Gli ansiolitici come cerotti dell'anima. cosa sono e come agiscono

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Teresa Colaiacovo - Gli ansiolitici come cerotti dell'anima. cosa sono e come agiscono

…Se i nostri saranno occhi bagnati di lacrime, occhi che ci permettono di immedesimarci nella vita interiore del malato, nel suo dolore, di vedere l’anima ferita in fondo ai suoi occhi, allora riusciremo a essere di aiuto…”
Eugenio Borgna

Maria ha 46 anni, gestisce un bar e mi dice: “ho paura di smettere di prendere l’ansiolitico… vivo per l’ansiolitico…”

inizia a raccontarmi del suo vissuto, di quando ha iniziato ad assumere le benzodiazepine e cosa le piace della sensazione di assumerle.

mi chiede esplicitamente di farle capire come funzionano e cosa sono, le mostro così in maniera sintetica una relazione cercando di spiegargliela in modo chiaro.

Le benzodiazepine sono farmaci derivati dal clordiazepossido, sostanza introdotta negli anni ‘60, avente proprietà sedative e ipnotiche che variano a seconda della molecola. Esse agiscono stimolando il sistema GABA-ergico, cioè il sistema dell’acido γ-amminobuttirico. Il GABA è un γ-amminoacido ed è il principale neurotrasmettitore inibitorio del cervello.

Il GABA si lega ai suoi specifici recettori: il GABA-A, il GABA-B e il GABA-C.
Le benzodiazepine si legano ad un sito specifico presente nel recettore GABA-A, promuovendo una cascata di segnali inibitori indotta dal GABA stesso.
L’azione naturale del GABA è, dunque, potenziata dallebenzodiazepine,le quali esercitano un’influenza inibitoria sui neuroni, quindi, le benzodiazepine sono attive solo in presenza del GABA e, di conseguenza, l’azione sedativa è limitata alla quantità di GABA presente, a differenza dei barbiturici, che agiscono direttamente sul flusso di ioni cloro.
Sono fra i farmaci più usati in medicina generale: sono utili nell’insonnia e nella gestione dell’ansia, ma sono prescritti anche in caso di irrequietezza motoria, come miorilassanti e per il trattamento delle convulsioni.
Possono essere classificate in base alla loro emivita plasmatica che rappresenta la durata d’azione del farmaco.
È importante sapere che non esiste una corrispondenza diretta tra emivita plasmatica e rapidità d’azione, in quanto, alcuni farmaci sono metabolizzati in altri composti attivi che ne prolungano la durata d’azione.

  • BZD EMIVITA BREVE, BREVISSIMA: durata di 2-6 ore. A questa classe appartengono il triazolam e il midazolam;
  • BZD EMIVITA INTERMEDIA: durata 12-24 ore, a questa categoria appartengono l’oxazepam, il lorazepam, il lormetazepam, l’alprazolam e il temazepam;
  • BZD EMIVITA LUNGA: durata 1-4 giorni, tra cui il clordiazepossido, il clorazepato, il diazepam, il flurazepam, il nitrazepam, il flunitrazepam, il clonazepam, il prazepam .

    L’uso prolungato delle stesse negli anni ha fatto si che venissero battezzate come “cerotti dell’anima”.

Le varie tipologie di benzodiazepine hanno in comune quattro effetti terapeutici:

  • Effetto ansiolitico
  • Effetto ipnoinducente
  • Effetto miorilassante
  • Effetto anticonvulsivante
    Sono farmaci che generano studi, opinioni, entusiasmi e paure molto diverse ed eterogenee.
    Ci sono persone che riconoscono l’alto e immediato potere di trattamento dell’ansia e dell’insonnia, con bassi rischi di effetti collaterali come aumento di peso o aritmie cardiache etc.
    Raramente un sovradosaggio daBZD può avere esiti fatali, a meno che non siano stati contemporaneamente assunti altri farmaci o sostanze in grado di deprimere il sistema nervoso centrale, come barbiturici, oppioidi, alcool o droghe.

    Gli effetti collaterali da esse prodotte sono:

    • sedazione eccessiva
    • sonnolenza diurna
    • confusione
    • depressione
    • disturbi della coordinazione
    • atassia
    • disturbi della memoria, tra cui l’amnesia anterograda

      possono, inoltre, causare una sorta di sintomi paradosso come: • irritabilità

      • rabbia
      • collera
      • irrequietezza

      La domanda che si pone a questo punto è se il paziente ha o meno bisogno di questi farmaci.
      Le ricerche scientifiche sembrano mostrare che se le benzodiazepine vengono usate a dosi basse, o vengono usate a dosaggi alti per periodi di tempo molto limitati, sono farmaci utili e efficaci per molti pazienti.
      Il problema quindi non è stabilire se le benzodiazepine sono farmaci utili o dannosi, ma stabilire per chi, a quali dosi e per quanto tempo siano realmente utili.
      Se un anziano ha preso una benzodiazepine a basso dosaggio per lungo tempo, difficilmente avrà problemi e bisognerebbe evitare di spaventarlo, mentre se un giovane ha preso una benzodiazepina ad alto dosaggio, durante episodi di agitazione (ad esempio, in corso di un episodio di mania-euforia

bipolare), e dopo continua a prenderla a basso dosaggio per controllare l’ansia o l’insonnia, spesso ha più benefici che danni.
Le ricerche, inerentemente all’aspetto della dose da assumere di farmaco, sembrano concordare con la frase di Paracelso: “Nulla è di per sé veleno, tutto è di per sé veleno, è la dose che fa il veleno.“ Al concetto di dose si lega quello di tempo, “per quanto tempo si possono assumere le benzodiazepine?”

