CASI IRRISOLTI DI FEMMINICIDIO E PROFILO PSICOLOGICO DELL’ASSASSINO. Solo Delirio narcisistico e sopraffazione della donna?

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Teresa Colaiacovo - CASI IRRISOLTI DI FEMMINICIDIO E PROFILO PSICOLOGICO DELL’ASSASSINO. Solo Delirio narcisistico e sopraffazione della donna?

CASI IRRISOLTI DI FEMMINICIDIO

Delitto di via Poma

La storia della cronaca nera italiana è costellata anche di femminicidi irrisolti. Uno dei più celebri è il delitto di via Poma. Ovvero, l’uccisione di Simonetta Cesaroni, avvenuto il 7 agosto 1990. La vittima ventenne viene trovata morta all’interno della sede dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù, dove lavora come impiegata per una sostituzione estiva. 29 pugnalate, inferte verosimilmente con un tagliacarte. Simonetta è stata uccisa con rabbia, il movente potrebbe essere passionale. I sospetti si concentrano sul portiere dello stabile, Pietrino Vanacore: fermato dalla polizia, passa quasi un mese in carcere prima di essere scagionato. L’altro sospettato è il ragazzo della vittima,Raniero Brusco: i due hanno una relazione burrascosa, ma lui fornisce un alibi. Arrivato a un vicolo cieco, il delitto di via Poma diventa un cold case. Fino al 2004, quando vengono sottoposti ad analisi scientifica alcuni indumenti indossati da Simonetta il giorno in cui è stata uccisa. Come stabilisce il test del Dna, le tracce di saliva trovate sul corpetto e il reggiseno della vittima sono attribuibili a Brusco, che finisce nel registro degli indagati. L’aula di tribunale si apre per lui nel 2009 e ci vogliono due anni per la sentenza di primo grado: omicidio volontario, 24 anni di reclusione. Nel frattempo, Vanacore si toglie la vita gettandosi in mare: «Vent’anni di sospetti ti portano al suicidio», scrive su un bigliettino prima di farla finita. Brusco verrà scagionato nel 2012, in appello. Nel 2014 la conferma della Cassazione.

Wilma Montesi

Tra i casi di cronaca nera irrisolti in Italia c’è anche quello di Wilma Montesi, 21enne trovata morta sulla spiaggia di Torvaianicail 9 aprile 1953, con la testa immersa in pochi centimetri d’acqua. Il decesso viene inizialmente classificato come un incidente, per la precisione a una “sincope da pediluvio” che avrebbe causato l’annegamento della giovane. L’indagine viene presto archiviata o meglio insabbiata, sostengono i giornali romani, per coprire un gruppo di politici della Democrazia Cristiana, che abitualmente si ritrova in una villa di Capocotta per festini a base di sesso, droga e alcolici. Secondo alcune testimonianze, proprio a una di questa feste, la notte della sua morte, avrebbe partecipato Wilma Montesi. Le indagini riprendono vigore e trascinarono nello scandalo Piero Piccioni (fidanzato di Alida Valli e figlio di Attilio, leader della DC), Ugo La Montagna, proprietario della villa, e Saverio Polito, questore di Roma accusato di aver precedentemente insabbiato l’inchiesta. Ma nel maggio del 1957 tutti gli imputati vengono assolti.

3. Profili psicologici e psichiatrici del femminicida

La letteratura scientifica degli ultimi quindici anni ha delineato un profilo psicologico del femminicida che si discosta radicalmente dalla narrazione mediatica del “raptus”. Come sottolinea Georgia Zara (Università di Torino), “il femminicidio è spesso l’atto finale di una lunga escalation di controllo, umiliazione e isolamento, non un gesto impulsivo”.

Tratti ricorrenti

  • Impulsività e intolleranza alla frustrazione: “Molti autori di femminicidio mostrano una soglia di tolleranza al rifiuto estremamente bassa, con reazioni esplosive alla separazione” (Zara et al., 2021).
  • Bisogno di controllo: Evan Stark parla di “una forma di prigionia relazionale che si fonda sulla sorveglianza, la manipolazione e la privazione della libertà”.
  • Assenza di empatia: “Il femminicida non riconosce l’altro come soggetto autonomo, ma come estensione narcisistica del proprio Sé” (Lo Verso, 2024).

