la fine di una storia, al di là delle etichette. Sei disposto a rinunciare a ciò che ti ha fatto ammalare?

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Teresa Colaiacovo - la fine di una storia, al di là delle etichette. Sei disposto a rinunciare a ciò che ti ha fatto ammalare?

“…Il disamore non è mai reciproco

Uno dice che l’amore è finito e l’altro è sempre stupito…” F. Arminio

Irene (nome di fantasia) ha 43 anni ed  inizia le sedute di supporto psicologico con me perché dice (riporto le sue parole in corsivo): “non dormo bene da quando io e Vittorio ci siamo lasciati ed ho spesso ansia…”

Dopo la disamina e la descrizione dei suoi stati d’ansia e della sua insonnia.. le chiedo di raccontarmi la fine del suo rapporto.

Irene mi dice: “dottoressa è lui che mi ha lasciata, io gli facevo da serva e lui sminuiva ogni mio comportamento…nonostante questo volevo stare con lui, perché senza sarei stata malissimo, io avevo bisogno di lui…”

Le chiedo cosa significa fare da serva per lei e in cosa consisteva questo nel rapporto, lei mi dice: “lavavo, stiravo, cucinavo i suoi piatti preferiti, facevo sesso ogni volta che voleva e non mi lamentavo mai…”

Le chiedo perché non si lamentasse e lei mi dice: “perché odio il pensiero di stare da sola e alla fine meglio lui che mangiare e dormire da sola..”.[1]

Inizia, in questo modo, a raccontarmi tutti gli svantaggi dello stare da sola, mentre mi parla si muove molte come se avesse una certa foga nel dirmi che lei aveva delle buone ragioni per rimanere nella coppia.

Ad un certo le domando quali fossero per lei gli svantaggi nell’essere la fidanzata di Vittorio, Irene mi guarda come se fosse offesa per la mia intrusione-interruzione e mi dice: “beh dottoressa, come le ho già detto, è un uomo che ha bisogno di avere tutto in ordine, di avermi a sua disposizione, altrimenti mi denigra anche davanti ad altre persone…”

Mi rendo conto che Irene parla ancora al presente e le domando di farmi degli esempi specifici in cui lui la voleva a sua disposizione e di quando la denigrava.

Mi dice: “una volta, avevo una distorsione al polso, ed ha preteso che lucidassi i pavimenti di casa perché alla sera aveva organizzato una cena con i suoi amici a casa, quindi ho dovuto lucidare casa e cucinare…anche gli amici erano dispiaciuti…”

Domando ad Irene: “secondo lei come la definirebbero lei gli amici di Vittorio e come definirebbero lui?”

Mi dice:” loro mi dicevano che ero una Santa e a lui davano sempre del despota o del narcisista, ma credo ci scherzassero su…”

Le domando come si sentisse lei in quelle circostanze e mi dice: “umiliata, ma sapevo che lui poi sarebbe stato contento di me… quella volta che le raccontavo la sera ha voluto avere un rapporto sessuale, anche se per il troppo dolore al polso avevo preso un antidolorifico… ma dopo il rapporto mi ha detto che ero una donna fantastica…”

Le dico: “prima di farmi un esempio di situazioni in cui lui la denigrava vorrei soffermarmi con lei sul punto in cui lui  dopo che lei eseguiva gli ordini la premiava, ecco questo come la faceva sentire?”

Mi dice:” a volte piangevo dopo perché mi rendevo conto di essere una cretina, una che si accontentava delle briciole, ma poi iniziavo a pensare che almeno avevo accanto un uomo…pensi dottoressa che molte mie amiche mi dicevano che Vittorio era un narcisista e io una poveraccia…”

Ultimamente credo che l’etichetta narcisista[2] sia abusata, spesso prima di definire una persona in un modo, piuttosto che in un altro, c’è bisogno di una conoscenza diretta e soprattutto mi piace pensare alla diagnosi come ad un qualcosa che possa evolversi nel tempo, una diagnosi, in qualche modo ecologica.[3]

Inoltre, molte dinamiche di coppia si basano su equilibri complessi, in questo caso sembra che mentre Irene risponda ai sintomi di Vittorio, quest’ultimo risponda ai suoi sintomi tra cui il bisogno di non essere da sola, il bisogno di dormire con qualcuno e probabilmente anche il bisogno di sentirsi utile.

Al di là delle diagnosi credo non sia utile etichettare l’uno o l’altro in un certo modo, utile al paziente, perché questo potrebbe poi portare anche in maniera inconscia a costruirsi una sorta di alibi atto a non vedere gli errori personali.

Per esempio, in questo caso potrebbe essere: io soffro perché lui è un narcisista maligno e mi ha usata perché sono una dipende affettiva.

Credo che un punto di svolta, invece, potrebbe essere: cosa mi porta a ri-cercare la vicinanza di uomini che non mi amano pur di non stare da sola? Da cosa nasce questo mio bisogno e come posso cambiare atteggiamento?

