ABSTRACT
Nella prima parte viene illustrato 8il delitto di8 Avetrana e le vicende giur8idiche lo hanno accompagnato.
Nella seconda parte c’è uno sguardo d’insieme alla componente mediatica e spettacolarizzata degli eventi di cronaca nera.
Nella terza parte si trova un’introspezione psicologica dei personaggi; infine vengono riportati gli estratti del processo contenuti nel programma UN GIORNO IN PRETURA.
“Avevo l’età in cui i genitori si trasformano di colpo da gente che sa tutto in gente che non sa niente.
(Margaret Atwood)
Delitto di Avetrana: storia dell’omicidio di Sarah Scazzi
Giorno per giorno dal 26 agosto 2010 la storia di una scomparsa che è un omicidio maturato fra persone vicinissime: zia, cugina e nipote. Sabrina Misseri e Cosima Serrano sono in carcere per aver ucciso Sarah Scazzi che aveva 15 anni. Finita la pena per Michele Misseri che continua a dirsi colpevole
https://www.vanityfair.it/article/delitto-avetrana-storia-omicidio-sarah-scazzi
L’omicidio di Sarah, riproposto nella serie televisiva: QUI NON E’ HOLLIWOOD https://www.disneyplus.com/it-it/series/qui-non-e-hollywood/1cBldCRMfjTJ
Mette vividamente in luce i protagonisti di una vicenda dolorosa ed efferata.
La crescente pervasività̀ e diffusione dei mass media (inclusi i recenti sviluppi della tv on demand e dei canali tematici) ha contribuito ad amplificare l’interesse dell’opinione pubblica per i fatti di cronaca nera. La spettacolarizzazione del cinema e delle fiction televisive, con il loro realismo, porta sulla scena contenuti che somigliano alla realtà̀ e che fino a poco tempo fa erano accessibili solo agli addetti ai lavori: si pensi alle serie televisive in cui abbondano i dettagli delle autopsie o possiamo seguire gli abili investigatori che stanno “con il fiato sul collo” degli altrettanto abili criminali, in quello che spesso appare come un corto circuito fra fiction e realtà̀, con una drammatica influenza reciproca di un livello su un altro e viceversa.
Inoltre, il ricorso – spesso anche rischioso per la tutela della privacy – ai filmati di videosorveglianza dei delitti più noti ed eclatanti sembra portare lo spettatore proprio lì dove i reati hanno luogo, in una fusione di tempo e spazio che agevola la sensazione di “esserci”, di partecipare agli eventi (Jarvis, 2007; Reiner, 2007).
Non sono da meno le trasmissioni cosiddette di “approfondimento giornalistico” che in Italia riempiono i pa- linsesti ormai senza differenziazione fra le programmazioni estive e quelle invernali.
I dettagli quasi in tempo reale, la possibilità̀ di seguire tutti gli aggiornamenti nei minimi particolari grazie all’immancabile presenza dell’inviato sempre sul posto, il punto di vista tecnico-investigativo, quello legale e anche psico- logico a confronto nei talk show di prima e seconda serata danno l’idea di poter partecipare con la stessa intensità̀ che si avrebbe con una presenza reale; i titoli delle trasmissioni, le luci e gli arredamenti degli studi sembrano “far sentire a casa” il pubblico, e nei talk show ci si sente quasi invitati a prendere posto accanto agli esperti che disquisiscono sui motivi per cui il marito ha ucciso la moglie, la madre il figlio, tanto che spesso gli spettatori si chiedono e come mai nessuno avesse mai sospettato nulla, visto che tutto era da- vanti agli occhi in modo così chiaro…
La partecipazione quasi in “presa diretta” che tali trasmissioni consentono agli spettatori costituisce certamente una novità̀ nel campo della rappresentazione collettiva della criminalità̀, e suscita forti emozioni, senza consentire nep- pure quella pausa di riflessione che spesso è necessaria nelle situazioni in cui si voglia prendere una posizione su fatti di qualsiasi genere che ci riguardino o su cui venga richiesta una nostra opinione (Binik, 2014). Ovviamente, i cosiddetti “esperti” non sfuggono a questa situazione di base, in quanto anch’essi, al di là della loro competenza, esseri umani, come tali sottoposti alle richieste del mezzo e alle sue peculiari caratteristiche: la televisione è infatti un medium “freddo” che, per la sua natura, riscalda molto gli animi, e che non consente pause o esitazioni.
