L'ANORESSIA NERVOSA E LA FAME DI AMORE

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Teresa Colaiacovo - L'ANORESSIA NERVOSA E LA FAME DI AMORE

Alessandra (nome di fantasia) ha 19 anni e  soffre di anoressia nervosa da molti anni, entra ed esce da cliniche diverse.

I genitori sono preoccupati, lei sembra ormai abituata e sembra che il racconto che i genitori mi fanno di lei e dei suoi problemi con il cibo non la scalfisca minimamente.

Ripenso a tutto ciò che ho letto e studiato sull’anoressia nervosa; i fattori etiologici di quest’ultima restano ancora un interrogativo così come le modalità di cura.

Questa patologia è caratterizzata da condotte restrittive relative al cibo, distorsione dell’immagine corporea e capacità socio cognitive insoddisfacenti, come ritiro sociale correlato ad una mancanza di interesse nelle interazioni sociali (anedonia sociale).[1]

Dopo aver raccolto i vari dati anamnestici di Alessandra e una reciproca conoscenza, ho modo di notare che lei prova curiosità per la psicologia, mi dice che se non avesse avuto i suoi problemi avrebbe scelto proprio quella facoltà.

Mi racconta di una bambina che adorava la danza classica, ma che era troppo cicciottella per farla e dice: “da lì forse è iniziato il mio calvario..ma poi ho conosciuto Umberto a 13 anni e con lui ho iniziato a sorridere, infatti siamo scappati perché Dottoressa casa mia era un inferno…”

Le chiedo cosa intende per inferno e lei mi dice: “ non potevo far nulla, volevano solo ballassi e diventassi ricca e famosa..”

Le domando di questa fuga con Umberto, mi racconta: “ all’inizio ero felice ed è stato bellissimo, la sera, però, io volevo giocare e ridere mentre lui ha deciso di voler avere rapporti e mi ha violentata…”

Queste parole cosi fredde sembrano pungermi e mentre sto per intervenire, Alessandra mi ferma e mi dice: “di questo non voglio parlarne ora, anche perché da quando ho quest’anoressia mi sono passati gli attacchi di panico notturni.. quindi vediamo se magari ora lei mi fa passare l’anoressia e ri-iniziano gli attacchi di panico…”

Le dico che non ho tutti questi poteri e le chiedo se lei preferisce gli attacchi di panico o l’anoressia.. lei ferma mi risponde: “ovvio, l’anoressia e poi non sa quanti uomini sono attratti dalle anoressiche..”

Ripenso ad un documentario di Franca Leosini visto anni fa sul “Collezionista di anoressiche” https://youtu.be/JX8Gb_4wXy8 , ma cerco di ritornare su Alessandra e le chiedo se lei ha delle storie visto i tanti corteggiatori.

Mi risponde perentoria e mi dice: “No. Odio essere toccata..”

Una ricerca di Paola Crucianelli ha mostrato come le donne con anoressia nervosa percepiscano le stimolazioni non solo affettive ma anche non affettive come meno piacevoli rispetto alle donne sane, indicando una percezione alterata generalizzata degli stimoli tattili, indipendentemente dalla loro natura affettiva: una specie di anedonia tattile o sensoriale.[2]

Chiedo ad Alessandra da quando ha iniziato a non amare l’essere toccata e mi dice: già da bambina, poi dopo quella violenza e ancora di più ora…” le chiedo come la fa sentire essere toccata e lei mi dice: “tutta rotta..”

Penso al suo dirmi che fin dall’infanzia non amava essere toccata e mi domando dello stile di attaccamento infantile che lei deve aver percepito.

Varie ricerche hanno evidenziato che le persone con anoressia si identifichino con lo stile di attaccamento evitante ed il cibo è evitato proprio come l’attaccamento.[3]

Alcuni studi hanno evidenziato come sin dalla nascita sia importante la qualità e la quantità del tocco affettivo, evidenziando come le madri depresse tendano ad utilizzare il solletico in modo prepotente e quindi, ad interagire con il bambino in modo poco delicato come il sollevarli troppo spesso.

Di conseguenza questi bambini tendono ad utilizzare comportamenti tattili compensatori, come ad esempio ciucciarsi il dito rispetto a bambini con mamme senza sintomi depressivi.[4]

Chiedo ad Alessandra di raccontarmi un bel ricordo della sua infanzia ed uno brutto… lei ci pensa e mi dice: “quello bello è quando papà mi ha spiegato perché non dovevo succhiarmi il dito e me l’ha spiegato mentre mi ha regalato una bicicletta rossa e gialla, era tutto cosi lucente… di brutti ce ne sono tanti, forse quello che mi viene in mente ora è quando non volevo andare più a danza e volevo parlarne con mamma, ma non riuscivo e anche se piangevo lei non apriva la porta..”

Le chiedo dove fosse questa porta chiusa e lei mi dice: “quando aveva delle giornate brutte si chiudeva in camera e non voleva aprire a nessune, certe volte andavo io a bussare e stavo lì per ore..lo so che qui devo parlare di me e non di mia mamma, ma mia mamma ha avuto un sacco di problemi anche se ora fa la parte di quella sana di mente..”

