LA MIMOSA É SOLO UN SIMBOLO: IL CORAGGIO DI ESSERE DONNA PER LA PROPRIA DIGNITÀ

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Teresa Colaiacovo - LA MIMOSA É SOLO UN SIMBOLO: IL CORAGGIO  DI ESSERE DONNA PER LA PROPRIA DIGNITÀ

“…Siamo state amate e odiate, adorate e rinnegate, baciate e uccise, solo perché donne…” Alda Merini


Bianca ha 49 anni e da 20 anni lavora come commessa presso un centro commerciale a 30 minuti da dove vive, é sposata da 15 anni ed ha due figli.(dettagli su nomi sono di fantasia)

inizia un percorso con me, dice: “ come regalo per la festa delle donna.. l’altro giorno guardando le mimose mi sono detta o lo faccio ora o mai più…”

Parliamo di questo ora o mai più e mi dice: “sono anni che provo a separarmi da mio marito perché ogni qual volta é nervoso urla e spesso mi picchia oltre a costringermi ad avere rapporti sessuali che lui definisce doveri coniugali…”

rimango interdetta dalla freddezza delle sue parole, non trapelano emozioni, è rigida e ferma mentre mi parla e mi interrogo sul suo passato, sulle sue origini.

Le chiedo della sua famiglia e mi dice: “apparentemente normale… io ho solo un fratello che é scappato di casa a 17 anni perché non ce la faceva più… mia mamma é una donna di altri tempi, ha sopportato sempre i tradimenti e la violenza di mio padre e mi ha detto che bisognava accettare perché il matrimonio é un vincolo Sacro…”


COSA ACCADE IN UN RAPPORTO DI COPPIA…

Nei rapporti sentimentali, soprattutto in quelli stabili, entrano in gioco diversi sistemi motivazionali in grado di orientare i nostri comportamenti (Liotti & Farina, 2011), i principali sono:

  • Sistema motivazionale sessuale, ci spinge a ricercare il contatto fisico e sessuale con l’altro a fini riproduttivi 
  • Sistema motivazionale dell’accudimento, genera la spinta a interessarsi al benessere del partner e a prendersi cura di lui 
  • Sistema motivazionale dell’attaccamento, ci induce a ricercare la prossimità, il supporto e l’aiuto del partner 
  • Sistema motivazionale cooperativo, genera comportamenti finalizzati alla cooperazione per raggiungere obiettivi comuni, alla negoziazione e al raggiungimento di compromessi funzionali 

Eppure, talvolta, un altro sistema può farsi ingombrante sulla scena, prendere molto spazio con prepotenza, fagocitando gli altri, fino ad arrivare a soffocare la relazione: il sistema di rango, ovvero quello competitivo. 

Quando il sistema agonistico di rango ruba la scena a tutti gli altri, assoggettandoli, ecco che il rapporto assume tinte cupe, angoscianti. La relazione non è più fonte di sicurezza, accoglienza, amore, bensì si trasforma in lotta per la supremazia, per la prevaricazione e il dominio sull’altro.

In questi casi le dinamiche divengono fortemente  disfunzionali e si può entrare in una crescente spirale di violenza.

Bianca mi racconta che spesso lei non si accorge più del dolore e che le sembra normale, mi dice che lasciare il marito sarebbe lasciare anche i figli e distruggere la famiglia e poi mi dice: “ dottoressa senza di lui non saprei più chi sono io…”

le sue parole mi colpiscono molto e mi soffermo a pensare ad un’altra dinamica: la relazione dal punto di vista della vittima e del carnefice e quanto spesso i due ruoli si confondano.

Le relazioni tossiche sono caratterizzate da una forte ambivalenza. Entrambi i partner coinvolti, sia l’abusante che chi subisce l’abuso, si alternano, assumendo di volta in volta tre ruoli diversi (Verardo, 2020):

  • Persecutore
  • Vittima 
  • Salvatore 

Chi maltratta…

  • È il persecutore nel momento in cui attacca, umilia, disprezza l’altro 
  • È la vittima nel momento in cui chiede perdono, piange, chiede scusa e promette di non farlo più, giura che per amore cambierà, implorando il partner di non lasciarlo: “Ti prego aiutami a cambiare, a diventare una persona migliore”, “Agisco così perché sto tanto male”, “Sono distrutto/a, non abbandonarmi anche tu, solo tu puoi salvarmi”
  • È il salvatore nel momento in cui cessa di essere violento/a ed elargisce cura, attenzioni, si mostra tenero e affettuoso con il partner, andando a lenirne il dolore 

