LA PAURA DI ESSERE AUTENTICI IN COPPIA.

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Teresa Colaiacovo - LA PAURA DI ESSERE AUTENTICI IN COPPIA.

“ La grande lezione della Bella e la Bestia è una cosa deve essere amata prima di diventare amabile..” G.K. CHESTERTON

Isotta (nome di fantasia) ha 45 anni, richiede un supporto psicologico perché mi dice (riporto in corsivo le sue parole): “dopo la mia ultima storia non so chi sono…”

Le chiedo chi pensa di essere e mi dice: ” beh una donna normale, con un lavoro dignitoso, con alcune passioni, da sempre omosessuale…”

Le chiedo delle sue passioni, del suo lavoro e da quanto tempo è consapevole di essere omosessuale, soffermandomi sulla sua adolescenza.

In adolescenza è più complesso discriminare aspetti psichici già maggiormente definiti e strutturati da altri ancora compresi all’interno di un’area di estrema mutevolezza e cambiamento, talora realmente soggettivi, talaltra in assonanza con influenze gruppali e culturali. Il funzionamento mentale in adolescenza evoca una miscela di liquidi di natura e di densità diverse, che si mescolano in modo temporaneo prima che ciascun liquido riprenda il suo posto (Green, 1986). Si tratta di condizioni nelle quali l’impatto di processi arcaici, primari, sul lavoro psichico è molto intenso e può causare discontinuità e talora rotture nel processo di ricerca identitaria e di soggettivazione.[1]

L’adolescente è combattuto tra il riemergere di questioni edipiche e l’emergenza del nuovo, è alle prese con il lutto dei legami infantili e nello stesso tempo la necessità di governare forze e spinte inaugurali (Chan, 1998). Si tratta di un lavoro psichico complesso, che investe l’asse narcisistico e quello oggettuale, tra permanenza e cambiamento, nel quale l’identità subisce importanti rimaneggiamenti e transizioni.[2]

Consapevole che L’identità di genere si trova in questa epoca particolarmente esposta a tensioni conflittuali, al crocevia tra natura, cultura e l’indomabile spinta delle pulsioni. Ad un certo punto Isotta mi dice, ferma e coincisa: “forse  da sempre sono stata omosessuale, avevo 6 anni e già mi piacevano le ragazze. Le chiedo del suo primo amore e mi dice: una ragazza eterosessuale che ho amato per anni, lei non sapeva nulla, ma pur di starle vicino ho fatto finto di essere sua amica… dottoressa, non creda sia semplice la nostra vita..”. Le chiedo in cosa non è semplice e come un fiume in piena inizia ad elencarmi tutte le difficoltà:la gente non capisce, non ti accetta, ha bisogno di vederti normale e poi si diventa sempre l’amica del cuore di qualcuna eterosessuale e per paura di perderla si fa finta che vada bene… alla fine io sintetizzerei la mia vita cosi...” Le chiedo:” come la sintetizzerebbe? Riesce a darmi un immagine?” La vedo riflessiva e poi mi dice: “una giostra, le catena, dove giri giri e non trovi e prendi nulla…” Le dico: “ ad un certo punto, lei qualcosa, però ha preso…sbaglio?”Si, dottoressa, dopo aver fatto l’amica  per anni, ho sperimentato anche rapporti con uomini, ho incontrato una donna che è stata per 19 mesi perfetta.” Le chiedo come sia stato per lei avere rapporti con uomini e mi dice: “…volevo sentirmi normale, anche perché i miei genitori meritavano una figlia normale, hanno fatto tanti sacrifici ed erano sempre iper critici con me…”

Spiego ad Isotta come un genitore ipercritico nei confronti del figlio porterà quest’ultimo verso due strade da adulto: reagire con rabbia alle autorità o sviluppare una bassa autostima con conseguente disagio ed insicurezza. Nel primo caso, tenderà ad uscire dai limiti infrangendo le regole come protesta alle autorità (e quindi come protesta all’autorità del genitore); nel secondo caso, pur non infrangendo le regole, si sentirà inadeguato in molte situazioni ed avrà difficoltà a confrontarsi con gli altri. Due percorsi di vita molto diversi rispetto a quello di un bambino che impara ad avere fiducia in se stesso ed entusiasmo verso la vita.Anche i genitori poco affettivi possono creare danni allo sviluppo del figlio che, in età adulta, potrebbe non avvertire i sentimenti propri o degli altri con conseguente isolamento sociale o problemi nella sfera sessuale. L’affetto dei genitori è la base per un attaccamento sicuro che permetterà al figlio adulto di avere più successo nella vita, di avere degli obiettivi raggiungibili, di far fronte ad eventi traumatici come ad esempio lutti o perdite.

E le domando come sia stato l’incontro con questa donna.