Irene mi racconta: “dottoressa quando mi trattava male piangevo per giorni, una volta mi ha urlato che ero scema e stava con me solo per non pagare una badante solo perché al ristorante ho chiesto al cameriere cosa fosse un certo piatto.. si è arrabbiato perché dovevo chiederlo a lui…”

Guardo gli occhi lucidi di Irene e mi rendo conto che ancora non c’è stata una separazione emotiva da Vittorio; le domando: “ Irene che sogni aveva da bambina?”

Mi dice che sognava di lavorare ed avere uno stipendio per non dipendere dal marito, visto che sua mamma dipendeva da suo padre economicamente e poi aggiunge: “ ho fatto la fine di mia mamma, se non peggio..”

Dopo aver esplorato il presente del paziente, nonché il contesto in cui attualmente vive, ci si interessa del passato, cioè della memoria del passato, alla ricerca di connessioni e continuità con la vita presente.[4]

Prima del termine della seduta chiedo ad Irene di scrivere i ricordi più salienti della sua vita, positivi e negativi, da che ha memoria e di inviarmeli prima del prossimo incontro, in modo da lavorarci insieme.

Irene mi dice: “ dottoressa, ma dimenticherò Vittorio e troverò qualcuno che mi ami o continuerò a cercarlo elemosinando una sua attenzione?”

Le rispondo con una frase di Ippocrate a me molto cara: “prima di guarire qualcuno chiedigli se è disposto a rinunciare a ciò che lo ha fatto ammalare…”

Mi sorride.


[1] ll gruppo di Reynaud (Reynaud, Karila, Blecha e Benyamina, 2010), partendo dalle analogie riscontrate con la dipendenza da sostanze, propone una definizione diagnostica della love addiction, basata sulla durata e sulla frequenza della sofferenza percepita, essa si presenta come:

Un modello disadattivo o problematico della  relazione d'amore che porta a deterioramento o angoscia clinicamente significativa, come manifestato da tre (o più) dei seguenti criteri (che si verificano in ogni momento, nello stesso periodo di 12 mesi, per i primi cinque criteri):

  1. Esistenza di una sindrome da astinenza per l’assenza dell’amato, caratterizzata da significativa sofferenza e un bisogno compulsivo dell’altro;
  2. Considerevole quantità di tempo speso per questa relazione (in realtà o nel pensiero);
  3. Riduzione di importanti attività sociali, professionali o di svago;
  4. Persistente desiderio o sforzi infruttuosi di ridurre o controllare la propria relazione;
  5. Ricerca della relazione, nonostante l’esistenza di problemi creati dalla stessa;
  6. Esistenza di difficoltà di attaccamento, come manifestato da uno dei seguenti:
    1. (a) ripetute relazioni amorose esaltate, senza alcun periodo di attaccamento durevole;
    2. (b) ripetute relazioni amorose dolorose, caratterizzate da attaccamento insicuro”.

 

[2] per definire la diagnosi di disturbo narcisistico di personalità, il DSM-5 si concentra su alcuni aspetti psicopatologici evidenti, evitando di considerare le strutture psicologiche sottostanti . Il disturbo è presente nella sezione II del Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-5, 2013). Per poter fare diagnosi di disturbo narcisistico di personalità sono necessarie almeno 5 delle seguenti caratteristiche:

  1. Ha un senso grandioso di sé.
  2. E’ frequentemente occupato da fantasie di successo illimitato, potere, gloria, bellezza o amore ideale.
  3. Crede di essere speciale e unico e che può essere compreso solamente da altre persone speciali o persone con status elevato.
  4. Ha bisogno di ammirazione eccessiva.
  5. Si aspetta di essere sempre trattato in modo speciale.
  6. Tende a sfruttare le altre persone per raggiungere i propri obiettivi.
  7. Mostra deficit di empatia: fatica a riconoscere o identificare i sentimenti e i bisogni degli altri.
  8. E’ spesso invidioso degli altri o crede che gli altri siano invidiosi di lui.
  9. Si mostra arrogante nei confronti degli altri.

 

[3] I disturbi narcisistici si caratterizzano per un’esperienza soggettiva di vuoto interiore e di assenza di significato. Necessitano di conferme esterne del proprio valore. Il ritratto del DSM V di tale disturbo mostra la versione più arrogante e non tiene conto della versione più introiettiva del narcisimo. I narcisisti si confrontano spesso con gli altri, li idealizzano e li svalutano. Nel primo caso si sentono speciali per il solo fatto di avere una relazione con una persona idealizzata, nel secondo si sentono superiori. Il PDM distingue fra il tipo arrogante che crede di avere tutti i diritti (il narcisista inconsapevole di Gabbard, 1989) e il tipo depresso/svuotato (il narcisista ipervigile di Gabbard ,1989) che tende ad ingraziarsi gli altri e viene facilmente ferito.

 

[4] BOSCOLO L., BERTRANDO P., I tempi del tempo, 1993.

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