IL DISMORFISMO CORPOREO.Sono come la mia famiglia o sto facendo un salto fuori dal mio destino

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Teresa Colaiacovo - IL DISMORFISMO CORPOREO.Sono come la mia famiglia o sto facendo un salto  fuori dal mio destino

“…Mi vergognavo di me stesso per essere vergognato di me stesso. Non mi piaceva una simile sensazione…”**[1]**

Lorenzo (nome di fantasia) torna da me la settimana successiva, ha un’aria dimessa e sembra carico di dubbi.

Lo invito ad accomodarsi e mi dice: “dottoressa per il momento preferisco stare in piedi perché ho avuto una settimana strana e ancora sono nervoso…”

Gli domando cosa intende per strana e lui mi dice: “beh, faccia lei.. ero con una ragazza a fare un giro ed ho incontrato mio padre ubriaco che stava litigando con un tizio, volevo sotterrarmi, scappare, ma sono rimasto congelato come un ebete e quella ragazza che è delle mie parti, quindi sapeva fosse mio padre mi/ci guardava terrorizzati.. vorrei vedere lei cosa avrebbe fatto al mio posto?!”

In quel momento sento che Lorenzo ha bisogno di essere accolto e validato.

La validazione è un costrutto fondamentale in riferimento alla relazione terapeutica. Molte ricerche hanno dimostrato come la percezione che il paziente ha della relazione terapeutica sia determinante per l’esito della terapia, a prescindere dall’orientamento terapeutico che si utilizza.[2]

Quando si svolge un intervento di validazione si comunica al paziente senza ambiguità che il suo comportamento è logico ed è possibile comprenderne il significato alla luce del contesto in cui si realizza.[3]

Dico a Lorenzo: “posso comprendere il senso di vergogna che lei ha sentito, trovo sia lecito sentirsi in imbarazzo di fronte ad una scena di questo tipo… ma perdoni la mia domanda, la vergogna a cui mi accennava è stato un sentimento nuovo per lei o le è capitato di provarle in altre circostanze?”

Lorenzo senza esitazione mi dice: “ho una sorella bipolare, un padre schizofrenico che ora breve anche e una mamma che beve da che ne ho memoria…come facevo a non vergognarmi? Fin da bambino mi vergogno di loro e forse anche di me…”

Nel momento in cui si parla di validazione del sè e dell’individualità nel suo complesso si fa riferimento a una genuina considerazione e riconoscimento incondizionato dell’individuo per quello che è effettivamente. In tal senso si valida l’individuo nel momento in cui la sua stessa esistenza è concepita come giustificabile e comprensibile, rilevante, significativa e accettata. La persona in questo modo è visibile e vista.[4] Facendo riferimento ad altri autori nell’ambito della psicologia, la validazione dell’individuo così concepita si avvicina molto all’espressione “considerazione positiva incondizionata” utilizzata da Rogers. [5]

Annuisco  e domando a Lorenzo di spiegarmi meglio il sentimento di vergogna che prova verso se stesso.

Mi dice: “beh non mi piace esser nato dove sono nato, non riuscire a scappare dalla mia famiglia… vorrei ma non posso…”

Gli domando: “perché sente di non potere visto che prova da anni questa vergogna?”

Mi dice: “perché alla fine ho una casa in cui tornare anche se non è come la vorrei..”

“Non pensa Lorenzo che potrebbe averne una che le piace di più che non sia quella della sua famiglia?”

“Si potrei, ma dovrei trovare una donna che non si vergogni di me e della mia famiglia…”

Lorenzo sembra stare in questo circolo vizioso senza vederne l’uscita.. allora gli domando: “ se domani questo sentimento di vergogna, che mi sembra il problema più importante, scomparisse come cambierebbe la sua vita?”

Lo vedo riflettere per qualche minuto e poi mi dice: “beh uscirei di casa, frequenterei dei locali e magari incontrerei una persona che non mi vede come il figlio dei miei genitori che in paese da me vengono definiti dei pazzi…”

Gli dico: “cosa le impedisce Lorenzo di andare in un altro posto e frequentare persone che non sanno nulla di lei e quindi provare a ri-scrivere ciò che non le piace della sua vita?”

Mi dice: “niente, ma ho paura che poi quando conosceranno la mia famiglia scapperanno..”

Gli chiedo se gli è mai capitato una cosa del genere e mi dice: “no, mai…non ho mai frequentato sul serio una donna, tanto da fare dei passi così importanti..”

