Profilo psicologico Elia del Grande: dallo sterminio della famiglia alla lettera dopo l’evasione dal carcere

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Teresa Colaiacovo - Profilo psicologico Elia del Grande: dallo sterminio della famiglia alla lettera dopo l’evasione dal carcere

Il 7 gennaio di 27 anni fa uccise nel sonno la madre Alida, il padre Enea e il fratello Enrico: ostacolavano la sua relazione con una ragazza. Dalla condanna all’ergastolo alla semi infermità mentale, la tentata evasione dal carcere nel 2015 e ora la fuga dalla casa-lavoro: il ritratto del killer

Cadrezzate (Varese), 1 novembre 2025 – ** ** La fuga dalla comunità di Castelfranco Emilia di Elia Del Grande,sparito nel nulla dopo aver scavalcato il muro di cinta della casa-lavoro in provincia di Modena dov’era stato ricollocato in quanto ritenuto “socialmente pericoloso”, ha risvegliato nella comunità di Cadrezzate un incubo che era stato, a distanza di quasi 28 anni, rimosso, archiviato e dimenticato. Prima ancora della strage di Erba (2006), prima di quella compiuta da Erika e Omar a Novi Ligure (2001), quel che accadde la notte del 7 gennaio 1998 nella villetta di famiglia provocò un’ondata di choc ed emozione in tutto il Paese. Una famiglia perbene – artigiani figli di quella provincia lombarda operosa dove il lavoro è un’etica di vita – sterminata senza una ragione.

La fuga dalla realtà

Quel che si consuma quella notte, intorno alle tre e mezza, passerà alle cronache come “la strage dei fornai”. L’abitazione di famiglia è infatti anche quella che ospita il forno di famiglia, il panificio (con tre fornerie in totale) che dà da vivere ai genitori e ai due figli. Una famiglia stimata, conosciuta in paese. Elia Del Grande ha però altri progetti di vita. Ha vent’anni all’epoca, e sogna una vita diversa. L’evasione da un’esistenza che già gli appare intrappolata nel tran tran del piccolo paese del Basso Verbano. A fare da miccia è la relazione amorosa che intreccia con una ragazza di Santo Domingo. Il sogno della “grande fuga” ai Caraibi, nella Repubblica Dominicana. La famiglia che però la osteggia. Di quelle nozze non vuol sentire parlare. E diventa così un ostacolo insormontabile. Da eliminare.

Progetto di sterminio

Un progetto di sterminio a cui medita a lungo. “Non accettavano quella ragazza, di cui mi ero innamorato, solo perché era di colore, povera”, cercherà di giustificarsi Elia durante l’interrogatorio davanti ai magistrati. Genitori e fratello devono quindi essere eliminati. La notte del 7 gennaio, assieme a un complice, decide di passare all’azione. Sono le tre della notte quando imbraccia il fucile da caccia e uccide nel sonno il padre Enea, 58 anni, la madre Alida di 53 anni e il fratello 27enne Enrico. Due colpi per ciascuno, sei in totale.

Una precisione matematica che corrisponde a una mente lucida, razionale che, ancora nel corso dell’interrogatorio, Elia dimostra di avere. Quando afferma: “Non si possono ostacolare i sentimenti. Per lei (la ragazza di Santo Domingo di cui si è innamorato ndr) ho lasciato scuola, lavoro, amici e benessere”. Madre, padre e fratello “hanno fatto la fine che si meritavano”. Aggiungendo parole che suonano agghiaccianti: “Di loro non m’importa nulla. Non ho alcun rimorso per averli uccisi”

La rabbia sopita

“A casa, a tavola, erano sempre a sparlare dietro a questa ragazza – aggiunge Elia riferendosi in particolare ai genitori –. La chiamavano “negra”, la dileggiavano perché era povera”. Uno stato di cose che Elia non riesce più a sopportare. E decide di sbarazzarsi di loro. Nel mirino finisce anche il fratello. Sarà proprio quest’ultimo, agonizzante, a riuscire a dare l’allarme e a far accorrere nella villetta carabinieri e ambulanze. Fa appena in tempo, con un filo di voce, a dire cos’è successo ma non a rivelare chi ne sia stato l’autore. Spira poche ore dopo in ospedale. Su Elia si concentrano subito i sospetti degli inquirenti. Quando viene fermato dalla Polizia cantonale svizzera al valico di Ponte Tresa mentre cerca – dopo essersi sbarazzato dei fucili gettati nel lago di Monate – di raggiungere l’aeroporto di Lugano, per salire sul primo volo diretto a Santo Domingo,gli ultimi residui dubbi sulle sue responsabilità si dissipano.

