Chi è Salvatore Ocone? A Paupisi strage familiare: interpretazioni psicologiche.

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Teresa Colaiacovo - Chi è Salvatore Ocone? A Paupisi strage familiare: interpretazioni psicologiche.

Ha ammesso tutto Salvatore Ocone, l’uomo accusato di aver ucciso la moglie e il figlio di 15 anni e di aver ridotto in fin di vita la figlia 16enne a Paupisi, nel Beneventano. L’uomo ha confessato durante l’interrogatorio della notte, nella caserma dei carabinieri di Campobasso, dove era stato portato dopo essere stato fermato nelle campagne di Ferrazzano. Ocone è stato trasferito nel carcere di Campobasso con l’accusa di duplice omicidio aggravato, tentato omicidio e sequestro di persona.

I figli colpiti subito dopo la madre

Salvatore Ocone avrebbe colpito i ragazzi subito dopo aver ucciso la moglie. Sarebbe quindi esclusa, al momento, l’ipotesi di un’aggressione durante la fuga da Paupisi a Ferrazzano, nelle campagne attorno a Campobasso, dove poi l’uomo è stato fermato dai carabinieri. La figlia è stata trasferita in condizioni gravissime dal Cardarelli di Campobasso al Neuromed di Pozzilli, in provincia di Isernia, dove è stata operata. L’intervento chirurgico è durato diverse ore, come rende noto la direzione sanitaria del Neuromed, e la prognosi è riservata.

“Ho ucciso mia moglie perché era aggressiva”

Durante l’interrogatorio seguito alla cattura, avvenuta dopo la fuga in auto, Salvatore Ocone ha spiegato agli inquirenti le ragioni del gesto che lo ha portato a togliere la vita alla moglie e a uno dei figli. Secondo quanto riferito dal procuratore di Benevento, Gianfranco Scarfò, l’uomo avrebbe parlato di “dinamiche familiari conflittuali”, indicando come motivo principale un atteggiamento della moglie che a suo dire risultava di aggressività e dominazione nei suoi confronti e in ambito domestico. La dichiarazione è stata resa nota nel corso di una conferenza stampa convocata in Procura, alla presenza anche del comandante provinciale dei Carabinieri, Enrico Calandro.

Ocone soffriva di psicosi cronica

Il magistrato ha confermato che Ocone, 58 anni, ha colpito mortalmente la moglie Elisabetta Polcino, 49 anni, mentre dormiva, utilizzando una pietra. L’omicidio sarebbe avvenuto tra le 5 e le 6 del mattino. Subito dopo l’uomo avrebbe aggredito con lo stesso oggetto anche i due figli adolescenti, Antonia, 16 anni, e Cosimo, 15 anni, probabilmente anch’essi nel sonno. Dopo averli caricati in auto, è fuggito dalla sua abitazione di Paupisi, nel Sannio, dirigendosi verso il Molise. Gli investigatori hanno ricordato che Ocone soffriva di psicosi cronica e che nel 2011 era stato sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio. Nonostante ciò, non risultavano episodi di violenza domestica documentati prima della tragedia che si è consumata ieri.

BRUZZONE SPIEGA “IL DELIRIO DI ROVINA”

“Il caso di Paupisi ci lascia davanti a uno scenario agghiacciante: un uomo che uccide la moglie, colpisce i figli e tenta di trascinarli nella sua stessa caduta. Episodi come questo non nascono dal nulla: spesso dietro c’è un meccanismo psichico devastante, quello che in psicologia forense chiamiamo delirio di rovina”. E’ la riflessione affidata ai social di Roberta Bruzzone, nota psicologa e criminologa. “Si tratta – spiega – di una condizione in cui la persona è convinta che la propria vita sia ormai distrutta, senza più alcuna via d’uscita. Una spirale mentale che trasforma la disperazione in un progetto criminale. E quando questa convinzione si salda con l’idea che i familiari siano una “estensione di sé”, il passo verso la strage familiare diventa drammaticamente possibile”. Il punto è “che queste tragedie non arrivano mai “all’improvviso”: i segni ci sono quasi sempre, ma vanno colti, interpretati e segnalati in tempo. Perché il delirio di rovina è come un terremoto interiore, scuote in silenzio e poi devasta tutto”.

