“…L’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza. L’opposto dell’educazione non è l’ignoranza, ma l’indifferenza. L’opposto dell’arte non è la bruttezza, ma l’indifferenza. L’opposto della giustizia non è l’ingiustizia, ma l’indifferenza. L’opposto della pace non è la guerra, ma l’indifferenza alla guerra. L’opposto della vita non è la morte, ma l’indifferenza alla vita o alla morte. Fare memoria combatte l’indifferenza…”
Elie Wiesel
ABSTRACT
La prima parte si concentra in maniera sintetica sulla perdita subita dalla paziente e sul senso di abbandono provato dopo la fine o non fine della relazione.
La seconda parte riprende una ricerca di Pellicani e colleghi incentrata sull’indagine tra i sentimenti provati dal soggetto nell’essere lasciati tramite ghosting, orbiting o comunicazione diretta.. dando maggiore spazio ai nuovi modi di lasciare senza lasciarsi mai.
L’ultima parte contiene un consiglio pratico di matrice psicologica per la paziente che si sente persa, annullata, ignorata… un esercizio che può permettere alla stessa di vedere quante esperienze negative l’hanno portata comunque ad essere dov’è, nel bene e nel male, con l’intento di rileggerle e trovare le risorse ella stessa.
Fabiana 47 anni, avvocato di successo (nomi e dettagli sono di fantasia) inizia un percorso di supporto psicologico con me perché mi dice: “ dopo la fine del mio matrimonio, mi sono concentrata sulla carriera fino ad incontrare Filippo che si è comportato dopo 9 mesi peggio del mio ex marito ed io non dovevo permetterlo…”
Chiedo a Fabiana della sua storia passata fino ad arrivare al presente, mi racconta di aver conosciuto Filippo online e poi di aver vissuto con lui dei bei momenti dal vivo, una storia, dice lei, che aveva tutte le premesse per essere la storia importante.
Dopo una cena bellissima e una notte di passione, mi dice, ci siamo salutati per rivederci il giorno dopo a fine lavoro e da quel momento è scomparso senza una spiegazione, oramai è un mese che gli scrivo e niente.
Nel Novecento avremmo risposto che non c’era nulla di peggio del “vado a prendere le sigarette”, espressione che oggi, che siamo muy international, è stata sostituita dal termine inglese “ghosting”: sparire senza dare alcuna spiegazione, ignorando qualsiasi tentativo di comunicazione della povera vittima lasciata appesa, in balia di mille interrogativi che mai riceveranno risposta. Vado a prendere le sigarette ed è subito escapologia.
Ma poiché non c’è limite al sadismo umano, nell’era dei social abbiamo alzato (o abbassato, dipende dai punti di vista) l’asticella e inventato il ghosting 2.0: l’orbiting; non solo ti ghosto, ma continuo a seguirti su Facebook e Instagram, di tanto in tanto guardo le tue stories e ti cuoricino o like qualche post.
Cosa si prova a essere ghostati?
Serviva forse uno studio per dirci che il ghosting e l’orbiting fanno soffrire le persone e che il modo meno crudele per chiudere una relazione è tirar fuori gli attributi e affrontare direttamente la controparte e la sua reazione? Non credo. Tuttavia, Pancani e colleghi (2021) hanno voluto indagare che effetto fa essere scaricati tramite ghosting, orbiting e comunicazione diretta, ponendo così il timbro del “ce lo dice la scienza” all’ennesima scoperta dell’acqua calda.
Dopo aver invitato i partecipanti allo studio a ricordare e mettere per iscritto un episodio in cui sono stati lasciati, i ricercatori hanno effettuato un’analisi qualitativa del contenuto e hanno scoperto che quando si viene scaricati si attraversano una serie di fasi distinte, ciascuna caratterizzata da specifiche emozioni; fasi che tutti abbiamo provato almeno una volta nella vita, se siamo stati mollati – bastava chiedere.
Fase 1: Sorpresa e confusione
La prima fase è quella in cui ormai è lampante che si è stati scaricati.
