La morte di un padre. E' difficile dimenticare qualcuno che ci ha dato molto da ricordare.

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Teresa Colaiacovo - La morte di un padre. E' difficile dimenticare qualcuno che ci ha dato molto da ricordare.

“Tutto ciò che ci è più caro ci può essere strappato; ciò che non può essere tolto è il nostro potere di scegliere quale atteggiamento assumere dinanzi a questo avvenimento” Victor Frankl

Rocco (nome di fantasia) inizia un percorso con me perché dice: “ ho  perso mio padre da un mese, oramai ho 55 anni e una bella famiglia, la mia vita credo mi piaccia, al di là del lavoro, ho molte passioni, ma vorrei capirci di più..”

Gli domando cosa vorrebbe capire e mi dice: “dottoressa mio padre soffriva di depressione da anni ,o almeno cosi dicevano.. era un uomo forte che si è spento piano piano… io ho tradito più di una volta mia moglie e l’ultima storia, se cosi si può definire, mi dava un sacco di cose. Sono consapevole del fatto che quella fosse una donna al di sopra delle mie possibilità, ma nonostante tutto sono rimasto fermo e solido nel mio matrimonio… la solidità l’ho ereditata da mio padre”.[1]

Gli domando il perchè definisce la sua ultima storia “ una sottospecie di storia”  e qual è il collegamento tra questa storia e la morte di suo padre, se c’è un collegamento.

Mi dice: “con quella ragazza parlavo, conosceva cose di me che non ho mai detto a nessuno… non so cosa c’entri con mio padre, io sono qui perché voglio parlare solo di lui…con lei è finita, anche perché mi sembrava una vita parallela e poi in quel periodo mio padre stava male, lei mi stava anche vicino”

Gli chiedo: “trova strano che qualcuno gli stia vicino?”

Lui mi dice: “trovo strano che una cosi voleva starmi vicino, alla fine non l’ho nemmeno ringraziata, ma ringraziare per me è una formalità..comunque non voglio parlarne…come le dicevo voglio capire perché mio padre è morto ed a me sembra di aver fatto poco?

Gli chiedo cosa ha fatto di pratico per il padre, cosa avrebbe voluto fare e inizia così a raccontarmi, calmo, pacato, poco generoso con le parole.

Il lutto può esprimersi in modalità e forme diverse.

Il corpo umano in questi casi può reagire in modi diversi:

 • modifica della sensibilità e delle percezioni corporee (freddo, sudorazione, improvvisa vampate di calore, rigidità)

• inquietudine motoria oppure passività

• aumentato bisogno di sonno oppure insonnia

 • perdita dell’appetito o il bisogno di mangiare in modo compulsivo

• disturbi cardiaci o circolatori (aumento della pressione arteriosa, tachicardia, diminuzione della pressione con debolezza e astenia)

• disturbi gastrici e o intestinali

• senso di oppressione al petto

• dispnea (respiro corto o affannoso)

• apatia.

Può esprimersi a livello emotivo con emozioni contranti come:

• sensazione di incredulità o vero e proprio shock

• paura, solitudine, vuoto

• senso di impotenza

• senso di colpa

• sofferenza, disperazione

 • senso di incomprensione

• senso di inferiorità

• irrequietezza

• rabbia, collera, invidia

• indifferenza

• sollievo o liberazione

Può influire, inoltre, anche sul modo di pensare, può provocare disorientamento, fino a sentirsi proiettati in un’altra dimensione, strappati alla propria realtà abituale. è frequente il bisogno di essere rassicurati e di trovare spiegazioni, chiarimenti, per l’accaduto e per quello che sembra non essere comprensibile. Alcuni soffrono molto per questa condizione di confusione, disorientamento e insicurezza e cercano di contenere questo insieme di sensazioni negative, gettandosi per esempio a capofitto nel lavoro o intraprendendo nuove attività; altri, considerando intollerabile l’assenza, sentono l’impulso di sostituire al più presto la persona perduta.

C’è una frase che mi torna in mente pensando alla perdita dell’altro: “..una strana sensazione del mio lutto è che mi rendo conto di essere imbarazzante per tutti quelli che incontro”.[2]

Nel racconto di Rocco emergono fatti, azioni e pochi sentimenti, comprendo le sue resistenza, ma ad un certo punto  gli domando: “come suo padre la descriverebbe Rocco a sua madre?”

Mi dice: “ mia mamma mi conosce, quindi non credo avrebbe bisogno di descrivermi, comunque direbbe una brava persona…”

“ e a sua moglie cosa direbbe suo padre di lei?”

