Figlicidio di Muggia: quali sono le motivazioni psichiatriche?

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Teresa Colaiacovo - Figlicidio di Muggia: quali sono le motivazioni psichiatriche?

Una donna ha ucciso il figlio, di nove anni, tagliandogli la gola. È accaduto ieri sera nella loro abitazione, nel centro di Muggia (Trieste). La donna, di nazionalità ucraina, è separata dal padre. A dare l’allarme è stato proprio l’uomo perché non riusciva a contattare la donna. Quando sono arrivati gli agenti della Squadra mobile il piccolo era già morto.

Secondo quanto si apprende, la donna, di 55 anni, era seguita dal Centro di salute mentale e la situazione in generale della famiglia dai servizi sociali. Una situazione difficile ma “non drammatica”, come ha precisato il sindaco di Muggia, Paolo Polidori. Difficile sembra fosse anche la situazione tra la donna e il marito, un cittadino italiano, tanto che la coppia aveva deciso di separarsi.

La donna avrebbe utilizzato un coltello da cucina per compiere l’omicidio e poi avrebbe anche tentato un gesto autolesionista. Il piccolo frequentava il quarto anno della scuola elementare slovena di Muggia.

Il piccolo era stato affidato al padre dopo che la coppia si era separata. Una vicenda difficile, come è stato testimoniato da più persone. Come da indicazioni del tribunale, però, il bambino poteva incontrare la madre, che abita in via Marconi, nel centro di Muggia. Secondo quanto si è appreso, quando nell’ abitazione sono giunti i Vigili del fuoco con le forze dell’ordine, il piccolo era morto da ore e il suo corpo era in bagno.

La polizia ha reso noto di aver eseguito questa mattina il fermo disposto dall’autorità giudiziaria a carico della donna per l’omicidio del figlio di 9 anni.
Il padre del bambino è un uomo di Trieste, di 58 anni, che vive a Muggia. Quando vigili del fuoco e polizia sono entrati in casa, la madre aveva alcuni tagli sulle braccia ed è stata per questo presa in cura dai sanitari e portata all’ospedale triestino di Cattinara. La donna sarà condotta nella Casa Circondariale di Trieste.

Il sindaco di Muggia: ‘Seguiti da quando era nato il bambino’

“La situazione era seguita da quando è nato il bambino, era una situazione difficile ma non un dramma”, nel senso che nulla faceva presagire che potesse sfociare in una tragedia. A parlare è il sindaco di Muggia, Paolo Polidori, il quale ha già annunciato che sarà proclamato il lutto cittadino. Il piccolo era nato a Muggia ed era conosciuto dalla comunità, ha detto Polidori: “La comunità è devastata. Ho già avuto una riunione con i servizi sociali: cerchiamo di stare il più vicino possibile. La famiglia fa parte della comunità, anche il parroco la conosce”.
Il Comune sta attivando un servizio di assistenza alla scuola che frequentava il bambino, di supporto ai compagni di classe.

Il parroco: la parola della vicenda è fragilità, il piccolo si preparava alla Prima comunione

“Conosco la famiglia, molto complicata, i genitori sono separati da anni; vedevo il piccolo sempre con il papà più che con la mamma. C’è una parola che caratterizza questa situazione, ed è fragilità; una fragilità che forse sfuggiva alle capacità della nostra comunità. Registro sempre anche pudore a mettere in mostra la propria fragilità”. Lo ha detto il parroco di Muggia, don Andrea Destradi, commentando la tragedia di ieri sera.
Don Andrea ha visto “il bambino con il papà sabato sera a messa, frequentava il catechismo nella scuola slovena dove era iscritto e si preparava per la Prima comunione che purtroppo non farà mai. Però ora vede il volto del Signore, faccia a faccia, perché i bambini questo vivono”. Per il parroco “ora c’è una comunità che deve farsi carico di questa immane sofferenza che l’ha colpita nel cuore, c’è un papa da aiutare, da abbracciare e sostenere e una mamma che nel suo disagio ha compiuto questo gesto e che andrà comunque aiutata. Siamo una comunità e una comunità deve stringersi sempre in queste situazioni”. “Non significa minimizzare - ha aggiunto don Andrea - ma sono vite e ogni vita va accompagnata a viversi”. “Sconvolto”, il parroco ha annunciato che “come comunità cristiana risponderemo con la fede, con una veglia che organizzeremo per domani o sabato, con la carità e la vicinanza, soprattutto al papà in questo momento”, ha concluso.