Comorbidità psichiatriche

  • Disturbi dell’umore: “La depressione reattiva alla separazione è spesso presente, ma non è sufficiente a spiegare l’atto omicida” (Cecere, 2025).
  • Disturbi da uso di sostanze: “L’alcol agisce come catalizzatore della violenza, abbassando le inibizioni e amplificando la rabbia” (Caruso, 2025).
  • Disturbi di personalità: “Il narcisismo patologico e l’antisocialità sono i due cluster più frequentemente associati al femminicidio” (Giostra, 2024).

Deficit di mentalizzazione

Come evidenzia Lo Verso, “il femminicida non riesce a rappresentare mentalmente la partner come soggetto separato, dotato di volontà autonoma. La sua esistenza è vissuta come minaccia narcisistica”.

Sintesi operativa

  • Il femminicida presenta spesso tratti narcisistici, antisociali o borderline.
  • Può essere apparentemente “normale”, ma con struttura affettiva fragile e controllante.
  • La diagnosi psichiatrica non è sufficiente: serve analisi della dinamica relazionale.
  • La valutazione clinica deve includere storia affettiva, attaccamento e vissuti di perdita.

4. Fattori di rischio individuali, relazionali e socio-culturali

La comprensione del femminicidio richiede l’analisi multilivello dei fattori che concorrono alla sua genesi. La letteratura scientifica ha evidenziato come il comportamento omicida non sia mai il frutto di una singola causa, ma il risultato di interazioni complesse tra vulnerabilità individuali, dinamiche relazionali e pressioni socio-culturali.

4.1 Fattori individuali

Numerosi studi hanno evidenziato come esperienze infantili traumatiche, disturbi psichiatrici e tratti di personalità disfunzionali siano ricorrenti nei profili dei femminicidi.

  • “L’esposizione precoce alla violenza domestica e all’abuso emotivo è un predittore significativo di comportamenti violenti in età adulta” (Campbell et al., 2017).
  • “Molti autori di femminicidio presentano una storia di disregolazione affettiva, con difficoltà nel gestire la frustrazione e l’abbandono” (Zara & Gino, 2021).
  • “La presenza di disturbi di personalità, in particolare antisociale e narcisistico, aumenta il rischio di agire violenza letale contro la partner” (Giostra, 2024).

4.2 Fattori relazionali

La relazione tra vittima e autore è spesso caratterizzata da dinamiche di controllo, dipendenza e escalation di violenza.

  • “Il femminicidio è raramente un atto isolato: nella maggior parte dei casi è preceduto da mesi o anni di violenza psicologica, stalking e minacce” (Dobash & Dobash, 2015).
  • “La separazione o la minaccia di abbandono rappresentano i principali trigger dell’atto omicida” (Cecere, 2025).
  • “La gelosia patologica e il senso di possesso sono elementi centrali nella costruzione mentale del femminicida” (Lo Verso, 2024).

4.3 Fattori socio-culturali

Il contesto culturale e sociale gioca un ruolo cruciale nel normalizzare o contrastare la violenza di genere.

  • “La cultura patriarcale, che legittima il controllo maschile sulla donna, è il terreno ideologico su cui si sviluppa il femminicidio” (Stark, 2007).
  • “In società dove la mascolinità è definita in termini di dominio e potere, la perdita del controllo sulla partner è vissuta come una minaccia all’identità” (Messerschmidt, 2018).
  • “La marginalità sociale, la disoccupazione e l’isolamento aumentano il rischio di comportamenti violenti, soprattutto in assenza di reti di supporto” (WHO, 2022).

4.4 Intersezionalità e vulnerabilità

La letteratura più recente ha introdotto il concetto di intersezionalità per analizzare come genere, classe, etnia e orientamento sessuale interagiscano nel determinare il rischio.

  • “Le donne migranti, povere o appartenenti a minoranze sessuali sono più esposte alla violenza letale, spesso invisibilizzata” (UNODC, 2023).
  • “Il femminicidio è anche un atto politico, che punisce la trasgressione dei ruoli di genere imposti” (Federici, 2020).

Il ruolo della gelosia patologica e del narcisismo

La gelosia patologica e il narcisismo rappresentano due dimensioni psicologiche centrali nella genesi del femminicidio. La letteratura scientifica ha evidenziato come la combinazione di vulnerabilità narcisistica e ideazioni gelose possa condurre a una percezione distorta della relazione, in cui la partner è vissuta come oggetto da possedere e controllare.

Gelosia ossessiva e delirio di tradimento

La gelosia patologica si manifesta come pensiero intrusivo, sospettoso e persecutorio, spesso privo di fondamento.

