Alessia Pifferi, una donna incapace di prendersi cura di sé stessa che non riesce a prendersi cura di sua figlia, lasciandola morire di stenti, perché lei vive un week end romantico con lo pseudo compagno dei week end.
In primo grado era stata condannata all’ergastolo
Pena ridotta in appello per Alessia Pifferi. La Corte d’assise d’appello di Milano ha parzialmente riformato la sentenza di condanna all’ergastolo, emessa in primo grado: ha condannato a 24 anni di reclusione la 40enne. La donna è imputata di omicidio volontario pluriaggravato per aver abbandonato la propria bambina di 18 mesi, Diana, per sei giorni dentro la casa di via Parea a Milano il 14 luglio 2022, lasciandola morire di fame e di sete.
Quello che viene confermato è che Alessia Pifferi era nella “piena capacità di intendere e di volere” quando ha lasciato la figlia Diana di 18 mesi sola nella sua culla per giorni. I periti nominati dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano confermano in aula quanto già emerso nella precedente perizia psichiatrica. Sono 65 le pagine della relazione redatta dagli specialisti, che hanno effettuato tre colloqui clinici, dei test e hanno analizzato la documentazione sull’imputata.
Immaturità affettiva”
Pifferi, spiega lo psichiatra Giacomo Francesco Filippini, è “affetta da esiti in età adulta di disturbo del neurosviluppo con residua fragilità cognitiva settoriale e immaturità affettiva”. Nonostante ciò è pienamente capace di intendere e volere.
Ripercorrendo la storia di Alessia Pifferi bambina, anche il neuropsichiatra infantile, Stefano Benzoni, ha ribadito il concetto di “disturbo del neurosviluppo”. Ma anche in questo caso i “deficit cognitivi appaiono scarsamente invalidanti sulle autonomie personali”. L’imputata presenterebbe “una disarmonia emotiva sulla base del disturbo della relazione con difficoltà di apprendimento secondaria”, ma contemporaneamente nelle relazioni si evince che ha una “potenzialità discreta”.
“Fragilità emotiva non invalidante”
Nella donna, già condannata all’ergastolo in primo grado, “permane tutt’ora una fragilità emotiva, non significativamente invalidanti sul funzionamento psico-sociale” che non ha quindi inciso sulle decisioni prese nell’estate 2022, quando ha abbandonato la piccola Diana lasciandola morire di stenti, spiegala neuropsicologa, Nadia Bolognini.
Ai periti Pifferi ha detto che la sua mente “si era disconnessa”. Ma per gli esperti non è segno di vizio di mente. Stando al documento redatto, la 40enne era in grado “di pianificare le azioni, di prevedere rapporti causa-effetto”, comprendeva le “potenziali conseguenze dell’abbandono della bambina”. La “disconnessione” riguarderebbe “il suo essere madre”. I periti sottolineano, inoltre, che la donna ha mantenuto “un ricordo dettagliato e molto partecipato sul piano affettivo di tutta la vicenda”.
La prima perizia psichiatrica e la sentenza
Già il precedente esame sulla 40enne aveva confermato che non c’era stato alcun vizio di mente al momento dei fatti. Tuttavia, su istanza della difesa rappresentata dall’avvocata Alessia Pontenani, la Corte d’Assise aveva affidato a tre esperti un nuovo accertamento. In primo grado, la Corte ha riconosciuto le aggravanti dei futili motivi e della parentela, escludendo però la premeditazione, e ha condannato la donna all’ergastolo. La difesa, secondo cui il reato che bisognerebbe attribuire a Pifferi non è l’omicidio ma l’abbandono di minore, ha fatto ricorso in Appello.
La difesa: “Non è pazza, ma ha un disturbo cognitivo”
Pontenani aveva chiesto alla Corte una nuova perizia e in particolare di somministrare alla sua assistita il test di Wais per ‘capire come ragiona’, nonché una risonanza magnetica, e di acquisire la documentazione da lei prodotta. “Ha un disturbo cognitivo. Quel giorno non capisce che la figlia è morta e non riesce neanche a chiamare i soccorsi. Le domande le andavano fatte in altro modo perché lei risponde sempre sì, ed è per questo che Alessia Pifferi va rivalutata da un altro psichiatra. Insisto per la perizia, insisto con la perizia collegiale”, aveva detto l’avvocato.