Un fatto di sangue che porta con sé domande dolorose: perché un padre, un marito, dovrebbe trasformarsi in carnefice della sua stessa famiglia? E soprattutto, perché il gesto ricorda, per crudeltà e per la dinamica di sopraffazione, episodi che la cronaca italiana non ha mai dimenticato? Tra i tanti, gli esperti di criminologia hanno subito evocato un parallelo con uno dei casi più terribili della storia criminale del nostro Paese: quello del “mostro del Circeo”, Angelo Izzo, protagonista del massacro delle due giovani ragazze Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, nel 1975, e autore, trent’anni dopo, di un ulteriore duplice femminicidio. Le analogie non sono solo suggestioni giornalistiche. Gli inquirenti e gli studiosi di psicologia criminale sottolineano come in entrambi i casi emerga un elemento di dominio assoluto, di annientamento della vittima non solo fisico ma simbolico: nel Circeo, attraverso sevizie e torture protratte per ore; a Paupisi, attraverso l’uso brutale e primordiale di una pietra, oggetto arcaico che diventa arma di morte. Un gesto che non è solo aggressione, ma atto di cancellazione dell’altro. Ocone, come Izzo, appare spinto non soltanto da rabbia o vendetta, ma da un impulso distruttivo cieco, che colpisce nel cuore della relazione affettiva: moglie e figli, le persone più vicine, quelle che in una logica sana avrebbero dovuto costituire rifugio e amore. Invece diventano bersagli di un odio inspiegabile. Gli investigatori parlano di una mente “schiacciata da ossessioni e rabbie irrisolte”, con probabili precedenti conflittuali in famiglia che non erano mai emersi in tutta la loro gravità. Il parallelo con il Circeo, per quanto disturbante, aiuta a capire una dinamica costante nei grandi crimini di sangue: la violenza domestica e sessuale come forma di potere assoluto, che esplode quando l’autore percepisce di perdere controllo. Izzo e i suoi complici agirono con la logica del branco e del possesso. Ocone, da solo, avrebbe riversato sulla moglie e sui figli la stessa logica di “annientamento totale”. Il paese di Paupisi è sotto shock. I vicini raccontano di una famiglia all’apparenza normale, senza segnali evidenti di squilibrio. Ma troppe volte, nei casi di femminicidio e infanticidio, la “normalità” si rivela maschera fragile di drammi interiori mai affrontati. «Lo vedevo spesso con i figli, sembrava tranquillo – racconta un residente – mai avrei immaginato una cosa del genere». Gli inquirenti stanno scavando nella vita dell’uomo per capire se dietro al gesto vi fossero motivazioni concrete – problemi economici, liti coniugali, conflitti familiari – o se si tratti piuttosto di un gesto estremo, frutto di una mente ormai scollata dalla realtà. La fuga disperata verso il Molise, con i figli in auto, lascia pensare a una volontà di “portare con sé” la famiglia, in un delirio di onnipotenza e distruzione. Una dinamica che, ancora una volta, richiama i tratti dei grandi assassini seriali che vedono negli altri il prolungamento di sé stessi. Il collegamento con il caso Circeo, dunque, non è un paragone forzato, ma un campanello d’allarme: significa riconoscere che episodi di violenza familiare non sono mai “solo” tragedie isolate, ma inserite in un contesto culturale e sociale dove il maschilismo, il possesso e la logica patriarcale possono trasformarsi in strumenti di morte.Le reazioni istituzionali sono state immediate. Il sindaco di Paupisi ha parlato di “giornata nera per il paese, che piange una madre, un figlio e attende speranza per una figlia”. Associazioni contro la violenza di genere hanno ribadito che «non si tratta di raptus, ma di femminicidio, l’ennesimo, radicato in una cultura malata che vede la donna come proprietà».Intanto la magistratura ha aperto un fascicolo per omicidio aggravato e tentato omicidio, mentre si lavora anche su ipotesi di premeditazione. L’uomo è rinchiuso in carcere a disposizione degli inquirenti, ma la sua figura già diventa oggetto di dibattito mediatico e criminologico: Salvatore Ocone, il “mostro di Paupisi”, il cui gesto richiama da vicino quello di Angelo Izzo, il “mostro del Circeo”. Due storie diverse, due epoche differenti, ma unite dallo stesso filo nero: l’orrore che nasce dentro le mura di casa, laddove dovrebbe regnare l’amore.

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