Giovanni e la dipendenza: la droga mentre la consumi lei ti consuma

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Teresa Colaiacovo - Giovanni e la dipendenza: la droga mentre la consumi  lei ti consuma

“Non è l’eroina o la cocaina a rendere qualcuno un tossicodipendente, ma il bisogno di fuggire da una dura realtà…”[1]

Giovanni (nome di fantasia) si rivolge a me perché (riporto le sue parole in corsivo): “sono in terapia metadonica da 1 anno e sono seguito al Ser.d, ma sento di essere comunque un tossicodipendente perché alla fine o il metadone o l’eroina mi cambia poco…”

Ripercorriamo la storia di Giovanni. Lui è il primo di tre fratelli e dice:” ho sempre dovuto fare il maschio di casa perché mio padre lavora all’estero e mamma è fragile… alla fine sono stato sempre adulto…”

Gli chiedo come lo fa sentire l’essere adulto e cosa fa da adulto.

Mi dice: “beh è bello perché devo risolvere i problemi, ma triste perché deludo sempre le aspettative di qualcuno e da quando hanno scoperto la mia dipendenza, beh mi sento inutile.”

Come nascono le addiction? Il messaggio corretto è che non esiste un problema principale,  che sia l’individuo, la società oppure la sostanza,  ma l’interazione di tutte e tre le componenti. Il cosiddetto triangolo. È l’assunto poi su cui si basa la neurobiologia della tossicodipendenza stessa.

Guardando al modello biopsicosociale, si può dire che le cause dell’insorgenza di una dipendenza patologica siano frutto di un insieme di fattori di natura biologica: Quindi neurofisiologiche (genetica, psicologica) , psicologica (costituzionale e relazionale) e sociale  (contestuale e reattiva). Questo modello sviluppato da Engel alla fine degli anni 80. Pone La persona. Al centro di un ampio sistema influenzato da molteplici variabili. come la la cognizione l’emozioni le motivazioni del soggetto stesso. La famiglia, la Comunità e la società.[2]

Ho chiesto a Giovanni com’è iniziato il suo percorso di cura e mi ha detto: “beh sono tossicodipendente da 11 anni e quando l’hanno scoperto i miei genitori avevo paura, ma sono stato costretto..”

Ci addentriamo sul discorso della paura e sul significato per Giovanni che mi dice: “avevo il terrore che tutti sapessero e che la mia famiglia venisse vista come poco di buono…”

Emerge cosi un altro nucleo importante delle dipendenze da sostanze illegali:

L’ Etichettamento sociale come sostiene la teoria  Becker e sicuramente Edwin Lemert palesa la paura della stigmatizzazione soprattutto in soggetti più svantaggiati, econimicamente e socialmente e che si percepiscono come tali, soggetti che sentono di avere un basso senso autoefficacia.[3]

Dico a Giovanni: “ha avuto un bel coraggio ad essersi messo in discussione…”

Importante è tener conto dello stadio in cui il soggetto si trova, stadio che sente di provare circa la sua disponibilità al cambiamento.

Nel 1977 gli psicologi James Prochaska e Carlo DiClemente svilupparono il Modello TransTeoretico, basandosi sull’analisi di differenti teorie psicoterapiche volte ad aiutare i pazienti intenzionati ad intraprendere comportamenti più positivi.[4]

Con Giovanni abbiamo Approfondito  il concetto di frattura interiore e far sì che questa, all’interno proprio dei colloqui, diventi più che una resistenza, un fattore importante verso il cambiamento, Essa corrisponde al disagio per lo stato attuale., esprime l’importanza che la persona attribuisce al cambiamento., il valore personale e le aspettative. Ma anche le preoccupazioni, le insoddisfazioni e le paure. Quindi la frattura interiore si può sintetizzare come una sorta di dissonanza cognitiva. Delle contraddizioni che sono esistenti nella persona. Tra l’io reale e l’io ideale.

Per attivare il processo di cambiamento è importante proprio che l’operatore lavori insieme all’individuo con lo scopo di ampliare la fattura interiore tra la condizione attuale e le mete desiderabili.

Chiedo a Giovanni cosa direbbe oggi il ragazzo di 13 anni che ha iniziato ad usare droghe al lui di 25.

Giovanni, commosso, mi dice: “ che non avevo capito niente e che dovevo fare cose intelligenti, anziché rifugiarmi nella droga..”

Gli dico:” la droga quindi per lei era un rifugio, vuole descrivermi questo rifugio con un’immagine..”

Giovanni mi dice: “ha presente i bunker dove sai che nessuno può farti male o entrare…ecco quello, io con la droga mi sentivo intoccabile…”

Parliamo del senso di vulnerabilità e del bisogno di sentirsi intoccabile e poi mi dice: sa che la domanda di prima mi ha colpito… cioè l ragazzo che ero sarebbe arrabbiato, ma pure soddisfatto perché come ha detto lei, ho avuto coraggio..

Io gli chiedo se questo coraggio oggi gli permette di sognare qualcosa..

Mi dice: “e se poi i sogni non si avverano?”

Io gli dico: “sognare è gratis, perciò se vuole possiamo provare a farlo insieme… e poi magari piano piano proviamo a vedere se questi sogni davvero li può portare nella realtà..”