Il processo

La confessione davanti agli inquirenti spiana la strada al processo in Corte d’assise a Varese, che si conclude nel 2001 con la condanna a tre ergastoli. L’anno successivo, davanti alla Corte d’appello di Milano, gli viene tuttavia riconosciuta la semi infermità mentale, e la pena viene riformulata in trent’anni di reclusione. Elia Del Grande viene rinchiuso nel carcere di Pavia. Dove nel 2015 tenta una rocambolesca fuga assieme a un complice albanese. Nelle celle dei due uomini vengono trovati un cellulare a testa e alcuni strumenti (seghetti, ferri, una corda) che sarebbero stati utilizzati per la fuga se il piano fosse andato in porto. Fuori c’è un’auto ad aspettarli. Il progetto d’evasione viene però scoperto e fallisce. Ed Elia Del Grande viene condannato dal tribunale di Pavia a otto mesi dicarcere.

La nuova vita in Sardegna

Nel 2022, dopo aver scontato 23 anni di carcere, gli ultimi dei quali trascorsi nel penitenziario di Cagliari, aveva ottenuto la libertà vigilata. Si era così trasferito a Telti, paesino di duemila abitanti della Gallura, in provincia di Sassari.Un’occupazione da giardiniere, ma il carattere irascibile di sempre. Che, tempo pochi mesi, aveva cominciato a procurargli dei problemi col vicinato. A settembre di quest’anno arriva così la decisione dei giudici del tribunale di sorveglianza di trasferirlo in una struttura protetta in provincia di Modena. Qui avrebbe dovuto trascorrere sei mesi. In attesa di una rivalutazione la prossima primavera. Il primo novembre sera, complice il buio, ha deciso diversamente evadendo.

Scrive una lettera in cui spiega le ragioni

Il disagio che ho visto lì dentro credo di non averlo mai conosciuto”, scrive Del Grande. E racconta: “Gli psicofarmaci vengono dati in dosi massicce a chiunque senza problemi. L’attività lavorativa esistente è identica a quella dei regimi carcerari. Le case di lavoro oggi sono delle carceri effettive in piena regola con sbarre cancelli e polizia penitenziaria, orari cadenzati, regole e doveri”, racconta Del Grande. “Con la piccola differenza che chi è sottoposto alla casa di lavoro non è un detenuto, bensì un internato, ovvero né detenuto né libero, nessuna liberazione anticipata, nessun rapporto disciplinare, ma solo proroghe da sei mesi in su che servirebbero, in teoria e non in pratica, a riabituare il sottoposto a misura di sicurezza al tessuto sociale esterno contenendolo e dandogli opportunità lavorativa, quest’ultima attualmente è negata se non solo con turnazioni identiche a quelle carcerarie”.

A considerazioni generali alterna confidenze personali, in una lettera che sembra anche una denuncia. Raccontando il periodo trascorso in libertà dopo la scarcerazione di luglio 2023, ricorda: “Avevo ripreso in mano la mia vita, ottenendo con sacrificio un ottimo lavoro, dando tutto me stesso in quel lavoro che oggi mi hanno fatto perdere senza il minimo scrupolo, mi riferisco alla magistratura di sorveglianza, avevo ritrovato una compagna un equilibrio i pranzi le cene il pagare le bollette le regole della società, tutto questo svanito nel nulla per la decisione di un magistrato di sorveglianza, che mi ha nuovamente rinchiuso facendomi fare almeno mille passi indietro”. Del Grande, spiega, si è ritrovato così in “una realtà repressiva” che considera persino peggiore di quella del carcere: “Ci sono persone all’interno che sono entrate per sei mesi e avendo l’unica colpa di non avere una dimora e una famiglia, si trovano internate da 4/5 anni, in un Paese civile e al passo con le regole europee questo non dovrebbe più esistere, difatti l’Italia è l’unico paese in tutta Europa che adotta le misure di sicurezza”.

Tra le parole del 49enne, anche alcune considerazioni sulla sua storia processuale: “Ci tengo a precisare che io da questo paese sono stato condannato ad anni 30 di reclusione, effettivamente ne ho scontati 26 e 4 mesi e non sono stato più condannato, e invece grazie a questo articolo di legge risalente a Mussoliniancora in essere dal nostro codice penale mi sono ritrovato nuovamente peggio di un detenuto”. Una decisione che, spiega ancora l’uomo, gli ha fatto “crollare il mondo addosso”. “Tutte le cronache mi definiscono come il serial killer, il pazzo assassino che è sfuggito senza la minima remora e controllo, additandomi di tutte le cose del passato senza informarsi prima su cosa ho fatto da quando ero stato scarcerato”.

