“…Lo strano della vita è che, sebbene la natura di essa sia stata chiara a ognuno per centinaia d’anni, nessuno ne ha steso un adeguato resoconto. Mentre le strade di Londra hanno una loro carta, le nostre passioni rimangono non descritte. Chi mai incontreremo se voltiamo quest’angolo?”
(Virginia Woolf)
ABSTRACT
Partendo da un caso clinico si riassumono le caratteristiche di una relazione sana rispetto ad una relazione disfunzionale.
L’articolo contiene le domande che potrebbero distinguere una relazione sana da una disfunzionale.
La parte centrale e finale sono incentrate sul legame di attaccamento con le figure genitoriali e le relazioni durante l’età adulta.
Barbara, 35 anni, insegnante (nomi e dettagli sono di fantasia) inizia un percorso psicologico con me perché: “ ho sbagliato sempre, ho avuto storie finite male e tutte allo stesso modo, mi vergognavo, ma era da tempo che volevo capire cosa non andava in me…”
Mi racconta della storia tra lei e Maurizio, del suo essere a tratti aggressivo e della sua incapacità nel lasciarlo perché dice: “ sarei sola come sempre..”.
Ripercorriamo con Barbara il significato delle sue parole e cosa significa a per lei essere sola. mi dice: “beh una donna a 30 anni dovrebbe sapere quando una storia è sbagliata… la mia ultima storia è totalmente sbagliata, ma il pensiero che per l’ennesima volta finisca mi fa sentire sola, abbandonata..”.
Guardiamo ai dettagli del suo rapporto… qualche lacrima segna il volto di Amanda, ma poi mi dice: “la devo smettere, sono sempre patetica…”
Queste sue parole sembrano indicare una giovane donna che tende ad etichettarsi, che ha paura delle sue imperfezioni.
Ripercorriamo la sua infanzia e il suo rapporto con i genitori.
Come si può riconoscere se una relazione è disfunzionale e dannosa?
Sarebbe opportuno sottolineare come nessun rapporto è completamente immune da conflitti e che quando si parla di relazioni disfunzionali si fa riferimento a modalità distorte di entrare, mantenere e chiudere la relazione, in cui vi è un disequilibrio tra il dare e il ricevere (nel senso comune si utilizza il termine di amore malato o tossico ma si preferisce non etichettare tali legami bensì parlare di disfunzionalità all’interno della coppia). La mancanza di empatia e ascolto e l’incapacità di considerare l’altro o di essere considerati dall’altro, sono alcune delle componenti delle coppie disfunzionali. Ci sono diversi modi per riconoscere una relazione di questo tipo, le domande che seguono potrebbero aiutare le persone a prenderne consapevolezza:
1. Quando sei con quella persona, ti senti generalmente bene, persino rinvigorito? Oppure ti senti spesso insoddisfatto ed emotivamente esausto?
2. Dopo aver passato del tempo con questa persona, le sensazioni riguardo te stesso sono migliori o peggiori?
3. Ti senti fisicamente e/o emotivamente al sicuro con questa persona, oppure ti senti minacciato o in pericolo?
4. Vi è una sorta di equilibrio tra ciò che si dà e ciò che si riceve nella relazione? Oppure hai le sensazione che tu sei sempre quello che dà e l’altro chi riceve?
5. La relazione è caratterizzata da sentimenti di sicurezza e soddisfazione, oppure da criticità e angoscia?
6. Senti che l’altra persona è contenta di chi sei tu? Oppure hai la sensazione di dovere cambiare qualcosa di te per rendere l’altro felice? (Carter, 2011).
Mentre le relazioni intime di tipo funzionale sono caratterizzate dalla sicurezza, dal prendersi cura dell’altro e anche di se stessi, dalla collaborazione e cooperazione nel raggiungimento di scopi comuni e da valori condivisi (es. sostenere l’altro nelle sue scelte, essere onesti e fidarsi dell’altro, ecc.), le relazioni disfunzionali, invece, si nutrono di sfiducia, insicurezza, egoismo e scarso decentramento, disonestà e sfiducia nell’altro, gelosia, sino ad arrivare a vere proprie richieste eccessive, abuso di potere e controllo da parte di uno dei due partner. Questo tipo di relazioni non alleggerisce il carico emotivo che quotidianamente tutte le persone sono costrette a gestire ma appesantisce, deprime, rende infelici e infine porta a lungo andare ad un vero e proprio esaurimento emotivo.
