" IL TROPPO VUOTO O TROPPO PIENO DI ELENA:I DISTURBI ALIMENTARI IN PSICOANALISI

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Teresa Colaiacovo -

“…e ho detto al mio corpo, dolcemente: voglio essere tuo amico. ha preso un lungo respiro e ha risposto: ho aspettato tutta la vita per questo…“

Elena (nome di fantasia) ha 17 anni, figlia di genitori separati, vive con la madre, inizia un percorso di supporto  psicologico con me perché (riporto le sue parole) “tutti mi dicono che sto diventando anoressica, ma io non mi vedo così magra e poi almeno due volte a settimana mangio come una pazza e ogni tanto poi mi sento in colpa e vomito ciò che mangio..”

I  disturbi alimentari possono essere una risposta al disagio della giovinezza che si oppone all’Altro.

Se l’Altro della garanzia e della protezione non esiste o nasconde la sua inesistenza rivelandosi soffocante e superegoico, onnipresente, l’anoressia è un tentativo di rispondere a questa inesistenza cementando il corpo, compattandone l’esistenza, escludendo la contingenza del desiderio, separandolo dal desiderio dell’Altro.[1]

Elena, su mia richiesta, mi racconta: “mia mamma vuole controllare tutto, da bambina era lei a dirmi che ero cicciottella e che le mie amiche avevano corpi perfetti…ed ora si lamenta perché non mangio o se scopre che vomito… mi dice che sono una larva.. mio padre l’ho visto 3 volte da quando sono nata, quindi non sa nemmeno che sono magra.. credo sia scappato da mia madre o forse da me, perché mia mamma dice che da bambina avevo problemi..”

Freud inseriva l’anoressia nelle forme della pulsione di morte, spiegava in questo modo la tendenza di un soggetto di rifiutare di nutrirsi nonostante la fame o di vomitare 20 volte al giorno.

Come far fronte a questa pulsione mortifera?**[2]**

Chiedo ad Elena di descrivermi come lei si vede, e mi dice:” beh un po’ come tutte, con un brutto naso, però…e l’unica cosa che posso aggiustare gratis è il mio corpo, ma mia mamma non capisce, si lamenta dei soldi che scarseggiano e io che risparmio sul cibo dovrei ricevere una medaglia.. “

Elena sorride e colgo la sua ironia, che in futuro potrebbe essere una risorsa.

Cosa significa lavorare con le risorse del paziente?

Ogni paziente ha necessariamente delle risorse, ma molto spesso esse vengono perse di vista. Perciò lo scopo del processo è quello di portare il paziente a ricordare che ciò di cui ha bisogno è già dentro di lui. Infatti notare e sottolineare i punti di forza di un paziente significa aiutarlo a visualizzare il suo futuro, mediante l’uso delle sue risorse, in maniera diversa rispetto al suo problematico presente. Come affermava il filosofo Pascal: “Di solito, ci si convince meglio con le ragioni trovate da sé stessi che non con quelle venute in mente ad altri”. Perciò gran parte della seduta dovrebbe essere spesa per far si che le persone siano guidate nel trovare il loro modo di risolvere il problema mediante le loro potenzialità.

Quali sono le risorse del paziente?

Le risorse possono essere interne o esterne. Quelle interne sono: cognitive, emotive, attitudinali, comportamentali. Le risorse esterne invece sono: la famiglia, gli amici, il lavoro, la realtà sociale.Almeno una volta nella vita queste risorse sono state utili strumenti per risolvere altre tipologie di problemi, pertanto se hanno già funzionato in passato, potrebbero funzionare di nuovo. Per questo motivo il terapeuta sposta l’attenzione del paziente sulle sue risorse, ma oltre a ciò bisogna avere un’ottica operativa, ovvero capire come sono state usate in passato e come usarle nella situazione attuale. Una domanda utile per capire ciò potrebbe, ad esempio, essere: “Cosa hai fatto in quelle situazioni?”.

Come trovare le risorse del paziente?