Proprio gli esperti svolgono, in tali trasmissioni, una funzione “chiave”, e per questo motivo appare opportuno investigarne il ruolo e la competenza. Una prima, sommaria ricognizione della situazione permette di rilevare che poco frequentemente tali “esperti” rivestono cariche accademiche o possiedono un curriculum scientifico cospicuo; più̀ spesso, si tratta di professionisti che sono riusciti, per un motivo o per l’altro, ad acquistare visibilità̀ mediatica.
Il ruolo di tali esperti, si diceva, è fondamentale, in quanto a essi è assegnato nei palinsesti il compito della divulgazione scientifica, e cioè la presentazione dello stato dell’arte della ricerca criminologica; essi svolgono quindi la delicata funzione di “cerniera” fra criminologia scientifica e criminologia popolare, contribuendo allo sviluppo della c.d.“criminologia mediatica”. Ci riferiamo qui alla concet- tualizzazione dei livelli di conoscenza possibile evidenziati da Verde (2010): la criminologia scientifica si propone, con la costruzione di ipotesi e la loro verifica, di comprendere tutto ciò che riguarda l’atto criminale, chi l’ha commesso e i motivi che l’hanno condotto a compiere quel gesto; i suoi risultati sono fondati sulla ricerca empirica nei contesti delle discipline psicologiche e sociali della stessa costitutive. Il li- vello della criminologia popolare rappresenta invece il ten- tativo ingenuo (non specializzato, non esperto) di comprensione del delitto attraverso un processo di attribu- zione di significato non fondato scientificamente ma basato sul senso comune, costruito tramite “la naturale capacità esplicativa degli eventi psicologici altrui, attraverso la pro- duzione di narrative ingenue relative al perché si delinque, e ai motivi immediati e reconditi che conducono alle vio- lazioni normative” (Verde, 2010, pp. 21-22). Il campo di bat- taglia fra queste due visioni del mondo, una ingenua e naïf, e l’altra scientifica, viene dallo stesso autore definito come “criminologia istituzionale”, e la criminologia mediatica costituisce uno dei suoi settori più influenti sull’opinione pubblica.
Proprio per tale motivo, ci siamo chiesti quanto le opinioni espresse dagli esperti invitati a pronunciarsi sui casi di cronaca più scottanti (più seguiti) abbiano un solido radi- camento nella teoria e nella ricerca criminologica.
L’interazione fra questi ambiti alimenta il cosiddetto “circo mediatico-giudiziario” (Soulez Larivière, 1994), un terreno virtuale, televisivo che prende spunto dal reale per entrare in casa degli spettatori e suggerire l’idea che anche loro possono essere al centro degli eventi, possono partecipare alle indagini, al processo, ai dibattiti.
Attualmente il circo mediatico-giudiziario sembra sempre più caratterizzato da un’attenzione morbosa nei con- fronti delle vicende giudiziarie (Resta, 2010). È un’attenzione che si rivolge alle indagini e alle fasi iniziali del procedimento penale, e che invita a riporre fiducia più nell’attività di polizia che nell’attività giudiziaria in senso stretto (Battarino, 2012), rispetto alla quale i media tendono
PROVIAMO A LEGGERE, NEI LIMITI DI UNA LETTURA MEDIATICA E MEDIATA E , NON DA MENO, CON I LIMITI TUTTI UMANI, IL PROFILO PSICOLOGICO FAMILARE E RELAZIONALE DELLA FAMIGLIA E DEI PROTAGONISTI.
La famiglia di Sabrina Misseri appare essere una famiglia dai confini diffusi, una famiglia invischiata in cui l’emozioni di ogni singolo membro si rifanno come conseguenza e reazione degli altri membri della stessa. Un ruolo periferico e quello del padre Michele Misseri, uomo dedito al lavoro e a pochi altri interessi. La madre Cosima Serrano è il prototipo di una donna che tiene insieme alla famiglia con una sorta di pugno di ferro, entrambe le figlie Valentina e Sabrina sono soggiogate dal diktat materno.