Chi subisce la violenza psicologica…

  • È la vittima nel momento in cui viene maltrattato, denigrato, aggredito 
  • È il persecutore nel momento in cui l’abusante attribuisce lui/lei la responsabilità del suo comportamento violento con frasi come “Sei tu che mi fai andare fuori di testa”, “è colpa tua se ho reazioni così violente, non mi era mai successo prima”, “Se solo tu mi amassi e mi interessassi a me non mi arrabbierei così tanto”
  • È il salvatore nel momento in cui l’abusante chiede aiuto, piange, si dispera per i comportamenti messi in atto e lui si sente l’unico che può aiutarlo  

Ecco che in questa danza disfunzionale si continua a perpetuare il così detto “triangolo drammatico” (Liotti & Farina, 2011) in cui spesso alla base c’è una sorta di attaccamento disorganizzato in cui il bisogno d’amore ci  fa sentire in pericolo.

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Per la vittima diviene sempre più difficile sganciarsi, anche perché ogni ferita inferta attiva il bisogno di riparazione, di comprensione e sintonizzazione, bisogno che viene appagato dal maltrattante quando cessa il comportamento violento

Fattori che rendono ancor più difficile per chi subisce la violenza interrompere le dinamiche disfunzionali:

  • Annientamento dell’autostima. La violenza psicologica agisce a livello identitario, logorando lentamente e inesorabilmente la fiducia in se stessi. Ci si mette in dubbio, ci si sente sempre più delle nullità, immeritevoli di amore e rispetto. Ecco che si diventa così sempre più dipendenti dall’abusante, l’unica persona che di tanto in tanto fornisce attenzioni. 
  • Negazione o minimizzazione delle condotte da parte dell’abusante. Chi perpetua la violenza può arrivare a negare la sua aggressività o affermare che chi subisce sta esagerando: “Suvvia, te la prendi per nulla!” “Stavo solo scherzando, non te la sarai presa?!”. La vittima arriva così a mettere in discussione il suo punto di vista, il suo vissuto, dubitando persino delle sue sensazioni 
  • Convinzione di meritarselo. La vittima si persuade di essere lei la colpevole dei maltrattamenti
  • Vergogna. Nel momento in cui mette a fuoco le dinamiche relazionali, chi subisce maltrattamento psicologico può vergognarsi di chiedere aiuto e di raccontare ciò che sta vivendo.

Cosa è bene tenere a mente…

  • All’interno di una relazione sana, funzionale e appagante nessuno ha il diritto di sminuire, controllare, dominare l’altro. Un rapporto sano prevede reciprocità, ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione in modo assertivo e costruttivo, senza che una parte prevarichi sull’altra. 
  • Il rispetto è un presupposto imprescindibile e le prese in giro irrispettose del vissuto e delle emozioni del partner non sono semplici “scherzi”. Nelle relazioni equilibrate è fondamentale considerare l’impatto che le nostre parole possono avere sull’altro. Se uno dei membri della coppia non mostra interesse verso il vissuto del partner o non si preoccupa di calibrare la comunicazione in modo da non ferirlo, allora non siamo di fronte ad un’interazione sana. 
  • Chi maltratta ha bisogno di aiuto, ma di un aiuto mirato, professionale, non può essere il partner a “salvarlo”. Non basteranno le attenzioni e non sarà sufficiente fare tutto ciò che chiede, essere accondiscendenti
  • Se si è vittime di maltrattamenti psicologici si ha il diritto e il dovere di chiedere supporto e aiuto, di tutelarsi. Se l’altro trascura o calpesta i nostri bisogni emotivi, siamo noi a doverli difendere. Non è possibile cambiare il proprio aggressore, non è possibile ottenere (se l’abusante non è disposto a farsi aiutare e cambiare) ottenere  amore “sano” all’interno di quella relazione, ma è possibile cambiare le proprie reazioni e operare scelte che permettano di muoverci verso un maggiore benessere e amore verso di sé. 

Chiedo a Bianca quali sono le parole che vorrebbe dire alla Bianca del prossimo anno… e lei mi dice: “non sei solo una donna che fuma…” mentre lo dice inizia a piangere e credo che dentro quelle lacrime, così come dentro il fumo di una sigaretta ci siano tutte quelle paure ed emozioni che non si é mai concessa.

la saluto con un bigliettino: “ Ai primi sintomi bisogna andarsene, lasciare il campo.Tanto non va meglio, va peggio e peggio.Invece la gente non sa.La gente spera e continua a stare male” M. MAZZANTINI

BIBLIOGRAFIA

Liotti, G., Farina, B. (2011). Sviluppi Traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Milano: Raffaello Cortina Editore

Verardo, A.– Workshop (2020): “Il legame di attaccamento nelle relazioni sentimentali. Il protocollo EMDR nel trattamento della crisi di coppia”. Associazione EMDR Italia

Mazzantini M., Nessuno si salva da solo

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