Due interessanti tecniche per trovare le risorse del paziente sono:

– La tecnica del problem-free talk

– La tecnica della scala.

Nella tecnica del problem free-talk si mette in atto una conversazione “senza problemi”, quindi il terapeuta, piuttosto che focalizzarsi sul problema, che il paziente ha portato in terapia, si concentra sui punti di forza e sugli aspetti positivi del paziente. Per improntare questa tipologia di conversazione possono essere usate vari tipi di domande, come ad esempio: “Raccontami di te”, “Come passi la giornata?”. Questa tecnica è utile soprattutto nella prima seduta, perché il terapeuta necessita di informazioni sul paziente, e perché sviluppa il rapporto terapeuta-paziente, diminuendo la tensione del primo incontro. Mediante la conversazione si andrà a coltivare il terreno sul quale costruire il lavoro terapeutico e si andranno a trovare le risorse del paziente sulle quali lavorare per la risoluzione del problema.[3]

Nella tecnica della scala, invece, si chiede al paziente dove si posiziona, rispetto al suo problema, su una scala da 0 a 10, dove 10 è la risoluzione e 0 è il fondo più profondo che egli abbia mai toccato. In base a dove esso si posiziona il terapeuta chiederà perché si trova lì e non in una posizione inferiore. Ciò permette di far notare al paziente cosa gli fa dire che non si trova in un gradino più basso e cosa sta facendo per non stare in un gradino più basso. Con questa tecnica la persona comprende cosa sta già facendo di utile e quali sono le sue risorse, che già si mostrano efficaci per risolvere il problema. La persona, quindi, elenca i punti di forza che già possiede.[4]

L’anoressia funziona per certi versi come una sorta di autocura per fronteggiare un malessere di fondo, un malessere che potrebbe emergere di fronte al gravoso compito di separarsi dall’Altro: il familiare.

La psicoanalisi sottolinea come l’anoressica non vede l’anoressia come una malattia, ecco perché si parla di onnipotenza narcisistica. La bulimica, invece soffre per il suo stato, ma come nelle tossicodipendenze, attribuisce la causa all’oggetto-cibo. Non è strano sentirsi dire: E’ il cibo o la droga che mi fanno soffrire! In entrambi i casi si cerca di colmare, però, il buco dell’Io, con questi oggetti.

Elena mi dice: “alla fine calcolare le calorie mi piace, mi fa sentire utile, mi riempie le giornate… diversamente che dovrei fare? Sentire i lamenti di mia mamma o passare del tempo con le mie compagne che cercano solo un uomo con cui accoppiarsi, come se quello contasse nella vita..”

“E per lei Elena cosa conta davvero? “  “Andare via di casa, chiedere a mio padre se ha rifiutato me o mia mamma, perché se ha rifiutato lei posso pure perdonalo oppure iniziare ad avere un corpo totalmente asessuato… vede se non mangio il seno nemmeno mi cresce e io lo odio.. mia mamma ha speso 11 mila euro per quel seno osceno e solo per piacere agli uomini e poi dice che non ha soldi.. è patetica, non è vero?”

“Come la fa sentire avere una mamma che definisce patetica, che si è rifatta il seno e che controlla il suo peso o la sua vita?”

“Stanca, molto, infatti voglio scappare… ma ancora è presto perché non ho soldi, ma voglio trovare un lavoro e poi andar via di casa e prendermi un cane..”

Le chiedo: “il pensiero di andare via e comprarsi un cane come la fa sentire?”

Lei mi dice, a pieno sorriso:” liberaaaa”

Le dico: ” si sente abbastanza in forma per lavorare, gestire una casa e un cane?”

Elena si incupisce e mi dice: “non ci avevo mai pensato, sa… ma ora no. Sono sempre stanca…”

le dico: “allora la soluzione quale potrebbe essere per raggiungere i suoi obiettivi?”

