UNA FIGLIA SOLA ED UN REGALO PER "RI-COSTRUIRSI"

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Teresa Colaiacovo - UNA FIGLIA SOLA ED UN REGALO PER

“…La mia idea sul Natale, antica o moderna che sia, è molto semplice: amare gli altri. Pensateci un attimo, perché dobbiamo aspettare il Natale per iniziare?”

Lucia ha 43 anni (dati di fantasia) inizia un percorso psicologico con me perché dice: “il Natale mi distrugge, la finta allegria mi fa sentire sola..”

Le chiedo cos’è per lei la solitudine e mi dice: “boh… non ho una storia ed i miei non fanno altro che ricordarmi che sono vecchia per averne una..”

Le chiedo come viveva il Natale da bambina e mi dice: prendendomi cura di mia mamma che era sempre depressa perché mio padre viaggiava per lavoro e la tradiva..”

I genitori dovrebbero essere una fonte di amore, sicurezza e sostegno per i loro figli.Ma che cosa succede quando sono i figli a dover sostenere i genitori?Questa situazione si chiama parentification, ed è un fenomeno che può avere effetti negativi sullo sviluppo e sulla salute mentale dei bambini.

La parentification si verifica quando i genitori cercano nei propri figli un supporto emotivo e/o pratico, piuttosto che fornirlo.Quindi, il bambino (o adolescente) diventa il caregiver ed è costretto ad assumersi responsabilità e ad avere comportamenti da adulto prima di essere pronto a farlo.Inoltre, non riceve riconoscimento o supporto per l’assunzione di tali responsabilità.Il termine è stata coniato dallo psichiatra ungherese-americano Ivan Boszormenyi-Nagy, tra i fondatori della terapia familiare.

Esistono due tipi principali di parentification: strumentale ed emotiva.Nel primo caso, i figli si occupano di compiti pratici come prendersi cura dei fratelli minori, gestire la casa, pagare le bollette o assistere un genitore disabile.Nel secondo caso, i figli forniscono supporto emotivo a un genitore, ascoltando i suoi problemi, offrendo consigli, facendo da mediatore tra i familiari o confortando il genitore.

La parentification può avere conseguenze psicologiche negative per i figli, come il cosiddetto “trauma relazionale”.Il trauma si verifica durante l’infanzia quando i legami tra genitore e figlio sono in qualche modo interrotti o spezzato, creando uno stato di stress cronico, nell’ambito del quale i bambini non sono in grado di avere il sostegno e la protezione di cui hanno bisogno.

Winnicott sosteneva che, “non esiste un bambino senza la madre”. Questa affermazione, apparentemente paradossale, sta a significare che per comprendere il comportamento di un bebè, il filtro che l’osservatore deve utilizzare è quello dato dalle “rappresentazioni”, consce e inconsce che i genitori hanno di lui.

Ma da dove scaturiscono queste rappresentazioni? Secondo Palacio Espasa ogni individuo nel diventare adulto sedimenta nel proprio inconscio delle immagini di se stesso bambino e dei propri genitori che vanno a costituire delle “identificazioni”. Tali identificazioni si riattivano con la nascita del bambino nel complesso processo trasformativo che l’autore definisce “lutto evolutivo”. La nascita del bambino comporta, infatti, l’inclusione di una “neoformazione” nella personalità del genitore, il “bambino reale”, per natura diverso da quello immaginato, e la perdita dello statuto esclusivo di figlio, che normalmente tende a risolversi con l’identificazione da parte del neo-genitore con i propri genitori. Ma il bambino reale non è mai solo “il bambino”, ma è anche il “bambino che i genitori avrebbero voluto essere…” e specularmente i genitori si identificano con “i genitori che avrebbero voluto avere…” Questa “gioco “di identificazioni incrociate è cruciale per la formazione dei primi legami ed è una delle chiavi di lettura per comprendere le interazioni tra genitori e figli.

Quindi per capire qualcosa di un bambino dobbiamo anche vedere ed ascoltare le persone che si prendono cura di lui. Dal punto di vista di Winnicot la “cura” prevede:[1]

1) la “preoccupazione materna primaria” ovvero una condizione mentale della madre di intensa e totale dedizione al neonato capace di alimentare in lui l’illusione di essere tutt’uno con lei;

2) l’holding ovvero la capacità della madre di fungere da contenitore delle angosce del bambino, intervenendo per soddisfare i suoi bisogni emotivi e riuscendo a mettersi da parte nel momento in cui il bambino non ha bisogno di lei;

3) la “madre sufficientemente buona” cioè una madre che attivamente si adatta alle necessità del bambino, un adattamento attivo che a poco a poco diminuisce a seconda della capacità del bambino che cresce, di tollerare la “disillusione” e la frustrazione, conseguente al venir meno della totale corresponsione materna ai suoi bisogni emotivi.Per Bion un’altra dimensione della cura materna è data dalla funzione di rêverie, ovvero uno stato mentale aperto alla ricezione di tutti gli stimoli provenienti dal bambino e in particolare alle “identificazioni proiettive” legate alle intense angosce di morte, elicitate nel neonato dalla condizione di assoluta dipendenza. Attraverso la sua “funzione alfa”, ovvero attraverso la sua capacità di pensiero, la madre metabolizza le ansie del bambino e gliele restituisce in un modo per lui più tollerabile.Indipendentemente dalla declinazione che il concetto di cura ha per la psicoanalisi, il ruolo del padre è centrale, inizialmente per il sostegno dato alla madre, successivamente per la sua funzione di modulatore della separazione all’interno della coppia madre-bambino e per consentire passaggio da legami di tipo diadico a legami di tipo triadico.

