APPROCCI PER LA CURA DEI DISTURBI PSISOMATICI

Un blog di psicologia e sessuologia è un sito web che fornisce informazioni e consigli sulle tematiche relative alla psicologia e alla sessuologia. Il contenuto di un blog di psicologia e sessuologia può variare, ma di solito include articoli informativi, consigli pratici, recensioni di libri o prodotti relativi a queste tematiche, e risposte a domande frequenti.

Teresa Colaiacovo - APPROCCI PER LA CURA DEI DISTURBI PSISOMATICI

“….Bisogna tornare alla “Medicina della persona”. Per curare qualcuno dobbiamo sapere chi è, che cosa pensa, che progetti ha, per che cosa gioisce e soffre. Dobbiamo far parlare il paziente della sua vita, non dei suoi disturbi. Oggi le cure sono fatte con un manuale di cemento armato: “Lei ha questo, faccia questo; ha quest’altro, prenda quest’altro”. Ma così non è curare…” (Umberto Veronesi)

Oggi sono sempre più numerosi gli arricchimenti teorici e clinici che riguardano la “terapia familiare”, nel momento poi che, questo orientamento e metodo di cura, si è esteso non solo ai disturbi di carattere psicologico ed esistenziale, ma anche alla gestione terapeutica dell’ “ammalare” come caratteristica dell’uomo. il modello di funzionamento familiare di McMaster che presenta la peculiarità di associare una solida teoria multidimensionale sul funzionamento familiare con strumenti validi di auto ed eterovalutazione, insieme a un approccio terapeutico definito come “Terapia sistemica della famiglia centrata sul problema” (PCSTF).Un aspetto innovativo del modello McMaster è quello di fornire ai clinici modelli coerenti, adattabili ed applicabili ad un’ampia gamma di contesti clinici, e ai ricercatori strumenti empiricamente validi.Le ricerche hanno dimostrato la validità e l’applicabilità in diversi contesti clinici, dalla psichiatria, alla psicologia clinica, alla medicina generale e ai disturbi complessi dell’età evolutiva.Secondo questo modello lo stato di benessere e di malessere della famiglia dipende da sei dimensioni fondamentali, stili di comunicazione, distribuzione dei ruoli, controllo comportamentale ,abilità nella risoluzione dei problemi, qualità delle risposte emotive,  coinvolgimento affettivo.

In aggiunta a tutte queste caratteristiche il modello identifica poi in modo tradizionale gli schemi disfunzionali i che si ripetono in modo rigido e ripetitivo mantenendo il disagio.

Presupposti di base di questi sono:

  1. porre enfasi su macro aree nel trattamento
  2. stabilire relazione significativa tra terapeuta e membri della famiglia
  3. collaborazione attiva di tutti i partecipanti
  4. comunicazione aperta e diretta con la famiglia, spiegare in maniera chiara ciò che si sta facendo, scopo
  5. la famiglia è responsabile del proprio cambiamento, i membri della famiglia sono coinvolti nel chiarire, identificare e risolvere i problemi
  6. porre enfasi sul presente
  7. focus su atteggiamenti presenti, manifesti e non latenti
  8. focus su cambiamenti osservabili, qualsiasi cambiamento desiderato di atteggiamento o convinzione viene sempre tradotto in cambiamenti comportamentale
  9. punti di forza della famiglia
  10. natura limitata nel tempo, stimola la partecipazione attiva.

Un altro approccio a mio avviso interessante è quello della psicoterapia cognitivo comportamentale che unisce due forme di terapia, quella comportamentale che aiuta a modificare la relazione tra le situazioni che creano difficoltà e le abituali relazioni fisiche- apprendimento di nuove modalità di relazione, la parte cognitiva che aiuta a ristrutturare pensieri ricorrenti, schemi fissi di ragionamento e di interpretazione della realtà che sono concomitanti alla reazioni fisiche che creano disagio.

GRUPPOANALISI: ll lavoro gruppoanalitico consiste nello scoprire il significato di questi sintomi fino al livello più primitivo (proto mentale) per essere desomatizzato, tradotto in parole e mentalizzato. Uno dei vantaggi dei gruppi è che gli alexitimici possono sviluppare gradualmente la verbalizzazione. Il gruppo svolge inoltre una migliore funzione di contenimento.

Nei gruppi analitici la comunicazione avviene a vari livelli: da un livello psicosomatico indifferenziato , primario a livelli simbolici verbali e astratti. La relazione progressiva e la condivisione sono fattori essenziali. Essa implica la traduzione della mimica, dell’espressione emotiva diretta, delle manifestazioni di conversione del linguaggio degli organi e degli affetti in comunicazione verbale chiara che permette ai processi ed ai messaggi autistici di essere aperti e valutati in un clima di apertura e di comprensione condivisa. La traduzione può avere una parte importante per aiutare le persone a superare l’abituale fiducia nei disordini psicosomatici ed esprimere quegli aspetti di sé delle loro relazioni che non possono essere espresse in altra maniera.