Sabrina è stata ascoltata per oltre 11 ore dai due marescialli e ripresa con una telecamera. Ma non si è trattato di un interrogatorio classico. Il confronto doveva servire a far emergere la sua personalità, a comprendere i motivi che l’hanno spinta a una «sovraesposizione mediatica». I due esperti criminologi hanno poi potuto osservarla nel contesto quotidiano, hanno guardato all’interno della sua abitazione, tra le sue cose. L’esame di quei filmati, incrociato con le dichiarazioni che riguardavano soprattutto la sua sfera più intima, il legame con la cugina, quello con gli altri familiari e con gli amici ha consentito di stabilire come la giovane fosse un soggetto «adultomorfo», cioè con reazioni e comportamenti «non tipici della sua età». E così si è continuato a scandagliare fino a convincersi che la ragazza avesse assunto all’interno della sua famiglia un ruolo diverso da quello di figlia, affiancandosi a suo padre e in qualche modo sostituendosi alla madre. Si è evidenziata una sorta di «supremazia maschile rispetto alla sua figura di figlia», quasi che Sabrina volesse essere guida dei comportamenti altrui. E così difendere il legame che aveva con il genitore soprattutto da presenze che potevano essere percepite come «minacce esterne» quale poteva diventare appunto Sarah.
1) SARAH, GIOVANE VITTIMA INNOCENTE. Sarah è stata descritta dai media a tinte cangianti: un’adolescente inquieta che sognava di andare a vivere altrove, una ragazza che poteva essere stata misteriosamente rapita, una quindicenne come tante sulla cui sparizione era calata un’ombra di mistero. Dopo il tragico epilogo, si sono sprecate le descrizioni di Sarah come una ragazza dolce e sensibile, che aveva molti sogni nel cassetto. Anche lei aveva le sue piccole trasgressioni nel linguaggio, nelle frequentazioni, nel desiderio di essere donna, nel conflitto generazionale con la madre, dalla quale cercava incessantemente attenzioni, tenerezze e affetto. Quello stesso affetto che sembrava trovare nella famiglia dello zio Michele, presso cui trascorreva molto tempo in compagnia della cugina Sabrina. Era forte anche il suo legame con il fratello, mentre la figura paterna era sentita più lontana anche in ragione dell’assenza del genitore, trasferitosi a Milano per motivi di lavoro. Proprio questa mancanza l’avrebbe portata a identificare un secondo padre nel mite zio Michele
2) SABRINA, FIGLIA DEGENERE E CUGINA TRADITRICE.
Il movente dell’omicidio di Sarah sarebbe la gelosia della cugina Sabrina. In quest’ultima, Sarah vedeva una sorella maggiore ed era forte il legame fra loro, nonostante la differenza di età di 7 anni. Ma questo sodalizio affettivo si sarebbe rotto a causa di un amico comune: Sabrina era infatti innamorata al punto da “temere di perderlo” a causa della cugina. Quando Sarah, agli occhi di Sabrina, ha smesso di essere una bambina da coccolare per diventare una rivale, sarebbe scattato il desiderio di rivalsa e da esso l’omicidio.
Fino all’arresto del padre, Sabrina è stata protagonista lanciando appelli e offrendosi senza riserve a telecamere e microfoni. Dopo la prima confessione di Michele, ha preso nettamente le distanze da quell’uomo che “tanto aveva amato” ma che avrebbe dovuto “pagare fino in fondo” la presunta colpa. È emersa l’ambivalenza tra amore filiale e rigore di giustizia, insieme alla dinamica alterna di attrazione e repulsione verso il padre, diventata poi ostilità quando il padre le ha addossato tutta la responsabilità dell’assassinio.
3) CONCETTA, MAMMA IMMERSA NEL DOLOROSO SILENZIO.
Il dolore per la perdita della figlia ha segnato Concetta, madre di Sarah. Dal momento della scomparsa, lei ha cercato in tutti i modi di attirare l’attenzione sul caso, chiedendo aiuto nella ricerca della figlia. Fino al giorno in cui ha appreso in diretta televisiva che Michele Misseri aveva indicato agli inquirenti il luogo in cui era stato gettato il cadavere di Sarah. Il volto impietrito di Concetta è rimasto una triste icona nell’immaginario collettivo.