Gli dico: “però mi pare di capire, mi corregga se sbaglio, che le piacerebbe frequentare una persona sul serio ed avere una sua vita?”

“si certo… però dovrei essere un altro..cioè io non vado bene…”

“Mi spieghi meglio, in che senso non va bene, al di là della vergogna che prova per la sua famiglia..io vedo un uomo giovane, con un buon lavoro e sensibile..lei cosa vede?”

“Un uomo solo, che sta invecchiando, che sta sbagliando e che ha un corpo ed un viso terribile… ho sempre odiato più il mio viso del mio corpo, per anni ho coperto gli specchi e anche oggi mi fa provare vergogna guardarmi”

Il Disturbo da Dismorfismo Corporeo (Body Dysmorphic Disorder – BDD), detto anche dismorfofobia, è caratterizzato dalla preoccupazione per uno o più difetti percepiti nell’aspetto del proprio corpo e dalla messa in atto di comportamenti protettivi. Questo disturbo risulta debilitante, associato a una diminuzione della qualità della vita e spesso alla compromissione del funzionamento interpersonale e sociale.[6] In questo tipo di disturbo il ruolo della vergogna risulta centrale sia nello sviluppo che nel mantenimento del disturbo. Veale e Gilbert hanno proposto che la vergogna guidi i comportamenti problematici, come il controllo e il camuffamento estetico, il confronto di sé con gli altri e l’evitamento sociale.[7]

La vergogna contribuisce quindi in modo significativo all’aumento generale dei sintomi e delle conseguenze psicosociali negative comunemente associate, come funzionamento limitato, depressione e pensieri suicidari.[8]

La vergogna si riferisce all’esperienza emotiva di percepire il sé come intrinsecamente difettoso e socialmente indesiderabile; implica l’autocritica, comprese le autovalutazioni negative per difetti percepiti o carenze, con il conseguente bisogno di “scomparire” o nascondersi.[9] Comprendo come il senso di vergona di Lorenzo sia legato al concetto del sé, concetto che va ben oltre il famigliare. Chiedo a Lorenzo se ha mai provato ad essere più compassionevole con se stesso, quindi a prendersi cura di sé piuttosto che ad auto-svalutarsi cercando motivi per sabotarsi… mi risponde: non credo nessuno me lo abbia insegnato. Lo guardo e gli dico che magari possiamo provarci insieme, gli do, inoltre, un bigliettino con una frase: “E’ una cosa vergognosa non avere nulla di cui vergognarsi..”[10]Mi dice: “ma non è tardi ormai?” Gli rispondo: “Lorenzo, da ORA IN POI…”


[1] Benjamin Alire Sáenz)

[2] Martin, D.J., Gorske, J.P. & Davis, M.K. (2000). Relation of the therapeutic alliance with outcome and other variables: A meta-analytic review. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 68(3), 438-450

[3] Esposito R (2010). Validation of feeling. In I Marks L Sibilia e S Borgo (a cura di) Common language in psychotherapy procedures. The first 80, Centro Ricerche Psicoterapia Edizione, Roma or http://www.commonlanguagepsychotherapy.org/, 2008b.

[4] Linehan, M.M. (1997). Validation and psychotherapy. In A. Bohart & L.Green (Eds.), Empathy reconsidered: New directions in Psychotherapy. Washington DC: American Psychological Association 353-392

[5] Rogers, C. R. (1959). A theory of Therapy, personality and interpersonal relationship as developed in the client-centered framework. In S. Koch (Ed.), Psychology: A study of a science (Vol.3, pp.184-256). New York: McGraw-Hill.

[6] Phillips, K. A., Didie, E. R., & Menard, W. (2006). Clinical features and correlates of major depressive disorder in individuals with body dysmorphic disorder. Journal of Affective Disorders97(1), 129–135.

[7] Veale, D., & Gilbert, P. (2014). Body dysmorphic disorder: The functional and evolutionary context in phenomenology and a compassionate mind. Journal of Obsessive-Compulsive and Related Disorders3(2), 150–160.

[8] Gilbert, P., & Procter, S. (2006). Compassionate mind training for people with high shame and self-criticism: Overview and pilot study of a group therapy approach. Clinical Psychology and Psychotherapy13(6), 353–379.

[9] Lewis, H. B. (1971). Shame and guilt in neurosis. Psychoanalytic Review58(3), 419–438.

[10] Sant’Agostino

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