Il sintomo è una metafora

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Teresa Colaiacovo - Il sintomo è una metafora

Clara (nome di fantasia) richiede un supporto psicologico perché, dopo vari esami medici che le hanno confermato di non aver alcun problema organico, non riesce a liberarsi di una persistente tachicardia che spesso la sveglia nel cuore della notte.

Durante il primo colloquio si presenta in modo chiaro, quasi spavaldo, descrivendosi con queste parole: “ ho 47 anni, un lavoro che mi impegna parte del mio tempo, mi piace la mia vita.. amo stare da sola anche perché dopo varie convivenze ho capito che nessun uomo è alla mia altezza e mi capisce. Non sono mai stata da una psicologa perché non sono mai stata pazza.. ma tutti i cardiologi mi hanno detto che probabilmente il mio è un disturbo psicosomatico..” Dopo averla ascoltata, le chiedo: “ cosa significa che nessun uomo è alla sua altezza?” Lei mi dice che in generale non crede molto nelle relazioni, non solo in quelle sentimentali perché non riesce a fidarsi e perché non si sente compresa.

Le chiedo cosa significhi per lei sentirsi compresa e di farmi un esempio di quando si è sentita compresa e di quando, invece, non si è sentita tale. Mi dice che da bambina la nonna la comprendeva sempre, anche se lei stava in silenzio: “ogni mio desiderio era un ordine..” La mamma, invece, non riusciva a comprendere nemmeno, dopo sua richiesta esplicita, che regalo farle a Natale. Dopo una pausa, mi dice che qualche mese fa, stava frequentando un uomo che sembrava comprenderla in ogni aspetto… una sera, però, dopo aver avuto intimità le ha chiesto se lei fosse disponibile a far sesso con lui ed una sua amica. Mentre mi sta parlando, cambia timbro di voce e mi chiede con un tono greve: “ ha visto, appena mi apro un minimo con un individuo di sesso maschile, mi ferisce, quindi è chiaro non mi ha compresa, faceva finta, un po’ come mia mamma quando le descrivevo i regali che avrei voluto..” A quel punto le spiego che spesso il legame con la figura di attaccamento primaria tende a riproporsi nelle relazioni adulte.

Lei mi interrompe, dicendomi: non mi importa di mia mamma o delle mie relazioni, io ho la tachicardia. Comprendo la sua resistenza e le spiego che i disturbi psicosomatici, tra cui potrebbe rientrare la tachicardia, spesso oltre a non avere un’origine organica nascono da un conflitto psicologico prima con il mondo esterno e poi con il mondo interno, quindi intrapsichico. Le domando: “lei sente di avere un conflitto con qualcuno o con sé stessa?” Clara fa silenzio e seccamente mi dice che il suo unico conflitto è con gli Altri, con chi non la capisce, quindi. Le chiedo chi siano gli Altri e mi fa un elenco di persone (amici, parenti, colleghi). Le domando: “dove è lei in questi conflitti, dove si colloca?” Lei senza esitazione mi dice che non c’è, che sono gli Altri. Spesso chi soffre di disturbi psicosomatici ha difficoltà nel comunicare con le proprie emozioni, per ogni emozione repressa, si sviluppa una reazione corporea corrispondente.

Quanto più le emozioni vengono ignorate e negate, tanto più è probabile che si presentino a livello fisico, sfociando in disturbi psicosomatici. Nelle malattie psicosomatiche quindi, considerate espressione nel corpo di conflitti, di stati di sofferenza mentale o di disagio psichico, è invece importante lasciare spazio a quel “non detto” a quel “non conosciuto” che contengono messaggi importanti per la persona sofferente. Il mondo delle emozioni a volte appare come un pianeta sconosciuto e talvolta un mondo da temere da parte della persona che tende a somatizzare; potrebbe invece rivelarsi una grande opportunità per trovare nuovi e più funzionali strumenti  per affrontare la vita. Spostare i disturbi sul piano somatico toglie alla persona la possibilità di interagirci con successo, ma allo stesso tempo toglie anche la responsabilità del proprio stato d’animo e spesso rifiutare la responsabilità è il solo modo per difendersi da richieste interne a cui non si è capaci di far fronte. Il soggetto psicosomatico, quindi, presenta un’insufficienza, costituzionale o acquisita, dei processi di mentalizzazione, cioè di elaborazione psichica dell’emozione attraverso il pensiero, e un’accentuazione del pensiero operativo, sempre aderente alla realtà concreta e incapace di vita fantastica.

L’incapacità di mentalizzazione può dipendere sia dal soggetto stesso che non l’ha maturata durante l’infanzia, sia dalla relazione con la madre. Partendo dal presupposto che parlare è sempre parlare agli altri chiedo a Clara, per la prossima seduta, di scrivere cosa vorrebbe dire a chi non la capisce, per provare a leggere cosa vorrebbe far sapere di lei anche a sé stessa. Lei mi dice che è una cosa troppo cervellotica e da strizzacervelli, perché in realtà lei vorrebbe che gli altri la capissero anche stando in silenzio. A quel punto io la incalzo dicendo: “infatti le parole che scriverà sono silenziose, perché gli altri non le leggeranno, ma probabilmente serviranno a lei per liberarsi del troppo silenzio del quale si è circondata..” e continuo dicendole che il corpo non è la gabbia dell’anima, ma dice l’anima e magari attraverso la tachicardia le sta comunicando qualcosa che lei potrebbe non voler ascoltare..” Lei manifesta perplessità, ed allora io le dico che lei mi sembra una donna sufficientemente coraggiosa per scrivere cosa vorrebbe dire in realtà agli Altri .Lei dice: “certo che sono coraggiosa, ho sempre fatto tutta da sola, quindi va bene scriverò quello che mi ha detto..”

Termino la seduta dicendole che i sintomi sono come dei bambini, se non li ascolti, iniziano ad urlare. Mi sembra convinta, la vedo più rilassata.. infatti nel salutarmi mi dice che vuole capire perché il suo cuore ha iniziato a strillare. “È un primo passo”, dico io, “forse non la porterà nell’immediato dove vorrà, quindi a silenziare il suo cuore, ma sono certa che sarà un inizio che la toglierà da dov’è, dal rumore di una tachicardia che nasconde i suoi rumori interni, perché le malattie così come i sintomi sono confessioni dell’anima..”Lei mi dice: “cos’altro devo fare?” Le rispondo: “se le fa piacere legga il libro le parole per dirlo di M. Cardinal..” Lei sorride e mi dice: “io, quindi, che parole dovrei trovare?” Le rispondo:” nella prossima seduta vedremo ciò che avrà trovato e affidiamoci a Dott. Tempo..”.

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