Subito dopo, ha provato a uscire di scena. Il suo dolore si è ricomposto in un volontario allontanamento dal circo e lei, che si è dichiarata testimone di Geova, ha scelto di onorare la memoria della ragazza tacendo e confidando nel Signore. Ha ripreso la parola solo per manifestare il suo scetticismo e i suoi dubbi dopo la diffusione dei verbali degli interrogatori di Michele e di Sabrina. È rimasta a lungo chiusa in casa, pietrificata nel suo dolore. “Pentitevi” è l’appello che ha lanciato al cognato Michele e alla nipote Sabrina. A sostenerla non sono stati parenti e amici, ma la sua fede in Dio: “Geova è al mio fianco, ho fiducia in lui quando dice: fate posto all’ira, la vendetta è mia. La risurrezione sarà un tempo meraviglioso, perché potrò riabbracciare mia figlia”.
4)COSIMA,MATRONA CHE RINNEGA IL MARITO.
Cosima, moglie di Michele e madre di Sabrina, ha inizialmente accompagnato con la sua presenza l’esposizione mediatica della famiglia Misseri, per poi cercare di sottrarsi ai riflettori con l’atteggiamento di chi sa ma non vuol far sapere. Dopo il coinvolgimento del marito e della figlia, ha deciso di salvare Sabrina addossando a Michele ogni responsabilità. Ha gettato dubbi sulla stabilità psicologica dell’uomo, che sarebbe stato “destabilizzato dai tranquillanti” e non sarebbe stato abbastanza lucido per delineare la dinamica dell’assassinio. Ha scaricato il marito, ostentando un evidente cinismo verso colui che fino al momento dell’arresto era stato comunque il suo compagno di vita.
Insieme a Valentina, la figlia maggiore, ha eretto una barricata impenetrabile per i media. È stata rappresentata come una vera e propria matrona, capace di governare a suo piacimento i ritmi e le priorità domestiche mantenendo saldo nelle proprie mani il potere di condizionare i comportamenti dei suoi congiunti, espresso soprattutto nei confronti del marito Michele.
5)MICHELE, PADRE PRESENTE MA LONTANO.
Un padre- mostro o un genitore talmente buono e altruista da essere disposto a sacrificarsi per le colpe di una figlia? Il ritratto di Michele Misseri ha ancora contorni incerti. Appena si è autoaccusato dell’omicidio, è stato impietosamente sbattuto sulle prime pagine dei giornali, come un essere capace di uccidere a sangue freddo per assecondare i suoi più bassi istinti. La sua prima confessione è stata scioccante: avrebbe ucciso Sarah colto da un raptus dopo aver tentato un approccio sessuale. Scabroso anche il dettaglio, poi ritrattato, della violenza sessuale postuma che avrebbe esercitato sul cadavere della ragazza prima di gettarlo nel pozzo.
In seguito ha portato a compimento la sua accusa nei confronti della figlia prediletta: è stata Sabrina a uccidere la ragazza. La sua posizione si è progressivamente alleggerita man mano che (anche grazie alle sue testimonianze successive) sono emerse le colpe di Sabrina. Resta l’immagine di un uomo rozzo e ingenuo, disposto anche a “sacrificarsi” nella sua semplicità d’animo e nella rozzezza che la moglie e le figlie gli hanno sempre attribuito.
6) GIACOMO, PADRE ASSENTE MA VICINO.
Il padre di Sarah è apparso fin dalla scomparsa della figlia un uomo schivo. Con poche parole ha dato il segno del dramma vissuto: “Sarah era il bello della vita. Ogni volta che mi alzo dal letto penso sempre che non la vedrò mai più”. Nel cuore paterno di Giacomo questa perdita ha aperto la porta a un dolore senza fine, ai rimpianti, alla voglia di giustizia, ai tanti ricordi. Sarah “ stava sempre a ridere e scherzare” e lui non è riuscito a trovare le parole per esprimere il suo sgomento di fronte alla morte di quella figlia desiderata “a tutti i costi”. Ha manifestato il desiderio di tornare a incarnare il suo ruolo, garantendo alla moglie e al figlio il migliore futuro possibile, ipotizzando un trasferimento lontano dal paese di Avetrana.
