alla comunicazione.”

Quando il senso di solitudine in coppia, più che desiderio dell’altro diventa bisogno dell’altro e quindi, talvolta, può sfociare nella dipendenza affettiva?

Non molto tempo fa leggevo di una donna che raccontava quanto per lei non era importante chi fosse il fidanzato, ma era centrale avere un fidanzato per non sentirsi sola; questa forma mentis può, a lungo andare, generare una sorta di dipendenza affettiva o love addiction: quest’ultima viene classificata tra le new addiction intese come nuove dipendenze di tipo comportamentale, un modello disadattivo di vivere ed intendere la relazione che collima con un senso di angoscia.

Il gruppo Reymond (Reymond, Karila, Blecha e Benyamina) nel 2010 pubblica un interessante studio su tale dipendenza, che tiene conto della durata e della frequenza della sofferenza percepita nel rapporto di coppia, di cui i primi cinque criteri attengono alla:

  • Astinenza per l’assenza dell’amato. Bisogno compulsivo;
  • Ingente quantità di tempo speso per la relazione;
  • Riduzione delle attività sociali, personali o professionali in nome della relazione;
  • Ricerca della relazione nonostante numerosi problemi;
  • Difficolta di attaccamento, come:
  • Ripetute relazioni saltate, senza periodi di attaccamento durevole;
  • Relazioni amorose dolorose caratterizzate da attaccamento insicuro.

Nelle storie d’amore, soprattutto nella fase dell’innamoramento, è normale percepire un legame emotivo intenso con il partner, è normale sentire la mancanza e l’assenza in maniera più forte; potrebbe diventare patologico vedere nel partner una madre o un padre surrogati disponibili a soddisfare i desideri o vedere nel partener stesso uno scudo di fronte alla vita per evitare di mettersi alla prova e superare i propri limiti.

La teoria dell’attaccamento di J. Bowlby, congiuntamente allo strumento d’indagine della Strange Situation di Mary Ainsworth  come spiega l’influenza del rapporto tra caregiver e bambino nel comportamento di quest’ultimo?

John Bowlby si pone in contrasto con la teoria freudiana secondo la quale il legame madre-bambino si basa solo sulla necessità di nutrimento del piccolo; infatti ritiene che il legame che unisce il bambino alla madre non è una conseguenza del soddisfacimento del bisogno di nutrizione, bensì è un bisogno primario, geneticamente determinato, la cui funzione è garantire la crescita e la sopravvivenza biologica e psicologica del bambino.

Da queste osservazioni Mary Ainsworth, collaboratrice di Bowlby, attraverso lo strumento d’indagine della Strange Situation postula il famoso sistema di classificazione degli stili di attaccamento, cui inizialmente ne prevedeva tre: sicuro, insicuro ansioso ambivalente e insicuro evitante.

Lo stile di attaccamento che un bambino svilupperà dalla nascita in poi dipende in grande misura dal modo in cui i genitori, o altre figure parentali, se ne prendono cura. In base a tale interazione si strutturerà uno dei seguenti stili attaccamento:

         1.      STILE SICURO: fiducia del bambino nella figura d’attaccamento, libertà nell’esplorazione del mondo. Il caregiver sarà sensibile e disponibile ai bisogni del bambino, oltre che pronto a dare protezione nel momento del bisogno. Il bambino avrà così sicurezza nell’esplorare il nuovo, convinzione di essere amabile, capacità di sopportare il distacco e nessun timore di essere abbandonato, percezione di se stesso e dall’altro come positivi, sentimenti di gioia.

         2.      STILE INSICURO EVITANTE: convinzione del bambino che, alla richiesta d’aiuto, non incontrerà la disponibilità del caregiver, ma verrà rifiutato. Il bambino allora farà affidamento soltanto su se stesso, cercando autosufficienza sul piano emotivo. Il soggetto, non sentendosi amato, proverà insicurezza nell’esplorazione del mondo e percepirà il distacco come prevedibile. Avrà inoltre un’apparente fiducia in se stesso e non paleserà richieste d’aiuto, percependo se stesso come positivo e affidabile e l’altro come negativo e inaffidabile, i cui sentimenti esperiti saranno tristezza e dolore.

         3.      STILE INSICURO ANSIOSO AMBIVALENTE: il bambino non sa se la figura d’attaccamento risponderà alle sue richieste ed esplorerà il mondo in maniera incerta, provando ansia e angoscia da separazione. Il caregiver sarà disponibile in alcune situazioni ed in altre no ed imprevedibile e potrà usare minacce d’abbandono come mezzo di coercizione. Il bambino percepirà se stesso come negativo e inaffidabile e l’altro positivo ed affidabile. Il sentimento predominante sarà il senso di colpa.

         4.      STILE DISORIENTATO/DISORGANIZZATO: infanti apprensivi, che piangono o che si buttano sul pavimento nel momento della separazione dai genitori; altri bambini, invece, tenderanno ad acquisire un comportamento conflittuale, altri ancora rimarranno congelati in tutti i movimenti oppure si muoveranno verso la figura di attaccamento con la testa girata in altra direzione, in modo da evitare lo sguardo.