Lei mi dice:”.. casuale, eravamo in fila  far la spesa e avevo dimenticato il portafoglio a casa e lei, pur essendo una sconosciuta, ha pagato tutta la mia spesa e cosi per 12 mesi… mi ha fatto da amica, mamma e amante…”

Le chiedo: “e lei che ruolo aveva?” Mi dice: “facevo la figlia e l’amante… lei a differenza di mia mamma si prendeva cura di me, ma poi si è scocciata e mi ha lasciato senza nemmeno avvisarmi…”

Le chiedo com’è stato il loro ultimo periodo insieme e lei mi dice:uno schifo mi criticava su tutto, non le piacevo più, non mi dimostrava affetto, non mi desiderava, ma le mie amiche etero mi dicevano che anche gli uomini sono così e quindi facevo finta andasse bene…”

Le domando in cosa consistesse il fare finta e mi dice, con gli occhi lucidi: “..cercavo di diventare come lei voleva, ma non le bastavo. E cosi mi ha lasciato con un ** ** messaggio e io sono qui da lei…”

Le chiedo cosa si aspetta da questi incontri e mi dice vedere cosa mi manca, cosa voglio essere.

Le chiedo se ha parlato di questa rottura con qualcuno e Isotta mi risponde: “..i miei non sanno che sono omosessuale, ne ho parlato solo con qualche amica… ma loro mi dicono che è stato meglio così visto che negli ultimi mesi mi costringeva a fare sesso ed è capitato che mi abbia picchiato… forse 2 o 3 volte in tutto, però…”

Gli atti violenti, oltre che ad una forma utilizzata per mantenere il controllo, spesso sottendono un’incapacità nell’entrare in contatto intimo con una persona in quanto l’intimità risulta imprevedibile e piena di minacce. In questo modo l’uomo  o la donna violento/a  cerca di renderla prevedibile (Grifoni, 2019).[3]

Quando giustifichiamo i malumori, il cattivo carattere, i tradimenti del partner, stiamo amando troppo. Quando siamo offesi dal suo comportamento, lo giustifichiamo e pensiamo sia colpa nostra, stiamo amando troppo. Quando cerchiamo di aiutarlo in tutti i modi diventando la sua terapista, stiamo amando troppo. Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo” (Norwood, 2013, 13).[4] Le donne che amano troppo, in realtà, non amano affatto: sono dominate dalla paura, paura di restare sole, di non essere degne di amore, di essere ignorate, abbandonate, portandole morbosamente ad attaccarsi a qualcuno che ritengono indispensabile per la loro esistenza.La Norwood ritiene che queste paure abbiano origine nell’infanzia, in particolare nei rapporti familiari, con le madri e i padri e nelle esperienze vissute.[5]

Il fenomeno della violenza fisica, psicologica e verbale, nella gran parte dei casi vede l’uomo come abusante, ma, talvolta, può assumere questo ruolo anche la donna.

Nel caso di Idotta, credo sia importante, nel tempo giusto, indagare la motivazione che la portava a mantenere in vita un rapporto, a suo dire, disfunzionale.

Chiedo ad Isotta cosa vuole per sé stessa, mi dice: “dottoressa non lo so, sono qui da lei per questo…”

Io le dico che sono solo uno strumento, degli altri occhi in cui proverà a rivedersi.

Le dico, inoltre, “ e da bambina Isotta cosa sognava?” E lei mi dice: “ volevo poter dire a tutti che mi piacevano le bambine e poi le ragazze…”

“Quindi mi sta dicendo che sognava di essere autentica?”

“Si, voglio ancora essere autentica… alla fine anche con Lara, mi da fastidio pronunciare il suo nome, ero finta, facevo finta mi andasse bene tutto di lei, ma in realtà mi sentivo bugiarda con me e in prigione…”

Prima di salutarla le dico che i nuclei emersi dopo questi incontri e sui quali lavorare potrebbero essere:

  • La sua storia famigliare
  • Ciò che lei ha vissuto come trauma
  • Le sue relazioni
  • L’idea che ha di sé stessa
  • L’autostima personale e la paura di essere abbandonata
  • La verbalizzazione delle emozioni, qualunque siano…

Le preciso, che le manderò un prospetto dettagliato del quale discuteremo insieme.

Mi dice: “ ho paura, ma forse va bene…”

Prima di lasciarla andare le do un foglietto con una frase: “..Tanto assurdo e fugace è il nostro passaggio per il mondo, che mi rasserena soltanto il sapere che sono stata autentica, che sono riuscita ad essere quanto di più somigliante a me stessa mi è stato concesso di essere…”**[6]**

Sospira e va via, senza salutarmi.


[1] Green A. (1986). Interv. In: Baranes J.J., Cahn R. et al., Psychanalyse, adolescence et psychose. Parigi, Payot.

[2] Cahn (1998). L’adolescente nella psicoanalisi. L’avventura della soggettivazione. Borla, Roma, 2000.

 

[3] Grifoni. G. (2019). L’uomo maltrattante. Dall’accoglienza all’intervento con l’autore di violenza domestica. Milano: Franco Angeli.

[4] Norwood, R. (2013). Donne che amano troppo. Milano: Feltrinelli.

 

[5] Norwood, R. (2013). Donne che amano troppo. Milano: Feltrinelli.

 

[6] Kahlo F.

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