Giovanni mi dice: “sogno di avere una fidanzata che mi conosca, sogno di avere amici e non starmene da solo sempre perché ho paura di deluderli e poi voglio un lavoro che mi faccia sentire uomo..”

Sorrido e gli dico: “ma lei è un giovane uomo, quindi mi sembra più che lecito che voglia lavorare e ricostruirsi…”

Giovanni sorride… e io non posso farne a meno di lasciargli un bigliettino con una frase: Si potrebbe fissare un prezzo per i pensieri. Alcuni costano molto altri meno. E con che cosa si pagano i pensieri? Credo con il coraggio.**[5]**


[1] Shirley Chisholm

[2] ENGEL GEORGE L, The need for a new medical model: A challenge for biomedicine, in Science, vol. 196, 1977, pp. 129–136.

[3] LEMERT, 1981

[4] Questo modello non segue il modello causale, non indaga il perché si debba cambiare, ma propone il come, permettendo di sviluppare strategie di cambiamento relativamente semplici rispetto al problema da affrontare. Per la sua capacità di sintetizzare e di rendere fruibile il complesso costrutto di cambiamento a coach e professionisti del campo medico, questo modello si è diffuso rapidamente.Alla base del cambiamento, secondo gli autori, ci sarebbe la motivazione del soggetto. In quest’approccio essa non è concepita come un fattore presente o assente, ma come un continuum che progressivamente cresce o diminuisce. Un altro aspetto rilevante è l’autoefficacia percepita (self-efficacy), la percezione che il soggetto ha di riuscire nel compito che ha in mente di portare a termine (in questo caso, cambiare). È importante tenere in considerazione questo secondo fattore soprattutto nei casi in cui il soggetto non riesce nel tentativo di cambiare: i fallimenti possono minare al senso di autoefficacia ostacolando il cambiamento. Gli stadi si riferiscono alla dimensione temporale del cambiamento. Gli autori sostengono che il processo di cambiamento si articoli in 5 fasi e che per ognuna di esse vi sia una strategia da suggerire al soggetto per poter passare alla fase successiva.

1) Fase di pre-contemplazione. Il soggetto non vuole cambiare. Corrisponde alla fase in cui la persona non è pronta (“not-ready”) ad intraprendere un cambiamento nel futuro prossimo (entro i 6 mesi). Spesso in questa fase il soggetto non è consapevole del bisogno di cambiare.StrategiaLa bilancia decisionale (Pros VS Cons). Invitare il soggetto a riflettere su un comportamento alternativo più positivo, incoraggiandolo a pensare ai pro e i contro dell’intraprendere il cambiamento verso tale comportamento. La strategia risulta più efficace se si chiede al soggetto di immaginare quali sarebbero gli effetti negativi del suo comportamento dannoso sugli altri, quindi di elaborare le sue emozioni suscitate da questo pensiero. Chi si trova in fase di precontemplazione spesso sottovaluta i vantaggi del cambiamento e sopravvaluta gli svantaggi e non è consapevole di compiere questo errore cognitivo. Svelare al soggetto i benefici del comportamento alternativo risulta efficace per poter passare allo stadio successivo.

2) Fase di contemplazione. Il soggetto ha intenzione di cambiare entro 6 mesi, optando per il comportamento alternativo. In questa fase i contemplatori risultano più consapevoli dei “pro” del comportamento più positivo, tuttavia i “contro” continuano ad essere pari ai pro. Questa ambivalenza può portare ad un arresto nell’azione di cambiamento.Strategia: In questa fase si deve incoraggiare il soggetto a ridurre gli svantaggi del cambiamento: questo porterà benefici a livello dell’autoefficacia ed autostima.

3) Fase di determinazione (o di preparazione). Il soggetto sta programmando di cambiare nell’immediato futuro (entro 30 giorni).StrategiaLa scala a pioli. Aiutare il soggetto a porsi obiettivi raggiungibili, definire insieme a lui piccoli step che possano portare ad un cambiamento duraturo. E’ importante far capire al soggetto di non essere da solo e di suggerirgli di parlare con familiari e amici delle proprie difficoltà.

4) Fase di azione. È il momento del cambiamento. Il soggetto ha cambiato il proprio comportamento dannoso (<6 mesi) e ha bisogno di lavorare sodo per continuare così.Strategia: fornire al soggetto soluzioni pratiche per affrontare eventuali situazioni impreviste legate al comportamento dannoso messo da parte. Si può suggerire di evitare situazioni o persone in grado di far riemergere il vecchio comportamento, magari sostituendole con attività che sostengano il nuovo.

5) Fase di mantenimento. Chi si trova a questo punto ha cambiato il proprio comportamento da più di 6 mesi.Strategia: per evitare ricadute è importante far riflettere il soggetto su eventuali situazioni che possano portarlo a tornare al vecchio comportamento, in particolare mettendolo in guardia da situazioni potenzialmente molto stressanti. L’operatore deve suggerire strategie per evitare la ricaduta a fasi precedenti.

6*Fase di ricaduta. Considerata da alcuni come il 6° step del modello transteorico, essa implica la ripresa del comportamento dannoso. Poiché secondo alcuni è possibile che la ricaduta si verifichi anche durante fasi intermedie del processo (ad esempio una regressione dalla fase di determinazione a quella di contemplazione), non si è concordi a ritenerla come un vero e proprio stadio.

 

 

 

 

[5] Ludwig Wittgenstein

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