Mi dice:  “non mi dica mangiare come mia mamma…”

Le dico: “e se provassi a mandarla da una collega nutrizionista che le prescriverebbe degli integratori e una dieta da seguire in maniera rigorosa, così magari potrebbe recuperare le forze, non ingrassare, non si impegnerebbe a contare le calorie, ma a gestirsi i cibi da mangiare e poi magari potrebbe anche mangiare una volta a settimana quello che le va senza il bisogno di vomitare, perché sta già facendo una dieta?”

Lei mi dice: “si potrebbe funzionare, ma non so se voglio… anche perché poi avrebbe vinto mia madre…”

Le dico: “oppure lei visto che può andarsene di casa e prendersi un cane?”

Sorride.

L’anoressia e la bulimia sono, di sovente, patologie che riguardano più che altro il mondo femminile per tre ragioni:

  1. Nella nostra civiltà l’essere di una donna è strettamente legato al corpo e quindi al suo modo di apparire
  2. Lo sviluppo psicosessuale femminile non è uguale a quello maschile. Nello sviluppo della bambina, invece, l’oggetto d’amore è obbligato a subire un cambiamento di fondo.

Dapprima coincide con la madre e poi sarà il padre ad essere il nuovo oggetto d’amore. L’oggetto d’amore deve essere perduto perché la bambina possa accedere all’eterosessualità. Separazione dolorosa perché rinunciare all’Altro materno significa perdere un sostegno narcisistico. Nelle storie cliniche delle donne anoressico-bulimiche possiamo ritrovare con grande frequenza un rapporto irrisolto del soggetto con la madre, o la tendenza a vivere questo legame in modo fusionale.

  1. Una donna per amore, per poter essere l’unica per l’Altro è disposta a rischiare tutto. È per questo che l’anoressica getta tutto il proprio essere nella mischia fino al rischio estremo della sua stessa vita.[5]

La mancanza nell’essere umano non è un deficit da correggere, ma la condizione vitale della realizzazione creativa.

Il soggetto bulimico divora ogni cosa per non sentire la mancanza e quello anoressico non domanda più niente per annientare ogni possibile mancanza.**[6]**

La teoria lacaniana dell’anoressia è che l’anoressica sia una malata d’amore, nel senso che il suo rifiuto della domanda dell’Altro è finalizzato ad ottenere sempre il segno d’amore, il no anoressico ha come obiettivo il dono dell’amore dell’Altro.

Nella seconda versione Lacan, invece, guarda al rifiuto anoressico come una modalità per far sopravvivere il desiderio del soggetto, quindi una sorta di opzione nichilidta del soggetto.**[7]**

Il niente diventa una sorta di luogo di godimento in sé, una sorta di vuoto paradossale pieno di godimento.

L’anoressica è così accostata, secondo Lacan, al godimento tossicomanico.

Lo stesso definisce l’anoressia come un’aspirazione, la più oscura, ala morte o come un appetito di morte.

Da qui la scelta anoressica viene pensata come un suicidio differito che accista l’anoressia al godimento tossicomanico.[8]

Elena mi saluta dicendo che è un po’ stanca e mi dice: forse andrò dalla nutrizionista…anche perché avere un cane mi è sempre piaciuto.

Le chiedo di farmi sapere e la saluto dandole un bigliettino: “ quando c’è un perché abbastanza forte, non esiste nessun come..”**[9]**

Mi dice solo: “eh già…”


[1] M.RECALCATI, La clinica del vuoto

[2] S.FREUD.,  Al di la del principio di piacere, OSF IX, Boringhieri., 1920

[3] G.NARDONE  Problem solving strategico. L’arte di trovare soluzioni a problemi irrisolvibili (2009), Ponte delle Grazie

[4] A.BOHART,  C. & TALLMAN, K. (1999). How Clients Make Therapy Work: The Process of Active Self-Healing. Washington, DC: American Psychological Association.

[5] M.RECALCATI, Elogio al fallimento

[6] ibidem

[7] J.Lacan, la direzione della cura e i principi del suo potere., 2002

[8] J.LACAN, I complessi legami familiari, 2005

[9] F.NIETZCHE

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