Sono triste o depresso?

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Teresa Colaiacovo - Sono triste o depresso?

“ … alle volte uno si sente incompleto ed è soltanto giovane…”

I. CALVINO

Il rientro dalle ferie genera spesso un senso di smarrimento e oppressione. Molti pazienti si domandano e mi domandano : “sono triste o depresso? “Tra questi pazienti mi ha colpito Emanuela, è una ragazza di 28 anni che si occupa da diversi anni di consulenza fiscale. Prima di partire per le vacanze, aveva quasi paura di lasciare il suo lavoro perché mi diceva: “senza gli impegni mi sento sola!

Il lavoro per lei è stato sempre una valvola di sfogo, un contenitore per le sue paure e soprattutto l’unico modo a lei conosciuto per gratificarsi.

Abbiamo lavorato per un po’ di tempo sia sull’importanza del lavoro come fonte di gratificazione personale, e su come questo, spesso fosse l’unico modo per lei per scappare da un senso di solitudine che aveva origini ataviche.

Mi diceva: “ i miei mi hanno insegnato che lavorare è l’unico rimedio…”

Il suo pattern acquisito dal familiare era diventata una sorta di schiavitù emotiva; Emanuela aveva paura di dire ai genitori che andava in ferie.

Abbiamo lavorato sul mandato familiare e su quanto lei si sentisse in colpa nel tradire ciò che la famiglia le aveva insegnato.

I miti familiari consistono in una serie di credenze e aspettative condivise da tutti i membri della famiglia, riguardanti i ruoli e le posizioni di ciascuno di essi all’interno del sistema familiare.

Il mito è anche una sorta di codice o lente attraverso cui una famiglia e i suoi appartenenti interpretano e assegnano valori al mondo esterno.

Mito e mandato familiare sono due concetti chiave della psicologia e psicoterapia relazionale: il mito è un’immagine idealizzata che funge da modello di interpretazione della realtà e ha una funzione prescrittiva in merito ai ruoli da ricoprire, i valori da perseguire, le modalità di comportamento relazionale e le scelte da fare nella vita (tra cui la scelta del partner): il mito definisce il mandato familiare che ogni individuo è implicitamente chiamato a portare avanti (Andolfi, 1987).

 

Ho chiesto ad Emanuela se davvero il lavoro gratificasse lei o la sua famiglia e prima delle vacanze ci siamo salutate con questo interrogativo.

Al rientro lei mi ha raccontato delle sue ferie parlandomene in termini rigenerativi, poi si è incupita e mi ha chiesto: “ ora mi sembra di tradire tutti, perché in studio non mi sento più a casa e non so se sono triste o depressa..”

 

LA TRISTEZZA

È un'emozione universale dell'essere umano come la gioia la rabbia o per esempio il disgusto virgola è una risposta temporanea a uno stimolo o ad un evento.

LA DEPRESSIONE

è un disturbo psichico che dura almeno due settimane e compromette il funzionamento quotidiano della persona in ambito sociale, relazionale e lavorativo. La depressione non è solo tristezza.

La depressione maggiore, detta anche depressione endogena o depressione unipolare, è un disturbo dell’umore caratterizzato da sintomi come: profonda tristezza, calo della spinta vitale, perdita di interesse verso le normali attività, pensieri negativi e pessimistici, disturbi nelle funzioni cognitive e sintomi vegetativi come alterazione del sonno e dell’appetito (Otte et al., 2016). E’ un disturbo molto frequente, la cui incidenza è doppia nel sesso femminile, e particolarmente diffuso. L’organizzazione mondiale della sanità (WHO) valuta la depressione maggiore come uno dei disturbi più invalidanti al mondo con un costo sociale elevatissimo. Oltre alle problematiche psichiatriche infatti il disturbo depressivo maggiore è associato ad un aumentato rischio di sviluppare diabete, disturbi cardiaci e ictus (Whooley et al., 2013). Il disturbo depressivo maggiore è stato inserito nel 1980 all’interno del DSM-III, il manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali che oggi è alla sua quinta edizione (DSM-5).

La depressione maggiore è un disturbo psichiatrico debilitante che è caratterizzato dalla presenza di almeno un episodio depressivo della durata minima di due settimane.

Il disturbo depressivo maggiore si caratterizza con un importante calo del tono dell’umore, una riduzione di interessi e di attività piacevoli, cambiamenti nel contenuto del pensiero e alterazioni della cognizione, oltre a problematiche vegetative, come alterazioni del sonno e dell’appetito.

Il paziente infatti permane in uno stato di profonda tristezza, disperazione e apatia per tutto il giorno, con continue rimuginazioni, cali dell’attenzione e pensieri negativi su di sé, sul proprio futuro e il contesto sociale che lo circonda (Otte et al., 2016).

I sintomi della depressione maggiore sono vari, molteplici e possono presentarsi in modo anche molto diverso tra loro. In linea generale gli aspetti tipici di questo disturbo sono l’umore deflesso (tristezza profonda) e la perdita di interesse verso le normali attività quotidiane. I sintomi principali della depressione sono:

  • Umore depresso (es. sentirsi triste, vuoto, senza speranza).
  • Perdita di interesse e piacere nel fare qualsiasi cosa.
  • Significativa perdita di peso o aumento di peso.
  • Agitazione psicomotoria o rallentamento psicomotorio.
  • Stanchezza cronica e perdita delle energie.
  • Sentimenti di indegnità o sensi di colpa eccessivi o inappropriati.
  • Maggior difficoltà nel pensare e restare concentrati, oppure patologica indecisione.
  • Ricorrenti pensieri di morte, ricorrenti ideazioni suicidarie oppure tentativi di suicidio.

Parlando del tutto con Emanuela, lei mi dice: “e allora dottoressa perché se non ho questo disturbo mi sento come svuotata?

Le racconto che il mio percorso di analisi è iniziato con una domanda fatta al mio analista, di cui conservo un caro ricordo, la domanda era: “dottore mi sento triste per il poco o per il troppo?

Ricordo con tenerezza che lo stesso rispose dicendomi che questa domanda valeva l’intero percorso di analisi.

Emanuela mi chiede: “e poi ha trovato la sua risposta?”

Le racconto che la mia risposta sono i pazienti che ogni giorno vedo, i libri che studio ed il tempo che ritaglio per leggere dei thriller psicologici, magari guardando il mare o perdendomi in un paesaggio fatto di natura, ed in quel momento mi rispondo che la vita è fatta di momenti brevi di serenità e quei momenti sono la mia ricchezza.

Emanuela mi guarda con aria sognante e mi dice: “lei non si preoccupa di non essere all’altezza dei suoi genitori?”

Le rispondo con una riflessione che faccio spesso tra me e me “ la Teresa di 8 anni sarebbe contenta della Teresa di oggi? E questo mi basta o me lo lascio bastare..”

 

 

 

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