CAUSE DEL FIGLICIDIO

Una interessante classificazione del figlicidio fu già proposta da Resnick nel ’69 (5) e strutturata sulla scorta delle motivazioni e nelle cause a monte dell’impulso di uccidere. La ricerca fu effettuata dal 1951 al 1967, evidenziando 5 categorie e sottolineando che il periodo più a rischio per il minore è quello fino a sei mesi di vita. Le categorie individuate dall’autore sono:

1. Figlicidio altruistico, in cui molto spesso la madre si suicida dopo aver ucciso il figlio (suicidio allargato) con l’intenzione di salvare il figlio dalle sofferenze che avrebbe se invece continuasse a vivere poiché malato (omicidio pietatis causa, detto anche omicidio compassionevole), molto spesso caratterizzato dalla sindrome di Beck: visione pessimistica di sé, del mondo, del futuro proprio e del figliolo.

2. Figlicidio a elevata componente psicotica, allorquando un genitore uccide in preda ad allucinazioni imperative in forma di comando.

3. Figlicidio di bambino indesiderato, perché frutto di una relazione extraconiugale o perché trattasi di madre immatura in piena fase adolescenziale, sia pure protratta negli anni. Sono poco frequenti in questo caso tentativi di suicidio.

4. Figlicidio accidentale, vedi la sindrome del bambino maltrattato (Battered Child Syndrome) già esaminata, in cui la madre è comunque abitualmente avversa alle violenze sul figlio, causandone la morte in occasione di un gesto impulsivo conseguente ai soliti pianti o alle urla del piccolo. Spesso queste madri sono affette da disturbi di personalità, irritabilità, comportamento impulsivo. Non di rado hanno subito violenza da piccole, spesso il marito è disinteressato ai problemi della moglie.

5. Figlicidio per vendetta sul coniuge.

 

A ogni modo, il numero estremamente variabile di casi rende impossibile presentare generalizzazioni, avanzandosi nella descrizione di una sola categoria-tipo di madri figlicide.

Presenteremo dunque le ipotesi avanzate dai diversi autori, in modo da delineare quelle che sembrano essere le tipologie principali riconosciute.

La letteratura sulle tipologie di madri omicide è veramente molto ampia; quindi, piuttosto che elencare i numerosi autori, fermo restando che le categorie proposte sono sostanzialmente quelle presentate fin qui, appare opportuno riferire del contributo di Nivoli (6), che presenta categorie finora non sufficientemente esaminate. Le principali sono:

– il figlicidio causato da un agire omissivo di madri passive e negligenti: si verifica quando la madre, soprattutto se in giovane età, non accudisce in modo adeguato alle necessità del figlio (nutrimento, vestiario adeguato alla temperatura, protezione e cure mediche). Il suo comportamento negligente e omissivo può derivare da un’incapacità di affrontare adeguatamente la funzione materna (maternal coping), in base a ignoranza, incapacità personale, insicurezza, ma anche scelta deliberata. Esse vedono il proprio figlio come una minaccia o una rovina per la propria vita, oppure lo vivono come qualcosa di invadente, chiaramente in preda a scompensi psicotici che producono paure di fusione. La morte del bambino, in relazione a quanto detto, non è infatti determinata da gesti concreti, è semmai causata da comportamenti passivi e omissivi: alimentazione insufficiente, mancato ricorso a cure mediche in seguito a una malattia, accudimento superficiale e sbadato che mette in pericolo il piccolo.