Valutazione del legame d’attaccamento nell’adulto attraverso l’Adult Attachment Interview. Come i modelli operativi interni dell’adulto influenzano le relazioni di coppia e come questi si rifanno al sistema d’attaccamento sperimentato durante l’infanzia?

I modelli operativi interni sono rappresentazioni mentali che gli individui, secondo Bowlby, costruiscono nel corso dell’interazione con il proprio ambiente. Gli schemi interiorizzati del bambino nei primi anni di vita possono continuamente essere ridefiniti sulla base dei cambiamenti della realtà esterna e della relazione con la figura di attaccamento che muta con il mutare del bambino. Mary Main ha messo appunto una teoria chiamata Adult Attachment Interview, ovvero un’intervista semi-strutturata che valuta, secondo differenti parametri, come lo stile d’attaccamento esperito dal bambino influisca sull’individuo esaminato:

         1.      STILE SICURO: percezione del sé e dell’altro come positivi, bassa ansia e preoccupazione, coerenza e fiducia in se stessi e nell’altro. Approccio positivo con la società, intimità ed apertura nelle relazioni, le relazioni di coppia stesse sono piene di rispetto, condivisione apertura e volontà di costruzione.

         2.      STILE PREOCCUPATO: paragonabile allo Stile Insicuro Ambivalente. Questi individui hanno un modello del sé negativo e dell’altro positivo, bassa autostima e forte dipendenza dal giudizio altrui, continua ricerca di attenzioni ed insaziabile richiesta di affetto, che talvolta, tende a far allontanare l’altro in un rapporto di coppia. Relazioni passionali, emozioni contrastanti, quali rabbia, gelosia, ossessione. C’è una chiara volontà di rimandare la rottura del legame.

         3.      STILE DISTANZIANTE: paragonabile allo Stile Evitante. L’adulto vede il sé come positivo, l’altro come negativo. Grande fiducia in se stesso e convinzione di esser considerato furbo, serio e testardo dagli altri. Il soggetto svaluta le relazioni di coppia ed ha una visione cinica dei sentimenti, sottolineando l’importanza dell’indipendenza; le relazioni di un soggetto con stile distanziante difettano d’intimità.

         4.      STILE TIMOROSO/EVITANTE: assimilabile allo Stile Disorientato/Disorganizzato.  L’adulto ha una percezione del sé e dell’altro come negativo, bassa autostima e incertezza verso sé stesso e l’altro. Le relazioni di coppia vedono il soggetto in questione ricoprire un ruolo passivo, dipendente ed insicuro, inoltre, quest’ultimo tende ad auto colpevolizzarsi per i problemi della coppia e mostra una certa difficoltà nel comunicare i propri sentimenti.

E la dipendenza affettiva?

Si può associare con lo stile insicuro, ansioso ambivalente nel bambino che corrisponde allo stile preoccupato nell’adulto: le persone affette da dipendenza affettiva, spesso, presentano un attaccamento ambivalente. Queste sono cresciute con la sensazione di non essere state amate abbastanza dai loro genitori. Questi ultimi infatti hanno avuto un comportamento incostante e incoerente verso il figlio: a volte erano molto presenti ed affettuosi, altre volte freddi e distratti. I bambini cresciuti con questo tipo di attaccamento, hanno provato sentimenti di solitudine conseguenti ad una sorta di trascuratezza del genitore. Questi hanno imparato ad attirare la loro attenzione con pianti, e crisi di collera, reazioni queste rinvenibili anche nello stile disorientato/disorganizzato che corrisponde a quello timoroso nell’adulto. L’adulto timoroso, a tal proposito, ha un’insicurezza personale che lo porta a volere il controllo dell’altro, cercando da un lato di costruire un rapporto fusionale con il partner e dall’altro di tenerlo distante per paura dell’abbandono. Le persone con attaccamento ambivalente affrontano ogni relazione con aspettative eccessive e con un continuo bisogno di conferme: vogliono trovare il partner perfetto che li risarcisca delle privazioni affettive subite durante l’infanzia; spesso vivono l’amore come un’ossessione ricercando un rapporto simbiotico con il partner, manifestando, però, il timore di non essere all’altezza perché non riescono a sentirsi degni di quell’amore tanto ricercato durante l’infanzia.

Il modello relazionale introiettato durante l’infanzia, benché influisca nel vissuto emotivo e nel vivere le relazioni adulte, non sempre si trasforma in un modo disfunzionale nel vivere le proprie relazioni. Alejandro Jodorowsky diceva: “Gli uccelli nati in gabbia pensano che volare sia una malattia.” Ciò potrebbe essere letto come un pensiero adattivo, che aiuta l’adulto a riconoscere i propri sentimenti, i propri disagi e la propria ombra, provocando numerose angosce in coppia e al di fuori della stessa, imparando che saper volare non è la malattia, ma non cogliere “l’avversario” dentro ciascuno di noi potrebbe provocare la stessa cosa.

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