i tradimenti virtuali e il senso di inadeguatezza

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Teresa Colaiacovo - i tradimenti virtuali e il senso di inadeguatezza

“…Non si deve restare attaccati ad una persona, fosse pure la più amata: ogni persona è una prigione e pure un nascondiglio..” **[1]**

Michela (nome di fantasia) inizia un percorso di supporto psicologico perché (riporto le sue parole in corsivo): “non sono abbastanza, il mio compagno preferisce tradirmi con il telefono anche quando non mi tradisce…”

Le chiedo cosa vuole dire per lei tradire anche quando non mi tradisce… mi risponde:” è sempre con il telefono in mano e se non per scrivere a qualcuna lo fa per lavoro… io penso di essere noiosa e che questa volta si sarà innamorato sul serio di qualcuna…”

Chiedo a Michela cosa prova quando si definisce noiosa e mi dice:” beh me l’hanno sempre detto tutti, mia mamma in primis… non sono mai stata una bambina e poi una ragazza brillante, non mi sono laureata, invece Gianluca è realizzato e di successo…non esiste un motivo per cui deve stare con me, infatti non sta con me…preferisce il telefono..”

Le chiedo del rapporto con sua mamma, di come la faceva sentire noiosa.. Michela si commuove e mi dice: “… beh non mi ha mai dato un bacio e ogni motivo era buono per lei per fare altro e quando le chiedevo un’attenzione lei mi ripeteva che ero inutilmente noiosa…Gianluca fa uguale e preferisce il telefono a me…”

Con Bion (1962a, 1962b) il concetto di reverie assume un nuovo e specifico significato psicoanalitico.[2]

Bion indica con questo termine la capacità della madre di ricevere le impressioni emotive e sensoriali del neonato, convogliate in lei per mezzo dell’identificazione proiettiva, e di elaborarle in una forma che la psiche del neonato possa quindi reintroiettare e assimilare.

La teoria bioniana del pensiero ipotizza che l’esperienza non può diventare pensabile, né in modo conscio né in modo inconscio, se non è trasformata in rappresentazioni elementari (gli elementi alfa) per opera di una funzione psichica chiamata dapprima lavoro del sogno alfa e successivamente, com’è più noto, funzione alfa.

Con la reverie la madre mette la propria funzione alfa al servizio di quella, ancora immatura, del bambino.  Le inevitabili frustrazioni nel rapporto col seno scatenano nel neonato sensazioni angosciose di morte incombente, che soltanto dopo essere state contenute e metabolizzate nella mente della madre possono venire assimilate come una tollerabile paura di morire.

Insieme alle proprie esperienze emotive rese pensabili, il bambino introietta così un oggetto accogliente e comprensivo col quale identificarsi, sviluppando via via la sua capacità di pensare.

Non trovando un’ adeguata accoglienza che dia senso alle sue proiezioni, per gravi carenze della reverie materna, il bambino rischia invece di reintroiettare un terrore senza nome, non integrabile nella sua personalità in via di sviluppo.

Il modello astratto e unipersonale della funzione alfa acquista, declinandosi nella reverie, uno spessore affettivo e relazionale.

Per Bion, infatti,  la reverie consiste in uno stato mentale aperto alla ricezione di tutto ciò che proviene, mediante l’identificazione proiettiva, da un oggetto amato.

Con la reverie la madre provvede al bisogno di amore e di comprensione del bambino, così come con il latte provvede al suo nutrimento. Se non fosse associata all’amore per il bambino o per suo padre, sottolinea Bion, la reverie materna non sarebbe davvero tale e non potrebbe espletare il suo effetto per la crescita psichica.[3]

Il senso di inadeguatezza di Michela ha radici profonde, le chiedo di raccontarmi come si sente quando vede il compagno con il telefono.

Lei mi dice:” beh… trascurata, qualsiasi cosa non è importante se è mia, io sono certa che ci sia qualche donna più in gamba di me a distoglierlo da tutto, ma so che non mi lascerà mai perché io non ho un lavoro e poi gli faccio comodo…”

L’attuale panorama acconsente a nuove forme di tradimento. Se prima venivano praticati negli alberghi, oggi senza uscire di casa si può tradire, garantendo così l’omeostasi di coppia. La sicurezza della coppia è salva e si ci presta ad un surrogato di trasgressione.

Per quanto riguarda il compagno di Michela e il suo rapporto con il cellulare mi sembra di scorgere nel telefono una sorta di prolungamento del braccio, un aggeggio che diventa una protesi del sé.[4]

La dipendenza da cellulare ha un nome, nomofobia, e indica una condizione psicologica in cui la perdita o impossibilità di utilizzo dello smartphone genera nella persona una risposta di panico, sensazioni che portano spesso ad associare la nomofobia alla Fear of Missing Out. L’angoscia viene paragonata a quella esperita con una fobia, proprio perché è innescata anche alla sola idea di perdere i contatti con amici e conoscenti, di non essere rintracciabili e di non avere la possibilità di visionare costantemente ciò che il mondo pubblica minuto per minuto[5]. Tale condizione, scoperta recentemente, si espande in parallelo allo sviluppo tecnologico ed è fortemente associata ad una sintomatologia ansiosa, tanto che allo stato attuale è difficile distinguere se si diviene ansiosi per la dipendenza da smartphone o se la nomofobia sia solo un canale per manifestare sintomi ansiosi già esistenti[6].

Poco importa se questo ferisce Michela, ciò che conta è che lui attraverso il telefono ricerchi un’intimità lontana, ma vicina.. un’intimità leggera e a portata di click, ma che lo allontana dai veri problemi.

Dopo aver esplorato gli stati d’animo di Michela, le propongo di scrivere ogni volta che si sente noiosa e inadeguata all’interno del suo rapporto di coppia e di collegare questi suoi pensieri allo stato d’animo e ai comportamenti che mette in atto.

Lei mi dice: “Ma secondo lei Dottoressa posso salvare il mio rapporto?”

Io le rispondo: “lei vuole salvare il suo rapporto realmente?”

Mi dice: “io vorrei non perderlo, ma non vorrei mi facesse provare questi stati d’animo perché così mi sembra di essere ritornata la bambina che si sentiva fuori posto sempre…”

Le scrivo una frase sulla quale potrà riflettere: il partner che ti scegli diventa la persona con cui poter giocare in tutti e tre i ruoli: il bambino da accudire, il genitore che accudisce e l’adulto con cui confrontarsi…

Lei mi guarda commossa e mi saluta.


[1] NIETZSCHE F., Al di là del bene e del male

[2] Bion W.R. (1962a). Una teoria del pensiero. In: Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma, Armando, 1970.

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[3] Bion W.R, (1962b). Apprendere dall’esperienza. Roma, Armando, 1972.

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