Quindi per la psicoanalisi una dimensione centrale dell’ “l’ambiente” di crescita del bambino è rappresentata dall’assetto emotivo e dall’intrapsichico dei genitori, per la cui comprensione ed esplorazione servono contesti e strumenti specifici.[2]

Chiedo a Lucia se negli anni si è sentita in qualche modo curata dai suoi genitori e lei mi risponde: No, solo rimproverata e criticata… la figlia rotta di una famiglia rotta.

Le sue parole sono forti, dure e mi colpiscono molto.

Ciascun genitore può svolgere adeguate funzioni genitoriali, intese come funzioni della mente, se può fare riferimento a un duplice referente materno e paterno, che gli consente di svolgere funzioni paterne e funzioni materne in armonica interazione.

La funzione materna di contenimento e rispecchiamento consente al bambino di sperimentare una continuità del sé e di raggiungere uno stato di coesione del sé.

La funzione paterna, introduce separatezza, profondità e processualità (senso del tempo) nella relazione con il figlio, favorendo in quest’ultimo l’accettazione del diverso da sé, la costruzione di un sé separato, la conquista di uno spazio psichico e di un’attività psichica (capacità di provare emozioni, di immaginare, di sognare).

La disposizione genitoriale affettiva include la capacità di generare amore, di sostenere la speranza, di contenere la sofferenza, oltre a quella di pensare.[3]Essa presuppone che siano di continuo elaborati gli aspetti conflittuali delle relazioni dei genitori con gli oggetti del passato e con gli altri significativi del presente e che nel figlio possa essere proiettato il proprio sé infantile investito narcisisticamente (come dire una buona dose di autostima).[4]

L’esperienza clinica insegna che in situazioni favorevoli, che non necessariamente conseguono al desiderio e al progetto cosciente di avere un figlio, quest’ultimo, per il fatto stesso di esistere, e per il suo potenziale di sviluppo può rappresentare un momento di crescita per i genitori nel senso che sollecita una serie di aggiustamenti che vanno dalla creazione di uno spazio psichico per il figlio, all’elaborazione di traumi e conflitti con figure significative del passato, alla revisione del legame di coppia, all’elaborazione del lutto dei genitori rispetto a superati valori, ad una maggiore apertura e confronto dialettico con l’ambiente sociale. E’ quello che si può definire come il contributo del figlio alla genitorialità[5].Se succede che i sintomi del bambino non siano più gestibili all’interno del nucleo familiare i genitori sono allora sollecitati a chiedere interventi specialistici dei quali essi stessi possono usufruire. E’ in questo senso che il sintomo del figlio rappresenta una speranza anche per i genitori. L’analista interviene a riparare dove il disagio e la sofferenza del figlio non è riuscita aprire spazi di riflessione su quello che non ha funzionato o non sta funzionando, nella speranza di saperne un po’ di più su ‘come fare crescere i bambini di qualunque età’.[6]

Dopo che Lucia mi racconta del suo passato in famiglia e di come odi ritrovarsi ancora oggi a pranzo, soprattutto durante le feste di Natale, le chiedo: “ per cosa oggi dovrebbe dire grazie ai suoi genitori?”

Lei mi dice: “mi prende in giro?”

Le rispondo di no e che secondo me qualcosa di buono deve pur esserci… lei ci riflette e mi dice: “forse ha ragione… il fatto di avermi fatto laureare, almeno oggi lavoro e di questo sono soddisfatta ed anche il fatto di avermi insegnato a cucinare, anche perché mia mamma era sempre depressa per cucinare…”

Le dico: “le piace cucinare?” mi risponde: “si, molto…peccato che sono single e non so per chi cucinare e non ho granchè amici…”

Le dico: “perché non si scrive ad un corso di cucina, magari conosce gente nuova oltre a fare qualcosa che le piace… non potrebbe essere un bel regalo di Natale per lei?”

Mi dice: “ ha ragione… non ci avevo mai pensato… forse mi distraggo anche…”

Prima di salutarci le lascio un biglietto con una poesia:

“Alzatevi durante la cena, ditelo che avete un dolore che non passa. Guardate negli occhii parenti, provate a fondare davvero una famiglia una federazione di ferite.Ora che siete in compagnia ditela la vostra solitudine, sicuramente è la stessa degli altri.E dite la noia, l’insofferenza per il freddo, per il cappotto,per la digestione.Se scoppiate a piangere è ancora meglio ,scandalizzateli i vostri parenti, piantate la bandiera dell’inquietudine in mezzo al salotto.Fatevi coraggio, prendete un libro di poesia leggete qualche verso, loro per domani hanno programmato il cinema.Parlate dei morti, parlate di voi e poi ascoltate, sparecchiate, togliete di mezzo il cibo, mettete a tavola la vostra vita. ..” F. Arminio


[1] Winnicott D,(1971). Gioco e realtà. trad. Giorgio Adamo e Renata Gaddini, prefazione di Renata Gaddini. Roma, Armando, 1974.

[2] Bion W. (1962). Apprendere dall’esperienza. Roma, Armando, 1996 .

[3] Meltzer, D.Harris M. (1968).Il ruolo educativo della famiglia: un modello psicoanalitico dei processi di apprendimento. Centro Scientifico Torinese.

[4] Freud.S (1914). Introduzione al narcisismo.OSF vol.7

[5] Piovano.B. (2004).Parenthood and Parental Functions as a Result of the Experience of Parallel Psychotherapy with Children an Parents. Int.ForumPsychoanal 13: (187-2004)

[6] Bion, W.R (1975). Memorie del futuro. Trad.it. Raffaello Cortina, Milano

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