Perché non piaccio? I 10 modi per imparare a piacersi

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Teresa Colaiacovo - Perché non piaccio? I 10 modi per imparare a piacersi

Non preoccuparti se gli altri non ti apprezzano.

Preoccupati se tu non apprezzi te stesso.

Confucio

Adriana ha 38 anni, single, con un lavoro in banca e buone prospettive di carriera.

Inizia un percorso con me perché dice: “ non piaccio mai a nessun uomo, mi frequentano per un po’ e poi mi lasciano o scompaio… nonostante io mi mostri sempre al meglio”

Adriana fin da bambina ha fatto tutto al meglio per conquistare l’amore dei genitori in quanto troppo impegnati con il fratello.

Ha cercato di accontentarli in tutto, dalla scelta universitaria, al lavoro e nonostante tutto mi dice commossa: “ il migliore è sempre lui, lui è sposato con 3 figli; i miei dicono che rimarrò sola a vita ed encomiamo persino mia cognata…”

Chiedo ad Adriana quanto lei si piace e mi dice: “ poco perché non so se sono io o il personaggio dei miei genitori… insomma ciò che hanno creato…e poi non accetto tante parti del mio corpo, mia mamma dice che ho la pancetta, il naso importante..insomma mi fa capire che non so di nulla… mio padre in tutto ciò ride.. Credo che mai riuscirò a conquistare un uomo perché forse hanno ragione loro..” (leggi l’articolo https://www.teresacolaiacovo.com/come-conquistare-un-uomo-esistono-delle-regole.html )

L’IMMAGINE CORPOREA è “l’immagine che abbiamo nella nostra mente di forma, dimensione, taglia del corpo e i sentimenti provati rispetto a queste caratteristiche e alle singole parti del corpo” (Schilder). Da questa definizione possiamo caratterizzare l’immagine del nostro corpo come il risultato di diverse componenti: affettiva, comportamentale, percettiva e cognitiva. E’ infatti l’insieme di sentimenti, attenzione alla propria alimentazione e attività fisica, percezione delle proprie forme corporee, pensieri su come ci sentiamo, a caratterizzare il nostro modo di vederci e di conseguenza, a strutturare i vissuti legati alla percezione di sé: MI PIACCIO, NON MI PIACCIO.

A questa prima descrizione base legata prevalentemente alla percezione della nostra fisicità, proviamo ad aggiungere una lettura più ampia sull’immagine di sé, che tiene insieme anche la complessità dei nostri bisogni.

Una difficoltà legata all’immagine di sé è infatti la comprensione di cosa si desidera veramente, che può comportare una distorsione tra ciò che si vorrebbe essere e ciò che si è realmente. E’ molto complesso dare nome ai nostri DESIDERI e spesso, di fronte a disagi nell’area dell’immagine corporea, il volere qualcosa è scollegato da ciò che si è: esiste una voglia impulsiva (che crea la distorsione nella percezione di sé) e una volontà (che avvicina a ciò che siamo o potremmo essere).

Per comprendere meglio questa differenza, è utile partire dal concetto junghiano di Persona: l’aspetto sociale con cui ci rapportiamo alla realtà e al mondo sociale.

La Persona può essere vista come la maschera che si indossa nelle diverse interazioni sociali e nei ruoli che ricopriamo (genitore, figlio, amico, lavoratore, amante, ecc.) che si mettono in scena nella vita. Se ci si identifica con una di queste maschere che si indossano, la Persona diventa l’individuo.

E’ importante per l’uomo avere la capacità di interpretare un ruolo; è infatti una funzione adattiva che ci permette di modulare i comportamenti anche in risposta alle richieste della società in cui viviamo. Ci troviamo però di fronte ad un rischio quando crediamo e siamo convinti di essere il ruolo che stiamo interpretando: quando l’Io si identifica con la Persona.

Si perseguono così gli obiettivi imposti dal bisogno di accettazione sociale, perdendo però di vista l’espressione del nostro essere autentico. Ciò può comportare vissuti molto conflittuali: si rinuncia alla realizzazione di sé per guadagnarsi una maschera sociale.

E’ quindi molto importante riuscire a differenziare una voglia impulsiva, dettata spesso da una cieca adesione alla maschera indossata, un Io Voglio, da un bisogno reale, corrispondente ad una NECESSITA’ autentica, un Voglio come desiderio profondo.

La convinzione di interpretare il ruolo dettato dalla maschera può anche portare ad un vissuto che si caratterizza come una “frustrazione di nullità” (Carotenuto): non ci si accontenta mai di ciò che si raggiunge, i possibili traguardi sembrano non essere mai abbastanza, c’è una rincorsa ad una perfezione che non esiste, a dei modelli che non possono veramente realizzarsi concretamente. Tutto ciò con il risultato di non sentirsi mai abbastanza bravi, belli, forti, competenti.. di NON PIACERSI MAI PER CIO’ CHE SI E’

Come faccio a piacermi?

Molte persone non sono solamente critiche nei loro confronti, ma arrivano a torturarsi per ogni piccolo sbaglio commesso e a riprendersi aspramente per tutto ciò che di loro stessi non riescono ad accettare.