APPROFONDIMENTO SUL PARENTICIDIO

Il “parenticidio”, entrato a pieno titolo a far parte di quella casistica di crimini noti con il nome di omicidi in famiglia ed essendone la categoria più rappresentata, mostra anch’esso alcune specifiche peculiarità che lo caratterizzano (Lanza, 1994):

a) è un delito realizzato in nuclei famigliari di modesta composizione quantitativa, da persone in genere non pregiudicate, di bassa scolarità e che fanno uso nella circostanza di attrezzi da lavoroo strumenti di uso comune e casalingo;

  1. è un delitto che, nonostante la sua gravità, non induce l’accusato a sottrarsi, né a negare la responsabilità materiale nell’esecuzione del fatto;
  2. è un comportamento nel quale la motivazione ad agire è spesso da attribuire a problemi di insopportabilità relazionale o da comportamenti ingiusti e provocatori della vittima (o comunque ritenuti tali);
  3. è un crimine che, se realizzato da un minorenne, anche con l’aiuto materiale e o morale di un adulto, vede il soggetto minore assumersi nel processo l’intera responsabilità e paternità dell’atto e delle sue conseguenze;
  4. è un reato per il quale il giudice dell’appello è solito infliggere o confermare pene relativamente non elevate, scegliendo sanzioni-base prossime ai minimi edittali, riconoscendo quasi sempre le circostanze attenuanti e, ove possibile, anche la prevalenza delle attenuanti stesse sulle aggravanti;

* è un delitto infine che per la sua realtà, drammaticità e complessità umana, ben si presta ad essere giudicato da un Collegio decisionale misto quale una Corte di Assise.

Il crescente aumentare di questi episodi, deve spingere l’intera società a riflettere e ad impegnarsi a non limitare l’intervento alla sola repressione, ma a cercare di attuare degli interventi di prevenzione, sia essa primaria, secondaria che terziaria, rivolti in generale a tutta la popolazione ed in particolare a quelle situazione dove il disagio famigliare è tangibile o comunque facilmente intuibile.

Troppe sono le famiglie problematiche che vengono lasciate sole, isolate dai Servizi e troppe sono anche le situazione in cui il disagio è talmente implicito, nascosto da coperture esteriori, fittizie e nello stesso tempo però, anche così particolarmente evidenti e chiare, che sembrano gridare.

Non è ancora possibile avere un quadro completo e assoluto del fenomeno, in quanto mancano dati ed elementi essenziali, che sarà difficile procurare, perché sempre più complesso diverrà il compito di “giudicare” e “condannare” determinati comportamenti estremi che si attuano e si consumano senza mezzi termini, senza mai applicare quelle strategie di sopravvivenza che segnano compromessi tra la vita e la morte (Andreoli V., 2001).

Perché, esaurito l’effetto mass-media, terminata l’ansia e l’angoscia di crederci possibili vittime di atti che sembrano così lontani dalla nostra quotidianità, quello che rimane probabilmente sarà il processo ad un’unica persona per verificarne la “capacità di intendere e di volere”, ma la”responsabilità” civile, morale e sociale di quello che accade continuerà a coinvolgere sempre tutti noi.

BIBLIOGRAFIA

Andreoli V., Delitti, Rizzoli Editore, Milano 2001.

A.Ge. notizie- Associazione Italiana Genitori, Dichiarazione Internazionale dei diritti della Famiglia proclamata dall’Unione Internazionale degli organismi Familiari, indetta dall’ONU,

Parigi 1994, Roma 1995.

Bruno F., in www.dea.ansa.it, 24 febbraio 2001.

De Luca R., Anatomia del serial Killer, Giuffrè Editore, Torino, 1998.

Eurispes, II° Rapporto sugli omicidi in famiglia: primo semestre 1994, in www.mix.it/eurispes.

Eurispes, “ Il parenticidio”, in Rapporto Italia ‘96: percorsi di ricerca nella società Italiana, Cap.

6, scheda 57, in www.mix.it/eurispes.

Eurispes, “Successo e Fallimento”, in Rapporto Italia 1998, Cap.

3, scheda 30, in

www.mix.it/eurispes.

Eurispes, Il male minore: indagine sulla devianza minorile in Italia, ottobre 1999, in www.mix.it/eurispes.

Malagoli Togliatti M., Rocchietta Tofani L., Famiglie multiproblematiche, Edizioni NIS, Roma,

 

 

 

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