“Mio padre non parlerebbe di me a mia moglie, avrebbe difficoltà, lui agiva e non parlava e quando ha smesso di agire ha iniziato a morire.. e comunque mio padre non avrebbe mai pensato di me che l’ho tradita…”

“ e a quella ragazza con cui ha avuto quella specie di storia, come mi ha detto, cosa direbbe?”

“Forse con lei parlerebbe,lei è stata capace di far parlare anche me.. gli direbbe che sono troppo codardo e che lei è troppo per me”

Sembra evidente che Rocco proietti il suo sentire che accenna ad esprimersi attraverso la “bocca” del padre, una sorta di proiezione dei suoi sentimenti trasferiti sull’Altro, l’Altro importante.[3]

Mi dice:  “Io non so che idea lei si sia fatta nell’immaginare un uomo depresso, ma mio padre era un uomo forte, possente, dal nulla aveva creato un’azienda e ha lavorato sempre tantissimo, forse quando ha smesso di lavorare è subentrata la depressione, forse perché non aveva altre passioni a differenza mia…”

Gli chiedo secondo lui che idea avrei potuto farmi di suo padre e di lui.

E mi dice: “voi psi…qualcosa avete sempre l’idea che tutto sia un problema e tutto da curare, come se la gente fosse fragileio ho passioni, voglia di vivere e non farò come mio padre… non ho sofferto per quella ragazza, se pensa questo, perché io ho chiuso visto che la mia famiglia è più importante.. e poi non è che non mangio o non lavoro o non dormo, alla fine non sono messo cosi male…”

Gli chiedo, non colludendo con il fatto che avrebbe bisogno che io lo rassicurassi dicendogli che non sta così male: “e suo padre, secondo lei,  non aveva una bella famiglia?”

Mi dice:” si, però nessuno ha continuato l’azienda che lui aveva creato, siamo cinque figli e nessuno di noi lo ha fatto…abbiamo scelto altre strade, ma tutti siamo più o meno felici, forse mio padre è rimasto dispiaciuto da questo.”

Il senso di colpa si trova di frequente nei racconti delle persone in lutto ed è un tentativo fisiologico che la nostra mente turbata dalla perdita tenta di fare per “mantenere / riportare in vita” la persona scomparsa (se solo avessi/non avessi fatto… detto… dimenticato di…). Soprattutto nei primi mesi dopo la perdita il senso di colpa entra a fare parte quasi quotidianamente dei pensieri della persona in lutto, che potrebbe avere bisogno di ripetute rassicurazioni al riguardo.

I più frequenti sensi di colpa sono dovuti a:

• non aver impedito al defunto di fare ciò che lo ha portato a morire

• aver litigato col defunto senza aver avuto tempo di fare la pace

• non avere sperimentato tutte le terapie possibili

• aver trascurato il defunto durante la malattia

• non aver dimostrato abbastanza amore

• non aver avuto il coraggio di dirgli cose importanti

• non averlo saputo proteggere (soprattutto nel caso di lutto perinatale, la morte del proprio figlio in utero o la grave malattia del proprio figlio può essere vissuta come una colpa da parte della madre)

 • non aver assecondato presentimenti o segni premonitori

• non aver saputo/potuto prevedere il gesto suicida

Rocco potrebbe provare un senso di colpa per non aver seguito il mandato familiare.

L’esperienza dell’identità umana si fonda su due elementi: un senso di appartenenza e un senso di differenziazione. Il laboratorio in cui questi ingredienti si mischiano è la famiglia, matrice di identità.[4]

In tal senso Rocco non proseguendo il lavoro nell’azienda paterna, differenziandosi da quello che poteva essere il mandato, può sentirsi in colpa perché ha scelto di seguire la propria identità.

Chiedo a Rocco: “se tornasse indietro sceglierebbe di lavorare nell’azienda di suo padre?”