Perché pur soffrendo così tanto non si riesce a troncare una relazione di questo tipo?
In psicoterapia tre sono i concetti che rendono conto di questa rigidità e dell’incapacità a costruire relazioni potenzialmente funzionali: il circolo vizioso (o paradosso nevrotico; Mancini, Gangemi, 2004), i cicli interpersonali (Carcione, Semerari, e coll., 2004) e una modalità “disorganizzata” di cercare l’altro e la relazione in sé (Attili, 2004). Il primo meccanismo è quello che porta Barbara a desiderare un cambiamento ma a non sapere come realizzarlo, a non avere le risorse e gli strumenti per farlo (“Non riuscirò mai ad affrontare tutte queste cose senza di lui, Maurizio si prende cura di me ed io ho bisogno di questo, so che è un mio problema ma proprio non ci riesco a pensare a me stessa, non ne sono capace, ha ragione lui, devo cambiare io oppure mi lascerà”, e Barbara cambia, pur di non essere lasciata, alimentando la sua convinzione di non riuscire a farcela da sola). Il secondo meccanismo è stato descritto da Safran e Seagal (1990) come l’insieme delle strategie disfunzionali che il soggetto utilizza al fine di evitare emozioni molto dolorose ma che attivano nell’altro proprio i comportamenti più temuti e che confermano proprio le sue credenze iniziali. Ad esempio, Barbara ha uno schema di sé come non degna di ricevere amore e uno schema di sé con l’altro in cui si vede come una persona sbagliata e degna di ricevere critiche sprezzanti nel momento in cui decidesse di manifestare all’altro i propri bisogni. Barbara infatti non si espone mai nella relazione, è accondiscendente e cerca di venire incontro sempre alle richieste di Maurizio, in modo tale da proteggersi dalla possibilità di venire criticata e quindi di conseguenza di sentirsi una persona non degna di essere amata. Purtroppo questo conferma nella mente di Barbara la sua credenza centrale, cioè, che i suoi bisogni non abbiano valore rispetto ai bisogni dell’altro, inducendo nell’altro proprio quei comportamenti che tanto temeva. Barbara, quindi, nell’intento di mantenere la relazione con Maurizio, cerca di aderire sempre alle sue aspettative e desideri. Addirittura arrivando a desiderare gli stessi scopi di vita di Maurizio e non riuscendo a distinguere più i suoi gusti personali da quelli del compagno. Queste sue modalità dall’altra parte hanno spinto Maurizio a legittimare comportamenti controllanti nella relazione, a sentire di avere il potere di fare e disfare la relazione a suo piacimento. Maurizio decide (per l’ennesima volta) di troncarla e Barbara si ritrova da sola, vuota, priva di senso e valore. Il terzo meccanismo, infine, che riguarda la qualità del legame di attaccamento avuto in età infantile con la figura di riferimento, non deve indurre a pensare in realtà ad un legame di causa effetto tra attaccamento disorganizzato e relazioni disfunzionali (tanti sono infatti i fattori che possono predisporre e intervenire lungo tutto l’arco della vita tali da orientare il comportamento e le nostre relazioni in una direzione piuttosto che in un’altra, Attili, 2004). Tuttavia il legame di attaccamento potrebbe servire a capire i meccanismi che hanno portato ad esempio, Barbara a fare quel tipo di scelta relazionale e rendono ragione del perchè per lei sia così difficile rompere quel circolo vizioso e quei cicli interpersonali e fare esperienza di relazioni diverse e più funzionali. La presenza, in età infantile, di una figura di riferimento assente o addirittura maltrattante e quindi imprevedibile nelle sue reazioni e nel soddisfacimento dei bisogni del bambino, potrebbe provocare nel bambino una disorganizzazione del pensiero (per esempio tale figura di riferimento, di cui il bambino ha tanto ha bisogno, è allo stesso tempo spaventante e spaventata). Questo provoca incoerenza e di conseguenza emozioni e comportamenti discordanti e contraddittori (disorganizzati). Nel caso in cui la figura di attaccamento è maltrattante, ad esempio, il bambino potrebbe oscillare tra comportamenti di freezing nei suoi confronti (immobilità) e, contemporaneamente, tentativi di avvicinamento o evitamento della figura dalla quale, in realtà, vorrebbe solo essere confortato. Cosa succede in età adulta? Se ad esempio Barbara ha avuto una figura d’attaccamento spaventante/spaventata, potrebbe essere portata a categorizzare la realtà e le informazioni aspettandosi sempre di non poter avere nessun controllo sugli eventi e relazionandosi agli altri con comportamenti ed emozioni fortemente contraddittorie tra di loro (del tipo “ti odio eppure ti amo”) oscillando in queste relazioni con comportamenti contraddittori che vanno dalla freddezza all’estremo opposto, cioè, a manifestazioni esagerate e asfissianti dei propri sentimenti.