Se “ti lascio, è finita” lascia poco spazio a interpretazioni soggettive, essere ghostati genera sorpresa e confusione. L’iniziale preoccupazione che possa essere successo qualcosa all’altro (non mi risponde: gli si sarà rotto il cellulare, sarà stato rapito, sarà in missione per conto di Dio) lascia spazio al dubbio che forse, ma forse eh, non vuole più avere nulla a che fare con noi, quando dall’ultimo accesso a Whatsapp e dalla sua recente attività sui social (che stalkeriamo compulsivamente) appare evidente che no, non è morto, anzi. Se poi il novello Houdini mette i like ai nostri post e visualizza le nostre stories, la confusione raggiunge livelli indescrivibili.
Fase 2: Senso di colpa, rabbia, tristezza
Nella seconda fase cerchiamo di dare un senso alla rottura.
“Forse ho fatto qualcosa di sbagliato?” si chiedono alcuni attanagliati da un senso di colpa senza oggetto. La ruminazione tipica di questo stadio, che scandaglia ogni singolo momento passato alla ricerca di indizi che possano dare una spiegazione a quanto accaduto, può sfociare in rabbia per il comportamento assurdo, ingiusto e irrazionale dell’altro (che nel frattempo continua imperterrito a non rispondere ai nostri messaggi e magari a mettere like ai nostri post). Alla fine la rabbia lascia spazio alla tristezza, con pennellate di ansia in caso di orbiting. Ci sarebbe un modo efficace per uscire da questo incubo, tutti continuano a ripetervelo, ma voi niente. Non voglio, però, spoilerarvi il finale.
Fase 3: Tentativi di riconciliazione
Dato che la speranza è l’ultima a morire (o per dirla in maniera meno poetica, non c’è limite alla zerbinaggine), si tenta comunque di riagganciare i rapporti, soprattutto in caso di orbiting, dove dall’altra parte sembra comunque esserci ancora dell’interesse. Ma i tentativi falliscono miseramente, l’altro continua a non rispondere.
Fase 4: Lasciare andare
Finalmente si fa quello che gli amici continuano a ripetevi dalla fase 1: blocca utente, cancella numero, elimina amicizia, non seguire più e si ricomincia a vivere, investendo le proprie energie in nuove relazioni.
Il modo meno doloroso per lasciare qualcuno
Qual è quindi il modo meno doloroso per lasciare qualcuno? Quello in cui si dà una comunicazione diretta (che sia tramite interposta persona, via messaggio, per telefono o vis-à-vis) perché permette all’altro di mettere un punto alla relazione, di scrivere la parola fine con una motivazione. Certo, anche in questo caso l’altro soffrirà, si arrabbierà, proverà tristezza, ma gli sarà più facile affrontare la rottura.
Importante potrebbe essere dire a se stessi : lasciate la persona in condizioni migliori di quelle in cui l’avete trovata.
Siate sì diretti, ma compassionevoli. E se il problema è che non sapete cosa dire, pescate dai grandi classici: Non sei tu, sono io, “Mi piaci come amico. Penso che dovremmo frequentare altre persone. Non parlo la tua lingua. Sono sposato con il mare. Non ti voglio uccidere, ma lo farò”. Funzionano sempre anche quando u modo migliore per mettere fine ad un rapporto non c’è.
Dico a Fabiola che probabilmente gli atti che non facciamo così come quelli che scegliamo di fare dicono chi siamo.
Chiedo a lei cosa in questo momento vuole scegliere di fare o di non fare… lei ci pensa e mi dice: “forse dovrei volermi bene e mettere Filippo nel registro dei morti…alla fine so che è un codardo…ma onestamente non so come fare…”
Le dico che, probabilmente, diventare adulti significa saper trasformare anche le esperienze brutte in risorse.
Inoltre, mi permetto di consigliarle un esercizio: “provi a scrivere su un foglio le esperienze belle e quelle brutte da che ne ha memoria ad oggi… se prova dolore, non si preoccupi le rileggeremo insieme passo passo.”
La saluto con un pensiero: “…Dovremmo fare attenzione nel trarre da un’esperienza solo la saggezza che vi è contenuta – e fermarci lì, altrimenti faremmo come il gatto che si siede su una stufa rovente. Non si sederà mai più su una stufa rovente – e questo è un bene, ma non si sederà mai più nemmeno su una piastra fredda.
(Mark Twain)
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
· Ghosting and orbiting: An analysis of victims’ experiences. Luca Pancani, Davide Mazzoni, Nicolas Aureli, and Paolo Riva. March 2021. Journal of Social and Personal Relationships 38(7). DOI: 10.1177/02654075211000417