Siamo fatti di tutto ciò che abbiamo perduto: la perdita della madre

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Teresa Colaiacovo - Siamo fatti di tutto ciò che abbiamo perduto: la perdita della madre

“…tutto è bene, tutto ciò che è stato e che ho perduto l’ho amato e proprio perché l’ho amato lo porto ancora con anche se non è più con me…” SPINOZA

Alberto (nome di fantasia) ha 47 anni ed inizia un percorso psicologico con me perché (riporto in corsivo le sue parole): “dottoressa a questo mondo non c’è solo l’amore, ma un sacco di problemi…”

Gli chiedo il perché pensa che l’unico problema possa essere l’amore e mi dice: “ma perché colleghi e colleghe non fanno altro che parlare di sentimenti….-“

Lei, invece, di cosa parla? Alberto perentorio e composto mi dice: Beh, io evito di parlare..

Allora, Alberto, quali sono per lei gli altri problemi.

Mi dice: “ma dalla guerra, al clima per esempio… poi io ho un problema nello gestire la malattia di mia mamma… ma forse lei è troppo giovane per capire cosa significa malattia…”

Sorrido, gli dico: “perché pensa che solo le persone adulte possano capire il concetto di malattia?”

Mi dice: “beh, mi faccia degli esempi in cui lei ha affrontato questo dolore…”

Mi sento incalzata e so che Alberto ha bisogno di vagliare se sono in grado ad accompagnarlo in questo viaggio, mi sta mettendo alla prova.

Sento di assecondarlo, gli parlo della mia esperienza nelle cure palliative[1], sottolineando che si può sempre aiutare qualcuno fino alla fine, nonostante il nostro dolore.

Lui mi dice che la mamma ha una malattia degenerativa e che sa che tra pochi mesi li abbandonerà e poi mi dice che la sorella, la cocca di casa, è troppo debole per far fronte alla malattia materna.

Gli chiedo dei suoi rapporti con la famiglia, compresa la sorella e mi dice: “io sono stato adulto fin da bambino e mi sono preso le mie responsabilità, tanto che oggi ho raggiunto traguardi personali impegnativi, i miei genitori mi hanno stimato, ma hanno sempre protetto e accudito maggiormente mia sorella, per lei si preoccupano ancora oggi che è fintamente adulta…”

L’adulto che siamo oggi è in qualche modo il bambino che siamo stati, dico questa frase a voce alta, chiedendo ad Alberto cosa ne pensa.

Lui mi dice: “certo ovvio, io sono stato sempre introverso, così come lo sono oggi, tanto c’era mia sorella ad essere spavalda e catalizzava tutto intorno a sé… ma non voglio lamentarmi di lei… alla fine ho avuto ottimi genitori…”

Gli dico: “Allora Alberto di cosa si vuole lamentare?”

Mi dice: “mia mamma morirà e sarà un brutto colpo, capisce?”

Annuisco e gli chiedo, secondo lui, cosa cambierà nella sua vita sia da un punto di vista pratico che emotivo…

Lui mi dice: “cazzo, è mia mamma, credo cambierà tutto e mio padre rimarrà da solo..”

Mi rendo conto che Alberto in qualche modo vuole mettermi alla prova, vuole che io accolga la sua rabbia per ciò che accadrà…

Gli chiedo cosa pensa della frase: “siamo fatti di tutto ciò che abbiamo perduto..”

Mi risponde che boh, non lo sa… e mi dice di spiegarmi meglio…

Gli dico che nell’ottica psicoanalitica ogni lutto rimane incompiuto. La morte di una persona importante lascia tracce indelebili, impossibili da cancellare, in questo senso la nostra vita è fatta di innumerevoli morti.

Entrare in rapporto con i nostri morti può partire da due stati d’animo diversi, ma complementari: rimpianto e gratitudine.

Se rimaniamo nel rimpianto il tempo si blocca e il nostro sguardo rimane rivolto verso il passato, si resta in condizione melanconica in cui il lutto si cristallizza.. un po’ come se l’assenza diventasse una forma patologica della presenza.. c’è poi anche una reazione maniacale, in cui si tende a sostituire l’oggetto perduto con altro.[2]

“…Vede, Alberto, poi io personalmente penso che ci sia un modo di reagire più saggio che è un percorso, in questo caso, il lavoro sul lutto diventa un viaggio quando l’oggetto perduto viene riconosciuto in tutto il suo valore, si assume come dato di fatto la constatazione che non è più con noi…”

Alberto mi dice: “e quindi che devo fare?”

Gli rispondo: un po’ come il cammino che Zarathustra di Nietzsche compie nella notte portandosi con sé il cadavere dell’acrobata morto sulle spalle..non si sa quanto questo percorso possa durare, ma si arriva al punto in cui si lascia andare, come Zarathustra, il cadavere consapevole che è dentro di noi.**[3]**

Alberto mi guarda, non mi sembra convinto.. gli dico che nel caso volesse proseguire il rapporto con me sarebbe opportuno:

  •  lavorare sulle emozioni che tiene per se stesso, che magari potrebbe scrivere delle lettere alla mamma, a prescindere se poi deciderà di donargliele, per conoscere i suoi sentimenti..
  • Raccontarmi del rapporto, anche degli aspetti conflittuali, che lo legano alla figura materna
  • Indagare il rapporto con la sorella e come lui ha vissuto le sensazioni che lo facevano sentire considerato meno dai genitori
  • Valutare se queste ferite del passato influiscono sul suo nucleo di introversione oggi
  • Indagare se ha sensazioni di rabbia repressa e trovare un modo funzionale per farla emergere..

Alberto non è del tutto convinto e non so se tornerà, penso che in maniera inconscia forse Alberto vuole che qualcuno sperimenti l’abbandono, un po’ come lui lo sta sperimentando da tempo..

Prima che mi saluti gli do  un pensiero preso da un libro: “ la luce delle stelle morte è quello strano fenomeno astrofisico per il quale la luce delle stelle che ammiriamo nei nostri cieli proviene da corpi celesti morti milioni di anni fa. La luce dei nostri innumerevoli morti a volte appare nel cielo della nostra vita oppure è qualcosa che portiamo con noi come un talismano..è una luce che ci illumina che rischiara il nostro cammino e ci spinge a trasformare il dolore in un ringraziamento perché è li…”**[4]**

Alberto mi saluta dicendomi: “Intanto a presto..”


[1] https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/c/cure-palliative

[2] Freud aveva una concezione idealista del lutto, riteneva esistesse un lutto compiuto. Che dopo il dolore della perdita, lo strazio della memoria, il peso dell’assenza di chi non è più con noi, la sofferenza e il suo tempo necessario, la vita riprendesse grazie ad una sorta di oblio.secondo Freud la libido che prima era rivolta verso l’oggetto amato e perduto, ritorna finalmente presso l’Io.

[3] NIETZSCHE F., Così parlò Zarathustra

[4] RECALCATI M., La luce delle stelle morte

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