– Madri che uccidono i figli trasformati in capri espiatori di tutte le loro frustrazioni: sono madri che ritengono, talora in modo delirante, che il bambino sia la causa di una rovinosa esistenza. Esse manifestano la percezione che il bambino abbia “sformato” attraverso la gravidanza il loro corpo, le abbia condizionate a vivere in un ambiente a loro non gradito, le obblighi ad accettare un compagno che non amano oppure a non vivere felici col compagno che amano, le costringa a dover trascorrere tutta la giornata per badare alle malattie reali o presunte, alle necessità fisiologiche e ai loro capricci (6). In casi di questo tipo, è abbastanza comune la presenza di malattie mentali con elementi persecutori, deliranti e paranoidei.

– Madri che negano la gravidanza e fecalizzano il neonato: sono madri che negano, in maniera prettamente isterica, la loro gravidanza, vestendosi in modo da dissimulare, agli occhi di tutti, di essere incinte, non richiedendo cure mediche durante la gestazione né in concomitanza del parto, che viene quindi eseguito in solitudine. Si tratta generalmente di giovani donne sole, che nell’immediatezza del parto uccidono o abbandonano (nelle discariche, nei bagni pubblici) il figlio, considerato un “prodotto fecale”, cioè un oggetto addirittura privo di umanità.

– Madri che spostano sul figlio il desiderio di uccidere la propria madre: il figlicidio è in questo caso legato a un grave conflitto con la propria “madre cattiva”, verso la quale sono in realtà riferiti i sentimenti di odio e rabbia, e i desideri di annientamento. Vi è quindi prima un’introiezione del desiderio di uccidere la propria madre cattiva, e solo secondariamente lo spostamento di questa aggressività nei confronti del figlio, che chiaramente non è vissuto per come è in realtà, ma alla luce del proprio passato.

 

In definitiva, il figlicidio può avvenire in relazione a processi emotivi e di pensiero che non sono influenzati obbligatoriamente dalla presenza di patologie o alterazioni mentali tali da determinare una compromissione evidente della capacità di intendere e di volere. È importante specificare questo, poiché in questi casi di madri assassine, la legge prevede una privazione della libertà attraverso l’attribuzione di una pena da scontare in carcere.

Nei casi in cui, invece, il gesto sia compiuto in preda a infermità mentale, con compromissione (grandemente scemata) o totale abolizione della capacità di giudizio (intenzione e volontà), è giuridicamente previsto che la pena venga scontata in regime di detenzione parzialmente o totalmente in OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario), dove tali madri sono sottoposte a un trattamento psicoterapeutico personalizzato.

In realtà, tutte le classificazioni fornite attraverso i decenni si ripetono, pur migliorandosi nelle peculiarità delle osservazioni diagnostiche.

È proprio grazie all’osservazione di oltre 530 psicobiografie in nostro possesso, effettuate presso il Master Internazionale in Scienze Criminologico-forensi della Sapienza Università di Roma (vedi oltre), che possiamo suddividere le madri infanticide sulla scorta del loro movente e/o della loro psicopatologia in 20 categorie (7):

A) in caso di ** ** “follia mostruosa della normalità razionale” capaci di intendere e di volere:

– per life stressor event (eventi di grande perdita affettiva: lutti, abbandoni reali o amplificati, separazione);

– per pietas (omicidio altruistico);

– per immaturità della madre;

– perché il bambino è iperattivo (bambino maltrattato);

– perché figlio della colpa;

– per sindrome di Medea;

– per disturbo (dipendente, narcisistico oppure istrionico) di personalità;

– perché figlio indesiderato;

– per depressione (non maggiore) in soggetto narcisista (c.d. suicidio allargato);

– per disturbi comportamentali dovuti all’assunzione di alcool e droga.