Le chiedo se lei non si sente sana di mente e lei mi dice: “ovvio che no, altrimenti mangerei, farei sesso e forse sarei diventata pure una ballerina o una psicologa e magari oggi sarebbe lei ad essere una mia paziente..”

Le sue parole mi fanno sorridere, colgo la sua intelligente ironia e le chiedo se vogliamo scambiarci dal prossimo colloquio le poltrone cosi che magari lei prova ad essere una psicologa che parla dei suoi problemi.

Alessandra mi dice contenta: “si.. sarebbe fantastico, ma mi scusi perché anche le psicologhe hanno problemi e non sono sane di mente?”

Le dico che avere un problema non significa non essere sani di mente e che si, anche gli psicologi hanno problemi e a che a volte cercano di aiutare gli altri proprio perché magari un tempo loro stessi avrebbero o hanno avuto bisogno di quell’aiuto.

Alessandra mi sorride e mi dice: “quando ritorno da lei possiamo fare questo gioco più volte..perchè mi sembra interessante parlare dei miei problemi come se fossi una psicologa..”

Le rispondo di sì e le dico che alla fine, magari questa modalità potrebbe aiutarla a farle vedere i suoi problemi da una nuova prospettiva, magari da quella della mia poltrona..

Alessandra sorride compiaciuta e mi dice: “sicuramente la sua poltrona si stancherà meno visto che io rispetto a lei sono una piuma..”

Sorrido anch’io e le dico: “la mia poltrona credo non si stanchi del peso di una persona, ma è più stanca del peso di tante parole…”

Lei mi dice: “ forse è vero, le parole stancano anche a me…”

Io le propongo per il prossimo colloquio, quando lei farà la “psicologa”, di scrivere una lista di parole che nella sua vita l’hanno stancata o le hanno fatto male…

Lei mi dice: “Dottoressa è una vita che giro per medici e strizzacervelli, ma lei sembra diversa, ma non so ancora se sia un bene o un male…”

Le rispondo: “non lo so nemmeno io Alessandra, ma magari lo scopriremo insieme, tanto alla fine come diceva Kafka- non bisogna svegliare il futuro prima del tempo, altrimenti si ottiene un presente assonnato…”

Alessandra mi dice: “pure Kafka mi piace, il suo compito per la settimana dottoressa sarà studiarlo cosi me ne parla…”

Sorrido.


[1] CRAIG, A.D. (2002) How do you feel? Interoception: The sense of the physiological condition of the body. Nature Reviews Neuroscience, 3, 655-666.

[2] CRUCIANELLI, L., DEMARTINI, B., GOETA, D., NISTICO’, V., SARAMANDI, A., FOTOPOULOU, A., et al (2021) The Anticipation and Perception of Affective Touch in Women with and Recovered from Anorexia Nervosa. Neuroscience. 2021  June 1; 464: 143-155

[3] L'attaccamento evitante è uno dei tre stili di attaccamento (o quattro se consideriamo anche il pattern D ovvero l'attaccamento disorganizzato) ed è caratterizzato da determinati atteggiamenti che i bambini hanno nei confronti delle figure di riferimento.Se i genitori di un bambino si mostrano molto distanti o, viceversa, fin troppo attaccati a lui, è molto probabile che il piccolo sviluppi un tipo di attaccamento molto insicuro. Scopriamo insieme che cos'è l'attaccamento evitante, qual è la sua origine e come si manifesta durante le relazioni che abbiamo in età adulta. Il rifiuto da parte delle figure genitoriali durante l'infanzia, si traduce in una totale insicurezza nei confronti delle relazioni. Se da piccoli interiorizziamo l'idea che siamo un elemento di fastidio per i nostri genitori, sarà facile diventare delle persone che non si fanno coinvolgere emotivamente nei rapporti.Gli adulti con attaccamento evitanti si innamorano difficilmente e portano avanti relazioni superficiali. I rapporti duraturi li spaventano e spesso sono le prime persone a troncare una storia d'amore per paura di soffrire. Reprimono ogni tipo di emozione e loro freddezza è uno schermo protettivo inconsapevole, atto a proteggerli dall'ennesimo rifiuto.Questo tipo di atteggiamento è definito ansioso-evitante e porta le persone a pensare di non essere degne di ricevere amore. Si sviluppa una falsa indipendenza figlia di un pensiero che fa credere a queste persone che possono solo contare solo sulle proprie forze. La loro vita ha come unico scopo quello di essere completamente indipendente a livello emotivo. Ovviamente, la fiducia verso gli altri è ai minimi storici e di conseguenza si comportano a volte in modo inaffidabile con tutti.Non aprendosi con nessuno, l'adulto con un tipo di attaccamento evitante tende a inscenare falsi conflitti pur di troncare le relazioni, a suo dire, troppo serie. Così facendo, continua a vivere in modo superficiale i rapporti con gli altri, evitando di soffrire.

[4] HARDIN, J.S., AARON JONES, N., MIZE, K., D., PLATT, M. (2021) Affectionate Touch in the Context of Breastfeeding and Maternal Depression Influences Infant Neurodevelopmental and Temperamental Substrates. Neuropsychobiology 2021 Jan 182021; 80 (2): 158-175

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