Cosa fare se ci accorgiamo di essere in una relazione disfunzionale?
Le persone che si trovano a dover gestire una relazione disfunzionale, di solito, sono poco consapevoli dei cicli interpersonali e dei circoli viziosi che autoalimentano ma anche del perché siano costantemente alle prese con partner e legami poco disfunzionali. La conoscenza e la consapevolezza di sé stessi è sempre il primo passo verso il cambiamento. Riconoscere che siamo “invischiati” in una relazione che porta dolore e sofferenza alla propria vita richiede un grande sforzo (molte sono infatti le persone che continuano a negare la disfunzionalità della propria relazione anche quando familiari o amici li mettono davanti alla realtà dei fatti). Inoltre, i meccanismi di cui si è parlato finora non sono esaustivi dell’enorme mole di studi sull’argomento. Tanti sono i fattori che intervengono quando si parla di relazioni disfunzionali e dell’incapacità di porre fine a tali relazioni: scarsa autostima, senso di indegnità e vulnerabilità, cicli interpersonali, incapacità nell’operare scelte adattive e funzionali sia dal punto di vista relazionale che dal punto di vista personale, scarse abilità nel riflettere sui propri e altrui stati mentali per riuscire a padroneggiare la propria sofferenza in modo adattivo, ecc. (deficit di metarappresentazione; Carcione e coll., 2004). Il supporto di un professionista (psicologo, psicoterapeuta) potrebbe aiutare le persone a prendere consapevolezza dei meccanismi precedentemente elencati e attraverso la relazione terapeutica dimostrare loro che non è vero che “non possono sperare di meglio”, non è vero che “meritano quel tipo di relazione” che hanno imparato ad accettare l’amore che pensano di meritare.
Saluto Barbara con una frase: “Se soffri più spesso di quando sei felice, vuol dire che non è amore, ma qualcosa di differente che ti tiene intrappolata in una sorta di prigione, e ti impedisce di vedere la porta verso la libertà, spalancata davanti a te…”
(Marcia Grad Powers)
Le consiglio, inoltre 3 film su 3 amori diversi:
· https://www.primevideo.com/-/it/detail/lAmore-non-va-in-Vacanza/0O6ZAB6P2OCG8ZFBCOFPHX1HX3
· https://www.primevideo.com/-/it/detail/Mon-roi—il-mio-re/0QBTVPRW42FS1Y1HPPK7RWB234
· https://www.mymovies.it/film/2019/marriage-story/pubblico/
Bibliografia
Aquilar, F., (2015). Parlare d’amore. Psicologia e Psicoterapia cognitiva delle relazioni intime. Franco Angeli: Milano
Attili, G., (2004). Attaccamento e amore. Società editrice Il Mulino: Bologna.
Carcione, A., De Marco, M.C., Di Maggio, G., Procacci, M., Semerari, A., Nicolò, G., (2004). La regolazione delle scelte nei disturbi di personalità. Cognitivismo Clinico, 1, 1, 32-48
Carter, S. B., (2011). High Octane Women: How Superachievers Can Avoid Burnout, Prometheus Books.
Erri De Luca (1998). Tu, Mio. Feltrinelli
Mancini, F. e Gangemi, A., (2004). Il ragionamento emozionale come fattore di mantenimento nella patologia. Sistemi Intelligenti, 2, 237-254
Safran, J. e Segal, V.Z., (1993). Il processo interpersonale nella terapia cognitiva, Feltrinelli