Appare sicuramente sbagliato protrarre la cura quando non ce n’è più bisogno, inoltre un uso ad alte dosi fa si che, dopo un po’, le benzodiazepine perdano potere, quindi sono necessarie dosi sempre più alte per avere il solito effetto, fino a un punto in cui funzionano solo 1-2 ore dopo la somministrazione, lasciando poi il paziente più ansioso di prima (ma sempre convinto della loro efficacia, perché all’inizio alleviano di tanto la sua sofferenza).

l problema è l’assunzione di questi farmaci ad alti dosaggi e per lunghi periodi, a volte auto- prescrivendoseli.
In questi casi, il rischio di “dipendenza” e di “tolleranza” (necessità di dosi sempre maggiori per avere lo stesso effetto) è molto elevato, e con esso elevato anche il rischio di avere importanti effetti collaterali o, comunque, più danni che benefici.

Molti studi recenti hanno visto un aumentato uso di benzodiazepine nei pazienti con demenza, quindi hanno attribuito a questi farmaci il rischio di generare o peggiorare la demenza.
Questi studi sembrano, però, trascurare il fatto che le demenze sono spesso precedute da stati ansiosi, che aumentano il possibile uso di benzodiazepine nei periodi che precedono l’insorgenza dei sintomi cognitivi.

Per molto tempo queste sono state i farmaci di prima scelta nel controllo dei sintomi ansiosi e tuttora sono considerate il trattamento più indicato per il controllo rapido dell’ansia e per gestire le situazioni in cui non vi sia comorbilità con un disturbo depressivo.
Numerosi studi clinici randomizzati hanno infatti dimostrato, nel corso degli anni, la loro elevata efficacia nel trattamento dell’ansia generalizzata.

Sono farmaci, come abbiamo visto, gravati da una serie di effetti collaterali che si manifestano soprattutto quando l’uso è prolungato e negli anziani.
Importante è sottolineare come spesso la sospensione brusca delle benzodiazepine provochi
un quadro sintomatologico caratterizzato da irritabilità, tremori, ansia, insonnia, sudorazione.

In molti utilizzatori di benzodiazepine, il timore di sviluppare questi sintomi induce a proseguirne l’uso in modo continuativo, innescando così un meccanismo per cui non è più chiaro se l’utilizzo risponda ad un bisogno reale (continuano ad essere presenti sintomi ansiosi) oppure se sia legato al timore della sospensione.

Per ridurre questi rischi, è importante utilizzarle in modo occasionale, negoziando con il paziente la durata del trattamento e chiarendo le modalità graduali della sospensione.
In linea di massima, il trattamento delle condizioni ansiose con benzodiazepine dovrebbe durare 2-6 settimane, seguite da 1-2 settimane di riduzione del farmaco prima della sospensione.

Uno degli errori clinici più comuni è accettare di continuare il trattamento per un tempo indefinito7. Di solito si prediligono le benzodiazepine a lunga emivita (per esempio il diazepam), che svolgono un effetto ansiolitico di giorno e ipnoinducente la sera.
Molte sensazioni di ansia e disagio non hanno bisogno di un approccio farmacologico, o almeno non solo, hanno bisogno di essere ascoltate, sentite oltre che dal paziente anche dal clinico.

Winnicott sosteneva che la psicoterapia ha luogo dove si sovrappongono due aree di gioco, quella del paziente e quella del terapeuta, la psicoterapia ha luogo, quindi, dove entrambe le figure all’interno del setting giocano insieme.

Tra i bisogni ed i desideri emersi in questo momento storico, c’è il bisogno di essere ascoltati, il desiderio che lo psicologo legga, insieme, appunto, le ferite dell’anima.


L’insonnia, l’ansia e quel sentimento di angoscia che sfocia nell’incredulità come possono essere curate?

Aldilà della terapia farmacologica, magari utile, nei casi maggiormente invalidanti, sarebbe utile parlare con il paziente dell’importanza di accettare la precarietà alla quale siamo esposti, sottolineando che il dolore, sempre vissuto come il negativo della vita, spesso è il soffio che sviluppa l’anima, in quanto come diceva Jung “non c’è presa di coscienza senza dolore”.

Prendere coscienza può essere il primo passo per accettare il cambiamento che avviene fuori e dentro ciascuno di noi, il primo passo per rallentare e dirci:” la nostra ansia non viene dal pensare al futuro, ma dal volerlo controllare”.

Maria mi ascolta attenta e mi chiede: “cosa possiamo fare insieme, allora?”

le risponde: “fare un pò di luce al buio, per esempio”

mi sembra soddisfatta della risposta e mi dice: “e quando mi viene la tentazione di prenderle? che faccio?”

le dico: “potrebbe provare prima di assumerle a scrivere cosa la rende irrequieta e iniziare a tenere questo diario, poi scrivere cosa la farebbe stare serena…”

la saluto con una frase: “Guarire è toccare con amore ciò che abbiamo precedentemente toccato con paura..” S. Levine

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