Prima o poi i pazienti psicosomatici abbandonano la dipendenza da forme somatiche di comunicazione. Il gruppo si dimostra un contenitore migliore della propria madre e famiglia, la frustrazione non attiva più inevitabilmente lo psico-soma primitivo (protosomatico)

E’ necessario tollerare e contenere l’ansia, il dolore, la mancanza di aiuto, la dipendenza e la rabbia. Il gruppo facilita la comunicazione ad un livello primitivo più profondo ed il conduttore deve trasformare le sue sensazioni controtransferali in consapevolezza, deve ascoltare con i suoi intestini oltre che con le orecchie. Deve facilitare la comunicazione ai livelli primitivi più profondi ed infine tradurli in parole.

D.G.Brown (1985) riassume questi concetti in 6 massime:

  1. Disturbi profondi necessitano sostegno e preparazione
  2. Bisogna contenere l’ansia, il dolore, la sensazione di mancanza d’aiuto e la rabbia
  3. Il significato dei fenomeni fisici deve essere scoperto perché il soma possa essere mentalizzato
  4. Il terapeuta deve dare il nome alle sensazioni
  5. Bisogna facilitare la comunicazione a livelli profondi
  6. Il terapeuta deve ascoltare con il corpo oltre che con le orecchie.

Guardando ai avari approcci se ne deriva che la patologia psicosomatica non esiste come tale ma costituisce un aspetto particolare  o dell’ammalare del corpo o della psiche o del complesso umano ed è caratterizzata da una sintomatologia che non coinvolge profondamente il corpo, se ne deriva che non esiste una terapia specifica in quanto tecnica, ma che esiste un modo di fare terapia.2

Ciò che assume particolare importanza è l’elemento unificante di ogni psicoterapia, a prescindere dalla prospettiva, ma ciò che si co-costruisce tra clinico e paziente.

Devono essere sempre rispettate le caratteristiche del funzionamento psichico del paziente che tende a vivere nel corpo e col corpo la sua conflittualità, come espressione di un suo profondo modo di essere e non espressione di resistenza o di normale meccanismo di difesa.

Un po come la creazione del senso, di una prospettiva, ci salva dal caso, così la creazione del sintomi ci salva dal rumore interiore

Ad esempio, sono spesso individuate come tecniche efficaci certe tecniche così dette a mediazione corporea, capaci di indurre uno stato di rilassamento o l’ipnosi.

Allo stesso modo in una psicoterapia a impronta analitica è importante lavorare sulla presa di coscienza del possibile legame tra vissuti relazionali, transferali e somatici, senza ridurre necessariamente questi a un livello meramente simbolico.

Guardando ai avari approcci se ne deriva che la patologia psicosomatica non esiste come tale ma costituisce un aspetto particolare  o dell’ammalare del corpo o della psiche o del complesso umano ed è caratterizzata da una sintomatologia che non coinvolge profondamente il corpo, se ne deriva che non esiste una terapia specifica in quanto tecnica, ma che esiste un modo di fare terapia.

Ciò che assume particolare importanza è l’elemento unificante di ogni psicoterapia, a prescindere dalla prospettiva, ma ciò che si co-costruisce tra clinico e paziente.

Devono essere sempre rispettate le caratteristiche del funzionamento psichico del paziente che tende a vivere nel corpo e col corpo la sua conflittualità, come espressione di un suo profondo modo di essere e non espressione di resistenza o di normale meccanismo di difesa.

Un po come la creazione del senso, di una prospettiva, ci salva dal caso, così la creazione del sintomi ci salva dal rumore interiore

.  Vediamo quindi come i sentimenti sono molto corporei ; lo sviluppo della mente è strettamente correlato a quello del corpo. Quando si presenta un sintomo  il corpo ci consegna un chiaro messaggio esistenziale: “qui c’è qualcosa che non va e, se tu non ne sei consapevole, sarò io a dovertelo mostrare”.

Inoltre il corpo ha memoria: conserva tracce della nostra storia, delle gratificazioni ricevute, ma anche degli impedimenti che nel corso della nostra esistenza ci hanno portato a disattivare e non esprimere determinate emozioni, come la paura, la rabbia, la tristezza. E’ nel soma che troviamo scritta la storia delle nostre esperienze, perfino di quelle infantili o addirittura prenatali. Attraverso il corpo, sin da bambini impariamo a “gestire” le emozioni e i vissuti che sentiamo “pericolosi” o angoscianti, che non trovano accoglimento dall’ambiente in cui siamo cresciuti. Quando le espressioni emotive vengono bloccate o impedite o colpevolizzate o quando il contesto familiare è carico di tensioni, conflitti freddezza, indifferenza o non detti,  il bambino impara a bloccare le emozioni pur di non sentirle o al contrario le esaspera pur di sopravvivere. Per fare questo, è del corpo che si serve: contraendo i muscoli oppure mollandoli continuativamente, diminuendo o bloccando la respirazione, assumendo determinate posture e atteggiamenti corporei. Nel tempo, tutto ciò può diventare cronico e il soggetto resta bloccato in copioni “antichi” che si rinnovano e ripetono senza che egli ne abbia consapevolezza.

