Flavia (nome di fantasia) mi contatta perché ha bisogno di un supporto psicologico per superare la fine inaspettata del suo rapporto di coppia.

Lei, 42 anni, madre single di un figlio di 6 anni, con una storia di due anni con un uomo di 46 anni, separato, senza figli. I due da lì a pochi mesi avevano deciso di andare a vivere insieme; stavano cercando casa. Una sera l’uomo che chiamerò Carlo, mentre stavano scegliendo cosa mangiare per cena, le dice che non se la sente di andare a vivere con lei e con il bambino. Flavia chiede innumerevoli spiegazioni, ma lui irremovibile le dice che non può fare da padre ad un figlio non suo e che ha bisogno di respirare e vivere libero. Flavia descrive Carlo come un uomo attento ed amorevole verso di lei e del bambino, un fidanzato perfetto.

Da 2 mesi dalla fine, Flavia passa le sue giornate a chiedersi il perché di quella fine inaspettata, chiama lui, lo controlla sui social per cercare lì una risposta, nuove amicizie, viaggi di lavoro. Flavia afferma: “lui sta bene, forse ha un’altra. Io no, non mangio e non dormo. Chiedo a Flavia di raccontarmi la vita di lui, al di là del fidanzato amorevole. Mi dice: ha lasciato la moglie perché lei voleva figli e lui no, ha bisogno di viaggiare mensilmente, non ama passare le serate a casa e da quando ha cambiato lavoro è più stressato e quindi, finito di lavorare, per lui il week end significa viaggiare. In quel momento, in me si aprono innumerevoli riflessioni. Mi risuona la frase di… “quello che è un uomo glielo dice la sua storia”, lo dico a Flavia e le chiedo cosa ne pensa di questa frase. Lei mi risponde che la trova vera… poi fa silenzio. Le chiedo:” la storia di vita di Carlo cosa le dice?” Lei mi risponde: “ che è un uomo che ha bisogno dei suoi spazi”. Le dico: secondo lei come Carlo definirebbe vivere con lei e suo figlio?

Flavia fa silenzio e poi mi dice: “stancante, forse una prigione, ma lasciarmi a pochi mesi dall’andare a convivere è stato inaspettato ed io soffro per questo, non ci sono mai stati segnali e lui sapeva da due anni che avevo un figlio” Io, allora, le chiedo: “può essere che se avesse riflettuto sulla storia di vita di Carlo, magari la sua scelta sarebbe stata meno imprevista? Può essere, inoltre, che all’avvicinarsi della vostra convivenza, Carlo abbia sentito il bisogno di fuggire? Con queste parole non voglio giustificare Carlo, ma cercare con lei di fare chiarezza…” Flavia, inizia a piangere, mi risponde che lui, in ogni caso le ha fatto perdere tempo e anni di vita. Questa sua affermazione, così sofferta, delinea la punteggiatura di senso del supporto psicologico che mi piacerebbe instaurare con lei. La invito, così, a riflettere sul concetto di perdere tempo e di vita, ricordandole una frase a me molto cara: “ ci sono investimenti che se investi menti a te stesso..” Lei mi chiede, quasi risentita: “quindi continuando ad investire con lui, avrei mentito a me stessa? Le rispondo con un’altra domanda: “se si fosse accorta che Carlo non voleva stare in casa con lei e suo figlio, se si fosse accorta che lui mostrava insofferenza, avrebbe continuato ad investire?” Lei mi dice: “ma, magari sarebbe stato felice con noi..anche se guardando su fb le foto dei suoi viaggi e dei piatti che posta ogni volta che va in un nuovo ristorante, capisco che è più felice cosi perché con me non avrebbe potuto fare la stessa vita.” Trovo che questa sua nuova consapevolezza sia un punto di svolta. Le dico: Flavia, il dolore non sparirà, cosi magicamente, perché va attraversato… è quasi un passo obbligato nella storia di ciascuno di noi. Voglio, però, invitarla a riflettere sulla differenza tra dolore e sofferenza. Lei non capisce il senso delle mie parole e mi guarda attonita. Allora, le dico che il dolore non si può scegliere, ma la sofferenza si.

Tutto questo suo accanimento sulla vita del fidanzato, questo spiarlo, aggiungono sofferenza al dolore che prova. Le chiedo: “cosa ci guadagna ad aggrapparsi a questa sofferenza, a cosa le serve?” Lei mi risponde velocemente:” forse a non pensare alla direzione della mia vita senza Carlo..” Allora le propongo, nei momenti in cui è tentata di spiare Carlo, di iniziare a scrivere cosa le piacerebbe avere nella sua vita e cosa no.. la invito, inoltre, a non giudicare i suoi sentimenti, ma prenderne nota per orientarsi come una mappa, senza aver paura della verità. I nostri incontri proseguono, Flavia piano piano sta capendo che spesso bisogna guardare ad un rapporto anche guardando ciò che l’altro non dice, il famoso angolo cieco.. e la cosa più importante è che sta imparando che il dolore è quasi metafora di cambiamento.. sta iniziando ad usare i suoi “colori” per dipingere la sua vita.

Ad oggi la sua ” tela” ha iniziato ad avere colori più marcati che sembrano dirle che una relazione non può essere usata per riempire buchi vuoti della propria esistenza, una relazione arreda, non riempie.