Eppure, alla base di una buona autostima c’è proprio un vissuto di accettazione nei confronti di sé stessi, per come si è e non per come si vorrebbe essere. Questo non significa che frasi come “sono fatto così” siano permesse. La possibilità di auto criticarsi è fondamentale per fare dei cambiamenti e, quindi, per poter continuare a crescere.

Però, quando i nostri difetti e limiti ci portano un senso di vergogna e colpa e non facciamo altro che sottoporci al plotone d’esecuzione ogni volta che ci rivolgiamo a noi stessi, ci impediamo in realtà di crescere, proprio perché,limitandoci a giudicare non ci mettiamo in condizione di capire e quindi di trovare una certa intesa con la nostra persona.

Quella con noi stessi è la relazione più importante della nostra vita; se non funziona questa, non ne funzioneranno altre. Se non siamo noi i primi a piacerci, amarci, stimarci, chi altro dovrebbe farlo?

Lo psicologo Carl Rogers negli anni ’50 che la considerazione positiva è importante per lo sviluppo della personalità. Secondo Rogers, quando i genitori mettono sui figli delle “condizioni di valore”, essi cresceranno incerti e critici. Ad esempio, quando il bambino sente di poter ricevere amore e riconoscimento solo quando non delude le aspettative dei genitori, rischia di sviluppare un dialogo interno squalificante, sempre pronto a confrontare sé stesso con ciò che pensa di dover essere per poter ricevere amore.

Se anche voi non fate che infierire su voi stessi quando siete già a terra, sappiate che vi state facendo un grande danno.

Imparare ad accettarsi è un lungo processo liberatorio che, in conclusione, ci porta a smettere di essere il nostro peggior nemico -un nemico che giudica, ostacola, compete, accusa, sabota e odia- a diventare il nostro miglior alleato–un alleato che ascolta, accoglie, collabora, sostiene e ama-.

Allora, da dove iniziare per migliorare la relazione con noi stessi?

Parlate bene a voi stessi di voi stessi. Imparate a riconoscere e a mettere da parte i vostri pensieri negativi e un dialogo interno squalificante. Restate aperti al positivo e a quello che ha da offrirvi. Che cosa vi piace di voi?

Non abbiate paura di confrontarvi con i vostri limiti. La possibilità di pensare alle proprie “debolezze” è ciò che ci permette di smussarci in alcuni punti, cambiarci in altri e trovare la risorsa dove prima era evidente il solo difetto.

Perseverate in quello che desiderate. Non permettete che gli imprevisti della vita vi portino fuori strada, ma ricordatevi che anche le circostanze peggiori sono temporanee.

Fidatevi di voi stessi. Bisogna credere nelle nostre capacità a qualsiasi costo, mettendole a frutto e facendone esperienza. Avrete sempre le risposte dentro di voi, anche se a volte non vi sembra per nulla. Imparate a dirvi “in qualche modo, me la caverò”.

Passate del tempo di qualità da soli, coccolatevi, fatevi piccoli doni. Organizzate una bella uscita solo per voi, per fare qualcosa che vi piace e che vi rilassi. Portatevi fuori e passate qualche ora piacevole in compagnia di voi stessi.

Siate amici della vita. Le cose negative che vi accadono non sono un modo di punirvi e non accadono solo a voi. La punizione c’è, ma arriva dopo e siete proprio voi a infliggervela attraverso un dialogo interno squalificante. Prima, ascoltate ciò che provate, poi cercate di focalizzarvi sulle opportunità nascoste nell’insidia.

Siate pazienti. Quando s’inizia un lavoro su sé stessi si vorrebbero vedere subito dei progressi. Purtroppo l’attenzione va a quei passi avanti davvero grandi, che sarà più probabile che giungeranno per ultimi. Dovete mettervi in testa che non c’è una scorciatoia per arrivare in cima, non si può fare altro che iniziare e tifare per sé stessi ad ogni piccolo passo.

Lasciate andare il passato.Rimproverarsi in ogni occasione per errori passati non farà altro che appesantire il vostro presente e deteriorare la relazione con voi stessi. Se ci fosse una persona che tutto il giorno sussurrasse nel vostro orecchio quello che potevate fare meglio, che cosa fareste? Avreste ancora voglia di frequentarla?

Il confronto con gli altri vi deve servire come spunto e non come motivo di resa. Tutti questi sentimenti negativi che provate verso voi stessi arrivano anche dall’idea di non essere come gli altri, di essere in qualche modo sbagliati e indegni. Ci saranno sempre delle persone più brave di voi in qualcosa o che possiedono quella caratteristica che non avete. Ma sono queste le occasioni per osservare, riflettere e imparare e non per buttarvi giù.

Riconoscete di essere unici. Ognuno di noi è un pezzo unico che passa la sua vita a darsi una forma, per scoprire quale sia il suo posto nel mondo. Guardatevi per quello che siete, creature meravigliose e affascinanti con il dono/maledizione di dover scoprire e costruire sé stessi.

Ciò che possiamo o non possiamo fare, ciò che consideriamo possibile o impossibile, raramente è una funzione delle nostre reali capacità. È più probabile che sia una funzione delle nostre convinzioni su chi siamo.
(Anthony Robbins)

 

 

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