  • “Il femminicida geloso non cerca prove, ma conferme del proprio delirio: ogni gesto della partner è interpretato come segnale di tradimento” (Giostra, 2024).
  • “La gelosia patologica è una forma di paranoia relazionale, che trasforma l’amore in sorveglianza e controllo” (Lo Verso, 2024).
  • “Nei casi più gravi, si osserva una vera e propria ideazione delirante, con costruzione di scenari immaginari e convinzioni incrollabili” (Cecere, 2025).

Narcisismo fragile e ferita narcisistica

Il narcisismo patologico, soprattutto nella sua variante vulnerabile, è associato a vissuti di umiliazione e vendetta.

  • “La separazione è vissuta come ferita narcisistica intollerabile, che minaccia l’integrità del Sé” (Ferraro, 2019).
  • “Il femminicida narcisista non uccide per odio, ma per ripristinare la propria onnipotenza minacciata” (Lo Verso, 2024).
  • “La partner è investita di funzioni riparative: quando si sottrae, il soggetto collassa e reagisce con violenza” (Zara & Gino, 2021).

Rappresentazioni mentali della partner

La partner non è vissuta come soggetto autonomo, ma come oggetto interno da controllare.

  • “Il femminicida costruisce una rappresentazione mentale della donna come ‘proprietà privata’, negandone l’autonomia” (Stark, 2020).
  • “La perdita della partner equivale alla perdita di una parte del Sé, e genera angoscia di frammentazione” (Lo Verso, 2024).
  • “Il femminicidio è l’atto estremo per impedire che l’oggetto amato diventi oggetto di un altro” (Giostra, 2024).

Femminicidio come ripristino dell’onnipotenza

  • “L’omicidio è vissuto come atto riparativo, che ristabilisce il dominio assoluto e cancella la ferita narcisistica” (Ferraro, 2019).
  • “Il femminicida non accetta la perdita: preferisce distruggere l’oggetto piuttosto che vederlo libero” (Dutton, 2011).
  • “La violenza letale è l’ultima difesa contro il collasso identitario” (Meloy, 2006).

    Attaccamento disorganizzato e dipendenza affettiva

    Le teorie dell’attaccamento offrono una chiave interpretativa potente per comprendere la vulnerabilità relazionale del femminicida.

    • “Gli autori di femminicidio-suicidio mostrano frequentemente stili di attaccamento disorganizzato, con oscillazioni tra idealizzazione e paura dell’abbandono” (Bartholomew & Horowitz, 1991).
    • “La partner è vissuta come figura di attaccamento primaria, e la sua perdita attiva angosce primitive di annientamento” (Lo Verso, 2024).
    • “La dipendenza affettiva non è amore, ma bisogno di fusione simbiotica: quando questa viene minacciata, l’unica via percepita è la distruzione reciproca” (Ferraro, 2019).

      Fantasie di annientamento e riunificazione

    Il femminicidio-suicidio è spesso accompagnato da una narrazione delirante di “amore eterno”, che maschera una dinamica di controllo e dissoluzione dell’identità dell’altro.

    • “L’autore può vivere l’omicidio come un gesto d’amore, un modo per ‘non lasciarla a nessun altro’” (Cecere, 2025).
    • “Il suicidio successivo è talvolta pianificato, talvolta impulsivo, ma sempre legato a una visione simbiotica della relazione” (Zara & Gino, 2021).
    • “In alcune lettere di addio, si trovano espressioni come ‘ora saremo insieme per sempre’, che rivelano una fantasia di riunificazione post-mortem” (Giostra, 2024).

Concluderei con una riflessione del Prof. Massimo Recalcati: “ La violenza, sino all’estremo atroce del femminicidio, è un modo per provare a farsi nuovamente padrone della libertà della donna, di sottomettere in modo brutale l’indipendenza del suo desiderio, di togliere alla donna ogni diritto di parola e, dunque, di scelta. Non a caso, ne “L’amica geniale” di Elena Ferrante la violenza maschilista si trova rappresentata, in una delle sue scene più eloquenti, quando il fratello maggiore di un ragazzino, che a scuola ha dovuto riconoscere la superiorità intellettuale di Lila nei suoi confronti, intende ristabilire il primato dei maschi sulle femmine cercando di trafiggerle letteralmente la lingua con uno spillo. È questo il sadismo che caratterizza, anche dal punto di vista clinico, la violenza maschilista: impadronirsi della libertà della vittima rendendola un oggetto inerme.”

N. B

Per maggiori approfondimenti

https://www.psychiatryonline.it/revisioni-letteratura/psicologia-del-femminicida-revisione-della-letteratura-2010-2025/

 

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