B) Se sussistono cause patologiche con compromissione parziale (grandemente scemata) o totale della capacità di intendere e di volere), vi troviamo:

– psicosi post partum (varianti del disturbo psicotico breve);

– fundus isterico + fattori precipitanti;

– depressione maggiore (quid novi e quid plus);

– schizofrenia (paranoide, disorganizzata, indifferenziata, catatonica, residua);

– stato crepuscolare oniroide;

– disturbo psicotico dovuto a una condizione medica generale (scompenso ormonale gravidico) (manifestazioni catatimiche – monomania impulsiva);

– epilessia;

– oligofrenia;

– sclerosi a placche (>colesterolo);

– personalità multipla (raro).

 

Sempre Resnick (5) descrive i metodi più comunemente utilizzati per causare l’infanticidio, distinguendo in base al sesso del genitore: così, tecniche come lo strangolamento, l’asfissia o l’annegamento sono più tipiche per le madri, mentre invece la morte causata tramite l’uso di armi da taglio o altre tecniche violente che causano il trauma cranico, si riferiscono di più al padre.

LE CAUSE DI MORTE

Dalle ricerche sudamericane condotte miratamente in Brasile, dove il fenomeno si presenta particolarmente degno di attenzione per l’evidenziata, alta incidenza del numero oscuro (8), risulta che: è indispensabile premettere quanto sia evidente che la morte del feto o del neonato possa accadere anche in forma naturale, in relazione a cause di carattere non criminoso, come per esempio: pre-maturità, malattie congenite, emorragia ombelicale. Durante il parto, la morte delittuosa del nascituro è meno frequente, tuttavia possibile nella fase del coronamento encefalico, per contusione cranica o per perforazione delle fontanelle e dopo la fuoriuscita della testa, per ostruzione diretta degli orifizi esterni delle vie respiratorie.

Fra le cause criminali della morte del neonato, Hélio Gomes (9) enuncia quelle più importanti per il medico legale (che si ritiene coincidano con quelle più frequenti):

– frattura delle ossa del cranio: possono essere provocate da colpi o da proiezione della testa contro una parete o il soffitto;

– soffocamento (atto di soffocare e impedire la respirazione): può avvenire otturando la narice e la bocca con mani, guanciali o cuscini, oppure per mezzo dell’“abbraccio mortale”, ossia comprimendo il torace con il peso del proprio corpo; oppure ancora rinchiudendo il neonato in casse o bauli e più raramente interrandolo da vivo);

– strangolamento: può essere attuato per mezzo delle due mani causando anche il soffocamento oppure con un laccio, utilizzando anche il cordone ombelicale del neonato;

– annegamento: avviene quando il neonato è immerso in apparecchi sanitari o qualsiasi altro recipiente che contenga sostanza liquida;

– ferite: causate generalmente da strumenti taglienti che mirano alla mutilazione o a dilaniamenti per facilitare l’occultamento dei resti;

– bruciature: comunemente sono accidentali, tuttavia nell’infanticidio è frequente l’impiego del fuoco per occultare il cadavere, anche se l’utilizzo dell’acido si presenta in grado di neutralizzare un corpo di un adulto;

– avvelenamento: è considerata una modalità abbastanza rara pur sussistendo non di rado la possibilità si somministrazioni di sostanze in bocca attraverso spugne imbevute di veleno;

– incuria e mancanza di attenzioni per mantenerlo in vita: caratterizza la modalità di infanticidio per inazione o omissione, per esempio con la mancanza della legatura del cordone ombelicale, la privazione degli alimenti, così come lasciare le mucosità nella bocca del neonato.

 

In caso di uccisione di più figli in un unico evento i mezzi lesivi utilizzati sono: asfissia per gas, accoltellamento, annegamento, uccisione con armi da fuoco (suicidio allargato).

Indipendentemente da quanto riferito dalla letteratura internazionale, vediamo un caso di bassa soglia di tolleranza allo stress (immaturità: impazienza, sconforto, eventi stressogeni).


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