Mi dice:” mio padre era un uomo chiuso, poco affettuoso, pensi che ho sempre provato un certo imbarazzo anche nell’abbracciarlo o nello stargli vicino… quindi non credo, farei comunque le mie scelte”

Gli chiedo che padre è lui e mi dice: “sicuramente un buon padre, ho dialogo… anche un buon marito perché non ho mai pensato di abbandonare la mia famiglia, nemmeno quando ho avuto quella storia di cui non voglio parlare… credo che mio padre sarebbe orgoglioso di me, certo non dovrebbe sapere che come un imbecille mi ero invaghito di quella ragazza e non sapere dei miei sogni a 55 anni già compiuti”

In conclusione gli riporto i  nuclei da esplorare:

  • Il senso di colpa che tacitamente sembra accompagnarlo
  • Il significato che da al bisogno di dirmi che non lascerebbe la sua famiglia
  • I tradimenti compresa quella storia di cui non vuole parlare
  • La difficoltà che prova nell’esprimere le sue emozioni
  • I sogni che definisce da imbecille

Mi interrompe per dirmi: “…dottoressa non credo di essere l’unico uomo che ha tradito e che ha incontrato una donna in gamba, che forse nemmeno poteva permettersi, e ha preferito interrompere… anche perché poi in quel periodo avevo un blocco sessuale.

Gli dico: “sicuramente non è l’unica persona che tradisce o ha tradito, ma in questo momento lei è qui da me forse perché vuole dare un significato ad un uomo che sta bene con la moglie e tradisce, che ha scelto di fare una vita diversa dal padre, ma ha un senso di rammarico.. un significato anche ai suoi silenzi, nonostante vorrebbe dire o a quella donna a cui ha rivelato cose di sé che nemmeno conosceva e che l’ha fatto sentire migliore… non crede?”

Mi dice:” non saprei, forse tutti questi significati che lei dice mi sconvolgerebbero e sto bene nella mia quieta, Anna diceva che ero a tratti un inetto…”

Gli chiedo chi è Anna e mi dice: “quella di cui è inutile parlare…”

Sorrido e gli chiedo: “non è triste morire senza aver mai conosciuto se stessi?”

Mi dice:” io mi conosco e mi vado bene cosi…”

Prima di salutarlo, consapevole del fatto che Rocco potrebbe non tornare gli lascio una frase: “credo che si diventi quel che nostro padre ci ha insegnato nei tempi morti, mentre non si preoccupava di educarci. Ci si forma su scarti di saggezza..”.[5]

La legge e mi saluta formalmente prima di uscire.


1 I sintomi depressivi che persistono per ≥ 2 anni senza remissione sono classificati come disturbo depressivo persistente, una categoria che unifica i disturbi precedentemente definiti disturbo depressivo maggiore cronico e disturbo distimico.I sintomi depressivi tipicamente esordiscono in maniera subdola nell'adolescenza e possono persistere per molti anni o decenni. Il numero di sintomi spesso oscilla al di sopra e al di sotto della soglia per la diagnosi di episodio depressivo maggiore.I pazienti affetti possono essere solitamente cupi, pessimisti, con umore negativo, passivi, letargici, introversi, ipercritici verso loro stessi e gli altri e lamentosi. I pazienti affetti da disturbo depressivo persistente hanno anche un numero maggiore di probabilità di presentare sottostanti disturbi d'ansiadisturbi da uso di sostanze, o disturbi di personalità (ossia, personalità borderline).Per la diagnosi, del disturbo depressivo persistente, i pazienti devono presentare un umore depresso per la maggior parte del giorno per più giorni per ≥ 2 anni più ≥ 2 dei seguenti sintomi:

  • Scarso appetito o iperfagia
  • Insonnia o ipersonnia
  • Scarsa energia o stanchezza
  • Bassa autostima
  • Scarsa concentrazione o difficoltà a prendere decisioni
  • Sentimenti di disperazione

 

[2] C. S. Lewis

[3] Nel contesto della psicologia, e della psicoanalisi più nello specifico, la proiezione viene identificata come un meccanismo di difesa; a tal proposito quest’ultimo fa riferimento alla costruzione che una persona fa di sè, cercando di tutelare le proprie caratteristiche autentiche, incluse le debolezze, le fragilità e, talvolta l’umanità.Entrando più nel dettaglio, la proiezione è un meccanismo di difesa messo in atto dall’Io per affrontare situazioni di angoscia vissute come un pericolo per l’integrità o l’equilibrio del soggetto: nella proiezione si ha l’attribuzione ad altri di propri aspetti o vissuti negativi. In tal modo, l’individuo allontana da sé qualità, sentimenti e oggetti interni di cui rifiuta ogni coinvolgimento personale. La proiezione è un meccanismo di difesa molto primitivo ed è specifico dei disturbi paranoidi, ma può presentarsi anche nel pensiero comune sotto forma di superstizione.

 

I

[4] MINUCHIN S., Famiglia e terapia della famiglia., Astrolabio, 1976.

[5] ECO U.

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