Nella tragedia, il padre prima lontano è capace di rivelare uno spessore umano non secondario: “L’odio verso chi ha fatto del male alla mia bambina aumenterebbe il dolore. Quando scopri che un parente te l’ha ammazzata, questo basta e avanza per uccidere dentro anche te”. È lui a mettere sul piatto apertamente anche il senso dei legami interfamiliari: “Di chi ti devi fidare, se non dei tuoi parenti?”. La sua sentenza nei confronti dei parenti serpenti è netta: i Misseri “non esistono più”. Ma, nonostante tutto, è un uomo che non vuole serbare rancori; a patto che chi ha colpa “paghi fino in fondo” e sconti “una pena giusta per quello che ha fatto”.
7) VALENTINA, SORELLA DIETRO LE QUINTE.
La sorella di Sabrina è stata sullo sfondo della presenza della sorella. Dopo la svolta nelle indagini, lei è stata quella che più apertamente la difende. Secondo lei, Sabrina “è innocente”. È stata decisa nello scaricare la colpa su Michele. Nei confronti del genitore non ha mostrato un particolare attaccamento, forse perché ha una sua vita fuori dal nucleo familiare d’origine. Ha provato a ricucire il legame con la zia scrivendole una lettera in cui ha riaffermato l’assoluta innocenza di Sabrina ma non del genitore: “Non ti chiederemo mai di perdonare papà, neanche noi l’abbiamo fatto”.
Ha cercato di rappresentare la propria come una famiglia normale, strutturata su legami solidi e trasparenti: “Non è vero che mio padre era la vittima in casa, non è vero che mangiava i nostri avanzi, non è vero che mangiava con le mani. La nostra era una famiglia normalissima. Papà da noi figlie è sempre stato coccolato, io e mia sorella lo abbiamo sempre difeso”. Ma è lei stessa a riassumere con efficacia la connotazione che i media hanno cucito addosso alla sua famiglia: “Stanno paragonando mio padre al cenerentolo della situazione, io e mia sorella saremmo le sorellastre, mia madre la matrigna. Invece la nostra è una famiglia come tante altre, umile e modesta, in cui si litiga tra moglie e marito come capita in ogni famiglia”.
8) CLAUDIO, FRATELLO ADDOLORATO.
Come il padre Giacomo, anche Claudio sta inizialmente sullo sfondo. Dopo il tragico epilogo, ha preso subito le difese della sorella rispetto ad alcune voci e a un presunto movente sessuale.
Dopo la prima confessione di Michele, il suo giudizio è tranciante. Lo zio “non deve più esistere” e “se si suicida fa l’unica cosa giusta della sua vita e si mette a pari con il disastro che ha combinato”. Quando emergono le colpe di Sabrina, Claudio rivaluta lo zio, che “ha sempre fatto una vita ineccepibile” e indirizza tutto il suo risentimento contro la cugina.
Poi la sua attenzione si sposta verso il ricordo di Sarah. Dichiara di non interessarsi più né di Michele né di Sabrina ma di concentrare la sua attenzione e i suoi sforzi per portare a compimento il progetto del canile per cani abbandonati tanto caro a Sarah e alla sua famiglia.
In breve vediamo, 8in entrambe le famiglie Misseri e Scazzi, figure maschili periferiche in cui la gestione delle rispettive famiglie era affidata alla l8inea materna.
Gli interrogativi sui sogni di Sarah, sul desiderio di scappare e sul desiderio di essere adottata dalla zia Cosima si dissolvono in una tragica fine…
Concluderei con degli estratti del processo dalla forte ridondanza mediatica, tralasciando lo spazio fisico, Avetrana in cui è avvenuto, ma guardando alle dinamiche disfunzionali che lo hanno causato: l’idea di Cosima di conservare l’onore di Sabrina dopo il rapporto con Ivano, quel Dio che lei8 dipinge e la gelosia della stessa verso la cugina Sarah perché non si accettava fisicamente visto qualche kg in più, nonostante il cibo, come si vede nella serie è uno strumencnto di coesione.
“…Quando entriamo nella famiglia, con l’atto di nascita, entriamo in un mondo imprevedibile, un mondo che ha le sue strane leggi, un mondo che potrebbe fare a meno di noi, un mondo che non abbiamo creato. In altre parole, quando entriamo in una famiglia, entriamo in una favola…”
(Gilbert Keith Chesterton)