Io donna, io bambino: l'accudimento invertito e la paura di crescere

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Teresa Colaiacovo - Io donna, io bambino: l'accudimento invertito e la paura di crescere

“…Mentre fra gli altri nudiio striscio verso un fuocoche illumina i fantasmidi questo osceno giuoco.Come potrò dire a mia madreche ho paura?”**[1]**

Viviana  ha 38 anni, è insegnante e da poco si è trasferita in un’altra città, lasciando la casa in cui viveva con i genitori ed il fratello. (nomi e dettagli sono di fantasia).

Inizia un percorso di supporto psicologico perché dice: “non voglio che la mia nuova vita e la mia nuova casa diventi piena di brutti ricordi…”

Le domando dove ha lasciato i brutti ricordi e mi dice: “pensavo di averli lasciati a casa dei miei, invece, mi rendo conto che ancora mi in seguono oppure sono io che inseguo loro…”

Parlando dei brutti ricordi mi dice: “mio padre non c’era mai e io dovevo gestire mia mamma.. mia mamma alternava momenti normali a momenti in cui per ogni ipotetica malattia o mia o sua smetteva di cucinare, piangeva e stava a letto e io dovevo rassicurarla…”

In questi casi si parla di accudimento invertito, quando un figlio deve occuparsi emotivamente e non del genitore.[2]

I bambini che sperimentano tale forma di accudimento sono spesso percepiti all’esterno come “mini-adulti”, molto responsabili e attenti ai bisogni dei genitori. Spesso non destano preoccupazione e apparentemente l’infanzia sembra procedere per il meglio; tuttavia, negli anni, potranno manifestarsi sintomi anche gravi di ansia e depressione. La forza di questi sintomi sarà direttamente proporzionale al periodo di accudimento invertito: più breve sarà e maggiori saranno le possibilità che il bambino torni a funzionare secondo le modalità tipiche della sua età cronologica; più lungo sarà il periodo e maggiore sarà la possibilità di uno sviluppo distorto della sua personalità.[3]

Domando a Viviana come sono oggi i rapporti con la famiglia, in particolar modo con la madre e mi dice: “al di là di tutto io ho ottimi genitori, mi rendo conto che rispetto alle mille storie che leggo e sento, sono cresciuta in una buona famiglia… oggi con mia mamma sto facendo io la figlia, cioè oggi qualsiasi cosa mi accada ho bisogno di lei affinché mi rassicuri.. ecco, in questo senso parlo di brutte esperienze che non vorrei rivivere nella casa nuova e nella vita nuova..”

Le chiedo che età le piacerebbe avere e mi dice: “boh… vorrei avere un’età in cui non aver bisogno di nessuno…”

Le chiedo se le fa paura sentirsi per certi aspetti bambina.

Viviana scoppia in lacrime e mi dice: “ si… nonostante il lavoro, la casa, l’età…ho ancora bisogno di mia mamma, di lei che mi rassicuri…”

Sento il suo dolore, le sue lacrime mi risuonano e mi rendo conto di quanta strada bisogna fare per diventare genitori di se stessi.

Mi sembra un momento cosi intimo che ho paura di interromperlo… preferisco il silenzio, d’altronde come diceva qualcuno più saggio di me: “non si può non comunicare..”**[4]**

Viviana ad un certo punto mi dice: “vede, sono così infantile ora provo vergogna.. mi vergogno di piangere anche quando sono sola..”

La ringrazio per aver condiviso con me questo momento così delicato.

Mi dice:” lei penserà che sono una stupida ad aver tutte queste paure alla mia età.. “

Le dico: “penso che se le elencassi le mie di paure sarebbe lei ad alzarsi e a consigliarmi un bravo psicologo…”

Viviana mi dice:”… e come fa a vivere con le paure…”

Le dico: “solo 3 parole si va avanti…a volte è più doloroso, altre meno, ma si vive di sorrisi e si cresce con le lacrime…lei oggi venendo qui, lasciandosi andare alle lacrime è cresciuta, ma non perché ha pianto davanti a me, ma perché in quel pianto c’erano le lacrime legate a ricordi lontani, legati ad aspettative…in quelle lacrime c’era Viviana bambina che, finalmente, poteva permettersi di lasciarsi andare e non doveva essere forte per sua mamma o per chi per lei..”.

Viviana sorride e mi dice. “mi darà una mano con le mie paure?”

Le dico: “posso provare ad aiutare Viviana adulta a prendere per mano Viviana bambina…”

Mi sorride, ma dopo poco vedo i suoi occhi lucidi e penso che a volte dietro un corpo, uno sguardo si nascondono paesaggi fatti di buche, di case diroccate. Chissà Viviana bambina quante lacrime ha dovuto trattenere…

La saluto dandole un bigliettino con una poesia che mi emoziona:

“…Molte volte ho studiatola lapide che mi hanno scolpito:una barca con vele ammainate, in un porto.In realtà non è questa la mia destinazionema la mia vita.Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.E adesso so che bisogna alzare le vele  dovunque spingano la barca.Dare un senso alla vita può condurre a follia,ma una vita senza senso è la torturadell’inquietudine e del vano desiderio.È una barca che anela al mare eppure lo teme…”**[5]**

Quando Viviana esce, mi emoziono io e guardandomi intorno dico a voce alta: “benvenuto 2024, che tu possa aiutarmi a trovare l’ultima chiave, tanto è quella che apre la porta. Sempre.”


[1] F.DE ANDRE’., Cantico dei drogati

[2] L’ accudimento invertito è quel tipo di accudimento che Bowlby aveva già descritto negli anni ’50, in cui il bambino si “genitorializza”, comprende quali sono i bisogni del genitore e realizza che andare incontro ad essi, prendendosi cura dell’altro, è l’unico modo per essere pensato dalla figura di attaccamento. Tuttavia il costo di tale strategia si presenta sempre, nel presente o nel futuro, poiché la rabbia, la paura, la tristezza, vengono dissociate o negate in nome di uno scopo più alto, la salvezza del legame di attaccamento. Questa forma di auto contenimento difensivo (Winnicot, 1988) fa affrontare ai bambini che l’hanno sperimentato tutte le emozioni più dolorose o difficili da soli e conferma che è bene non fidarsi degli altri.

[4] P.WATZLAWICK., Pragmatica della comunicazione umana

[5] E.LEE MASTERS., George Gray; Antologia di Spoon River (Mondadori, 2001), trad. it. Antonio Porta

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