Infine, possiamo dire che il corpo non mente: attraverso l’ascolto delle sue sensazioni e dei suoi segnali possiamo ottenere una marea di informazioni su noi stessi, sulle nostre reali necessità, su quello che ci piace o meno, su ciò che è importante “tenere” nella nostra vita o, invece, “lasciare andare”.  Ascoltare i sussurri, le parole o, a volte, le urla del nostro corpo è un buon modo per entrare in contatto con noi stessi e aumentare la nostra consapevolezza e, dunque, la responsabilità verso i nostri bisogni.

Un’altra tecnica che ho trovato particolarmente interessante ai fine  dell’esprimere senza linguaggio i nostri stati d’animo è l’uso della sabbiera, quindi della sandpaly  therapy.

Che cos’è? C’è un vassoio con della sabbia e numerosi oggetti: case, legni, personaggi.  La persona adulto o bambino può decidere di costruire il proprio paesaggio vero, interno o esterno.nello spazio della sabbiere la persona ha la possibilità di rappresentare non solo contenuti inconsci della sua vita infantile personale, ma anche contenuti riconducibili alla storia che vive nel presente. Il vassoio di sabbia si pone come spazio libero e protetto all’interno del quale il pz può comunicare anche quando non ha parole per esprimere il proprio malessere. L’attività creatrice dell’immaginazione strappa la persona ai vincoli che lo imprigionano nel nient’altro, elevandolo al ruolo di colui che gioca: l’uomo come dice Shiller , è totalmente uomo solo là dove gioca.

La sabbiera diventa un mediatore, uno spazio per esprimere l’inesprimibile attraverso il gioco. Non ci sono le parole, quindi non c’è l’uso del sistema cosciente, ma attraverso la manipolazione si attivano circuiti neuronali e strutture subcorticali profonde (come l’ipotalamo di cui fanno parte i processi non coscienti depositari di tracce mnestiche silenti ed esperienze precoci traumatiche. Quindi, quest’attività di gioco, di manipolazione è diversa da quelle stimolate dal linguaggio. C’è un libero sfogo della fantasia e contatto. Vi è comunicazione anche per chi non ha le parole per dirlo.

Attraverso la scelta di una moltitudine di oggetti può creare il proprio quadro

Proprio a proposito delle parole per dirlo, illuminante per me è stato il libro “le parole per dirlo di M.Cardinal.

Una donna che inizia un percorso di analisi per se stessa e con se stessa, per guarire dalla sua malattia che chiama Cosa, dall’angoscia che accompagna le sue giornate.

Una donna che inizia a convivere con le sue paure, figlie di un passato non troppo lontano, ma nemmeno troppo vicino che ha bisogno di una voce per essere raccontato e delle orecchie giuste per essere ascoltato.

Inizia cosi a scoprirsi ed a conoscere ciò che non si era saputa dire, inizia trovare le parole: “ Avevo paura della morte, ma anche della vita perché essa genere la morte. Avevo paura del mondo esterno, ma anche di quello interno.

Avevo paura degli altri e anche di me stessa perché mi sentivo un’altra.”

La persona che soffre di disturbi psicosomatici spesso inizia un percorso dicendo: cos’ho io che non va? Anziché chiedersi e chiedere chi sono io? Chi ascolta la storia, il sentire o l’agito di queste persone deve tener presente che come spesso la creazione di un senso, di una prospettiva ci salva dal caso, così la creazione del sintomo ci salva dal rumore interiore.

Che il clinico sia in una prima fase un diario dei sintomi corporei ed emotivi del paziente ,che la terapia aiuti a trovare le parole per dirlo, ciò che è importante è  sapere che la cura è nel rapporto perché il trauma interno non ha parole , se non è aiutato ad averne.

In conclusione, come nel libro dice la Cardinal: “…per la prima volta qualcuno mi parlava come se fossi una persona normale. E per la prima volta da tempo, mi comportavo come una persona capace di assumersi le proprie responsabilità. È come dare la mano a uno che ne abbia bisogno. È come riconoscersi umani , della stessa specie, in un momento di difficoltà….”3

1 http://amsdottorato.unibo.it/279/1/McMaster_Model_of_Family_Functioning.pdf

2 https://www.neuropsicosomatica.com/pnei/wp-content/uploads/2020/11/NEUROPSICOSOMATICA-2-22-Novembre-2020-bassa-risoluz.pdf

3 CARDINAL M., Le parole per dirlo

Seguimi su Instagram