La consulenza
“Lei è totalmente in grado di fare un bilanciamento tra i suoi bisogni e quelli degli altri”, ha detto Bruzzone confermando l’opinione dei periti che hanno effettuato le due perizie psichiatriche sulla donna. “Non c’è neanche un conflitto. La sua personalità è organizzata intorno a temi ben precisi e ruotano tutti intorno ai suoi bisogni. Gli altri non sono così importanti, ma non perché non si rende conto. Se lei si nutre emotivamente, il resto passa in secondo piano, compresa la bambina”.
Roberta Bruzzone ha ripercorso a ritroso quanto accaduto quel 20 luglio 2022, quando Pifferi era tornata a casa dopo aver lasciato sua figlia per giorni da sola nella culla: “La prima cosa che fa è aprire le finestre. Lava la bambina, la sistema, e poi chiama la vicina di casa e comincia la messinscena. Con una capacità manipolatoria assolutamente di buon livello, mente dicendo ‘io l’ho lasciata con la babysitter’”. A quel punto vengono allertati i soccorsi: “Arriva il 118, e tutti quelli che hanno a che fare con lei in quel momento ricevono delle informazioni manipolatorie”, spiega la criminologa.
A tutto ciò sembra importante aggiungere che Alessia Pifferi, manifesta una sorta di dipendenza affettiva, un ricercare accudimento. È stata una donna che si è prostituita pur di affittare una limousine per fare una sorpresa allo pseudo compagno.
Durante il processo sembra dal non verbale che la Pifferi possa presentare una condizione denominata alessitimia. Nel campo della psicologia, l’alessitimia rappresenta una condizione emotiva caratterizzata dalla difficoltà di riconoscere, esprimere e descrivere le proprie emozioni, che coinvolge sia la sfera emotiva che cognitiva e può avere importanti implicazioni nella vita quotidiana di chi ne è affetto.
Tale condizione potrebbe anche essere correlata a comportamenti antisociali e violenti, infatti, svariati studi hanno evidenziato che individui affetti da alessitimia tendono ad avere una minore capacità di empatia e una maggiore propensione a reagire in modo impulsivo e aggressivo. Tuttavia, è importante sottolineare che l’alessitimia non può essere considerata come una causa diretta di crimini violenti, ma piuttosto come un fattore che potrebbe contribuire alla predisposizione verso tali comportamenti. La comprensione di questa relazione può fornire importanti informazioni per la prevenzione e la gestione dei comportamenti criminali.
Nel caso specifico preso in analisi, dalla perizia psichiatrica svolta sulla Pifferi si legge: “ha vissuto il proprio contesto familiare e sociale di appartenenza come affettivamente deprivante”, e tale condizione l’avrebbe portata ad avere “una visione del mondo e uno stile di vita caratterizzati da un’immagine di sé come ragazza e poi donna dipendente dagli altri (e in particolare dagli uomini) per condurre la propria esistenza”.
Questa, secondo il perito, è la ragione per cui ha quindi sviluppato un funzionamento di personalità che sarebbe caratterizzato da alessitimia.
Nella perizia, è stato poi spiegato come la Pifferi, al momento del fatto, “ha tutelato i suoi desideri di donna rispetto ai doveri di accudimento materno verso la piccola Diana e ha anche adottato ‘un’intelligenza di condotta’ viste le motivazioni diverse delle proprie scelte date a persone diverse che richiedevano rassicurazioni sulla collocazione della bambina”.
Alla luce di queste affermazioni, il perito ha spiegato che l’imputata, nonostante presenti una condizione psicologica caratterizzata da alessitimia, è capace di partecipare “coscientemente al processo” e che, al momento dei fatti, fosse capace di intendere e di volere.
APPROFONDIMENTI
https://youtu.be/hu1XKzvlUvg?si=GHmrBaXDGskiKZZy

